Il Su-24 russo abbattuto dall'aviazione turca

Cresce la tensione tra Turchia e Russia dopo l'abbattimento di un bombardiere russo da parte di Ankara. Possibili forte conseguenze sulle relazioni economiche, ma la vera partita riguarda la Siria

04/12/2015 -  Fazıla Mat Istanbul

Sempre più critici i rapporti tra Mosca e Ankara dopo l’abbattimento di un bombardiere SU-24 russo da parte dell’aviazione turca. Dall’embargo commerciale alla reintroduzione del regime dei visti fino alle accuse di acquistare petrolio dal sedicente Stato islamico (SI): le dure reazioni del Cremlino non indicano una facile via di uscita della crisi in atto tra i due paesi. Solo ieri, a dieci giorni dall’accaduto, è stato realizzato un primo incontro di rilievo tra le parti, durante la riunione dell''OSCE a Belgrado, tra il ministro degli Esteri Sergej Lavrov e Mevlut Çavuşoğlu, sua controparte turca. Un colloquio risultato però in un nulla di fatto, con Lavrov che ha detto di “non aver sentito niente di nuovo” da parte di Ankara.

Minacce sull'asse Putin-Erdoğan

Intanto però ieri il presidente Vladimir Putin in un discorso alla nazione ha rincarato la dose delle minacce. “Se qualcuno pensa che la reazioni della Russia saranno limitate alle sanzioni commerciali, si sbaglia di grosso”, ha detto Putin aggiungendo che sarebbe un errore pensare che "gli atroci crimini di guerra commessi, l'uccisione del nostro popolo”, possano essere “compensati con i pomodori o con alcune limitazioni nella costruzione e in altri settori”. Ma il presidente ha anche sottolineato che l’obiettivo della sua ira non è il “popolo turco” che è “buono, operoso e di grande talento”, ma il capo dello Stato turco Recep Tayyip Erdoğan.

Erdoğan, assieme alla sua famiglia, era già stato chiamato in causa qualche giorno fa dal ministero della Difesa russo con pesanti accuse – esposte con tanto di immagini satellitari – sul commercio di petrolio che Ankara starebbe conducendo con lo Stato islamico. Dal canto suo Erdoğan ieri ha risposto cercando di mantenere un tono più pacato, affermando tra l'altro che “è immorale coinvolgere nella faccenda la famiglia”. Il presidente turco, che si è dichiarato pronto a dimettersi se le accuse venissero provate, sfidando a fare altrettanto Putin in caso contrario, ha anche affermato che Ankara possiede dei documenti comprovanti che è invece la Russia a fare commercio con lo SI.

Al botta e risposta dei due leader corrispondono intanto delle misure prese su due fronti: quello più strettamente economico-commerciale-energetico e quello militare in Siria.

Ripercussioni economiche

Mosca e Ankara sono partner commerciali molto importanti. Dal settore energetico a quello dell’edilizia, dal commercio al turismo, i due paesi sono strettamente legati, anche alla luce del commercio bilaterale che si è sviluppato in alcuni settori dopo l'entrata in vigore dell'embargo russo sull'Europa, in risposta alle sanzioni UE sulla crisi ucraina. Per la Turchia la Russia è diventata un mercato di esportazione sempre più importante con il ridimensionamento del mercato Medio Orientale e la crisi economica dell’UE. Secondo gli esperti del settore, la crisi, che a livello economico potrebbe essere sostenibile a breve-medio termine per la Turchia, avrebbe un impatto particolarmente negativo se si dovesse protrarre a lungo.

Il primo settore a essere colpito è quello turistico, con un potenziale annuale di 4,5 milioni di turisti russi in meno per la Turchia, che corrispondono all’incirca a 3 miliardi di dollari all’anno (circa 2,75 miliardi di euro). La decisione di Mosca di limitare i voli charter tra i due paesi nonché l’annullamento delle prenotazioni dei tour operator, sta già avendo i suoi primi effetti sul settore turistico turco – soprattutto se si considera la contemporanea diminuzione del numero di visitatori dall’Europa.

Un secondo settore che potrebbe risentire fortemente delle nuove misure russe è quello edilizio. La Russia è il secondo paese (dopo il Turkmenistan) dove gli imprenditori edili turchi risultano più attivi, portando avanti una collaborazione che risale già la metà degli anni ’90. Con la reintroduzione del regime dei visti è all’ordine del giorno anche il rimpatrio di circa 200mila cittadini turchi (incluse le famiglie) che vivono e lavorano in Russia.

Un altro punto vitale è il settore energetico. La Turchia risulta essere al secondo posto – dopo l’Unione europea – nell’acquisto di metano (circa il 56% del fabbisogno complessivo di Ankara) e petrolio della Russia, che nel 2014 ha fatturato 16,5 miliardi di dollari al governo turco (pari a circa 15,1 miliardi di euro). E sebbene Mosca abbia finora escluso un’interruzione dell’approvvigionamento energetico rivolto al partner turco, il presidente Erdoğan ha già iniziato a muoversi in altre direzioni, siglando, ad esempio, un accordo per l’acquisto del metano con il Qatar – con il quale vengono anche aboliti i visti.

Le conseguenze in Siria

Ma è difficile che le conseguenze della crisi con la Turchia si limitino “ai pomodori”, per usare le parole taglienti del presidente Putin. La vera partita tra i due Paesi si gioca in Siria, dove gli attori regionali sembrano voler delineare meglio le proprie aree di influenza, in vista di un possibile cessate il fuoco. Uno dei punti centrali dell’avversione della Turchia nei confronti dei bombardamenti russi in Siria è il fatto che questi non sono limitati allo Stato islamico, ma colpiscono anche gruppi definiti da Ankara (come dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita) come “forze moderate”, forze che invece Mosca ritiene essere islamico-radicali. In particolare è aperta la discussione sui gruppi che il governo turco definisce come “turcomanni”, stanziati nella zona montuosa tra il confine turco e la città siriana di Latakia, oggetto dei recenti bombardamenti da parte di Mosca, con conseguente rimostranze da parte di Ankara. Secondo diversi osservatori, le brigate turcomanne sostenute e armate da Ankara per combattere il regime di al Assad, sarebbero una minoranza, mentre invece sarebbero molto più numerose altre forze d’opposizione jihadiste, soprattutto al-Nusra, e in cui militerebbero anche numerosi militanti ceceni e caucasici.

Infine, lo scontro tra Turchia e Russia in Siria riguarda anche i curdi siriani (le Unità di difesa popolare, PYD), che tentano di conquistare terreno nel nord del paese, in vista della formazione di una regione autonoma. Come noto, un simile scenario è profondamente avversato da Ankara e ora, con possibili segnali di alleanza tra i russi e i curdi siriani, rappresenta un altro elemento che potrebbe portare ad approfondire ulteriormente la crisi con Mosca.


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