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E' uno dei diritti fondamentali: garantire ai cittadini il diritto ad accedere alle informazioni detenute dalle istituzioni statali. In quest'editoriale, cosa c'è ancora da fare

17/11/2016 -  Andreas Pavlou*

Quest'anno ricorre il 250esimo anniversario dall'adozione della prima legge sull'accesso all'informazione pubblica, adottata in Svezia nel 1766. Ad un primo sguardo, potrebbe sembrare che in Europa vi sia molto da festeggiare: ogni paese del continente (fatta eccezione per Cipro e il Lussemburgo che hanno ancora delle bozze legislative) ha una legge sull'accesso all'informazione pubblica che garantisce ai cittadini di accedere alle informazioni in possesso delle istituzioni statali.

L'aumento negli ultimi decenni del numero di leggi sull'accesso all'informazione non significa che si tratti di una tendenza solo recente: è importante ricordare che si tratta di un diritto umano fondamentale riconosciuto dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo e da altre istituzioni e corti internazionali come ad esempio la Corte interamericana per i diritti dell'uomo e il Comitato Onu per i diritti umani.

L'accesso all'informazione pubblica è inoltre un diritto strumentale, in quanto facilita la partecipazione dei cittadini nel processo decisionale, rende i funzionari pubblici più responsabili per quello che fanno, favorisce la lotta alla corruzione, le libertà civili e garantisce la libertà d'espressione. E' un diritto di tutti ed è divenuto uno strumento essenziale per giornalisti e organizzazioni della società civile per svolgere la loro funzione di “cani da guardia” della società democratica.

Anche se molto è stato ottenuto e deve essere quindi celebrato in quest'anniversario, è importante che i paesi europei non si fermino, o rischierebbero di finire dietro al resto del mondo nell'impegno profuso nel garantire questo fondamentale diritto umano a livello giuridico e pratico. Le recenti riforme sull'accesso all'informazione pubblica in Italia e Grecia sono da salutare con favore, ma dimostrano che vi è ancora molta strada da fare prima che si raggiunga gli standard auspicati a livello internazionale.

Recentemente, la Serbia ha perso il primato della miglior legge sull'accesso all'informazione pubblica, cedendo il posto al Messico che si trova attualmente in cima alla classifica del Global Right To Inform (che mette in fila le varie leggi nazionali che garantiscono il diritto all'informazione).

Solo due altri paesi europei (Slovenia e Croazia) si sono classificati tra i primi dieci paesi a livello globale e restringendo la classifica ai soli paesi europei sono seguiti da altri paesi balcanici, che hanno generalmente cornici legali più solide sull'accesso all'informazione pubblica rispetto ai loro vicini dell'Europa occidentale.

E' comunque importante sottolineare che alcuni paesi europei le cui leggi sono ormai datate e non puntuali garantiscono ai propri cittadini un maggiore accesso alle informazioni pubbliche che non altri le cui cornici legali sono più moderne e forti. Si prenda ad esempio Svezia e Finlandia, entrambe hanno leggi più datate e deboli rispetto all'Azerbaijan, ma sono indubbiamente più trasparenti della ricca (di petrolio) nazione del Caucaso. Questo non giustifica però che, oltre a Cipro e Lussemburgo, che devono ancora adottare le leggi sull'accesso alle informazioni pubbliche, anche Austria, Liechtenstein e Germania siano posizionate in fondo alla classifica stilata da RTI, denotando quindi la necessità di riformare le loro leggi attuali leggi sull'accesso all'informazione pubblica.

Comparare i paesi tra loro è un esercizio molto utile per favorire, tra i legislatori, un atteggiamento favorevole alle riforme. Ma è anche importante chiedersi se siamo cittadini in grado di esercitare i nostri diritti per recuperare informazioni di cui abbiamo bisogno per poter partecipare al processo decisionale, per fare in modo che i funzionari pubblici siano responsabili di quanto fanno, per capire perché e come determinate decisioni vengano prese.

Ricerche recenti condotte da Access Info Europe e da alcune organizzazioni partner hanno rilevato una grave mancanza di trasparenza quando si è cercato di capire come le decisioni vengano prese dai governi in Europa.

La ricerca ha evidenziato come il 60% delle informazioni relative a decisioni chiave non siano disponibili al pubblico europeo . Non vi sono sufficienti informazioni disponibili e non vengono rese pubbliche nemmeno se richieste seguendo quanto previsto dalle specifiche normative nazionali e nonostante le cornici legali europee prevedano, in teoria, l'accesso alle informazioni riguardanti i processi decisionali chiave così come l'accesso ai verbali degli incontri e ai documenti sottoposti dai lobbisti.

Segretezza che non riguarda solo i casi di alto profilo come ad esempio i negoziati sul TTIP o su altri accordi di libero commercio; la nostra indagine ha dimostrato che è praticamente impossibile ottenere informazioni da parte dei legislatori europei o nazionali a proposito ad esempio di lobbying su tematiche tecniche come ad esempio l'etichettatura del cibo (nel caso specifico da parte dell'industria dello zucchero in Spagna e nell'Ue), per via di eccezioni che vengono sollevate o perché queste informazioni non vengono catalogate in nessun modo e dunque vanno perse o non registrate.

Quando informazioni chiave riguardanti politiche e leggi non sono disponibili al pubblico, questo impedisce la pubblica partecipazione e l'esame dei processi decisionali.

L'etichettatura del cibo non è un esempio isolato, ci è stato  negato l'accesso a metà delle informazioni richieste nelle 12 giurisdizioni europee parte della nostra indagine, in molti casi abusando dell'uso di alcune eccezioni come la protezione della privacy quando erano coinvolti nomi di funzionari pubblici e del governo, o semplicemente perché l'informazione richiesta non esisteva.

Durante la nostra ricerca abbiamo anche registrato alcuni casi positivi di accesso a verbali di incontri, corrispondenza o documenti sottoposti da lobbisti. In Irlanda, sono stati divulgati 2.5mb di dati riguardanti le relazioni con l'industria del tabacco e nel Regno Unito abbiamo ottenuto alcune note scritte a mano relative ad un incontro avvenuto a Bruxelles avente lo scopo di rivedere le regole europee sull'accesso all'informazione pubblica a cui avevano partecipato dei funzionari inglesi.

Certo, ancora molto deve essere fatto.

I governi europei devono prendere seriamente in considerazione: l'obbligo di documentare i processi decisionali, procedura essenziale per garantire la partecipazione pubblica e il controllo di quanto viene fatto; di limitare l'applicazione di eccezioni e di considerare sempre la priorità del pubblico interesse nel mettere a disposizione integralmente o parzialmente informazioni pubbliche; una pubblicazione pro-attiva di informazioni come ad esempio le agende dei rappresentanti pubblici, i verbali delle riunioni, i documenti di terze parti (fornite come parte o al di fuori di consultazioni pubbliche) e le informazioni che chiariscano le decisioni prese; la necessità di ridurre le tempistiche per fornire risposte a richieste di informazioni pubbliche, risposte rapide sono essenziali per facilitare la partecipazione nei processi di decisionali.

Infine, è importante che gli stati europei intervengano sulle lacune delle loro cornici legislative, portandole in linea con gli standard europei e internazionali, ad esempio prendendo in esame la Convenzione del Consiglio d'Europa per l’accesso ai documenti, sottoscritta e ratificata solo da 9 dei suoi membri su 47.

Ci sono voluti 250 anni per l'Europa, da quando è stata approvata la prima legge sull'accesso all'informazione pubblica, per arrivare al punto in cui ci troviamo ora. E questo rende ancora più importante che i governi garantiscano che il diritto di accesso alle informazioni non esista solo sulla carta, ma venga anche messo in pratica.

 

* Andreas Pavlou, Access Info Europe | https://www.access-info.org

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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