La Corte costituzionale turca si è espressa a favore della scarcerazione dei giornalisti Şahin Alpay e Mehmet Altan, arrestati dopo il tentato golpe del 2016. Ma le corti penali di Istanbul si stanno rifiutando di applicare la sentenza

19/01/2018 -  Dimitri Bettoni Istanbul

Lo scorso 11 gennaio, i giudici della Corte costituzionale turca hanno emesso una sentenza che dispone la scarcerazione dei giornalisti Şahin Alpay e Mehmet Altan, in prigione da dopo il golpe del 2016 e accusati di essere parte del braccio mediatico dell'imam Fetullah Gülen. Allo stesso tempo la sentenza ha dichiarato illegittima la detenzione preventiva a cui è stato sottoposto il giornalista Turhan Günay, già fuori dal carcere dalla scorsa estate.

Secondo i giudici, la loro detenzione preventiva ha violato i diritti individuali di libertà e sicurezza personale e libertà di espressione, protetti dagli articoli 19, 26 e 28 della Costituzione.

La sentenza, giunta in seguito ad un appello individuale dei giornalisti e raggiunta con una maggioranza di undici voti a favore contro sei, era molto attesa, sia perché crea un potenziale precedente giuridico che potrebbe condurre alla liberazione di decine di altri giornalisti oggi detenuti, sia perché potrebbe condurre la Corte europea dei diritti umani a ritenere che nel paese vi siano ancora vie legali efficaci e percorribili, prima di legittimare un suo intervento.

Tuttavia gli entusiasmi per una sentenza ampiamente positiva per la libertà di stampa nel paese sono stati presto smorzati da uno strappo istituzionale senza precedenti nella storia della Repubblica turca.

Le corti locali rifiutano la sentenza

Le corti penali 13a e 26a di Istanbul, che conducono i due processi a carico di Apay e Altan, hanno immediatamente annunciato che non avrebbero dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale attraverso un provvedimento esecutivo di scarcerazione che normalmente rientra nella prassi, dichiarando invece di voler attendere la pubblicazione delle motivazioni della sentenza nella Gazzetta ufficiale.

La Corte costituzionale, attraverso il proprio account Twitter, ha reagito ribadendo l'immediata validità della sentenza e precisando che le motivazioni, per quanto non ancora in Gazzetta, erano già disponibili sul proprio sito per essere consultate.

Mentre le corti penali prendevano tempo, il pronunciamento è stato criticato anche da parte dell'esecutivo, giunta per bocca di Bekir Bozdağ, vice primo ministro, portavoce del governo ed ex ministro della Giustizia.

Bozdağ ha accusato la Corte costituzionale di aver superato i propri limiti giuridici e di essere intervenuta nel merito delle accuse.

Questa dichiarazione è stata a breve distanza ripresa dai giudici delle corti penali che, a questo punto forti del sostegno giunto dal governo, hanno rigettato la decisione della Corte costituzionale in quanto “viola le nostre prerogative” e negato la scarcerazione ai giornalisti.

Con il governo quindi schierato, la Corte costituzionale si trova oggi in uno stato di impotenza, incapace di far valere la sua funzione giuridica ed il rispetto delle sentenze emesse.

Gli avvocati di Alpay e Altan hanno protestato vivamente e si sono appellati ad un altro tribunale, il 27°, per veder rispettata la sentenza della Corte costituzionale, ma anche questa volta si sono visti opporre un rifiuto.

Nel frattempo anche i difensori di alcuni giornalisti del caso Cumhuriyet (Murat Sabuncu, Akın Atalay and Ahmet Şık) hanno tentato di appellarsi alla sentenza e chiedere la scarcerazione dei propri assistiti, ma i giudici che seguono il loro caso hanno rigettato la richiesta argomentando che le sentenze Alpay e Altan sono frutto di un'applicazione individuale non estendibile ad altri casi.

Sabuncu, Atalay e Şık dovranno attendere perciò che la Corte costituzionale, già oberata da migliaia di casi legati alla repressione post golpe, si pronunci in merito alla loro applicazione individuale.

Il professor Yaman Akdeniz, docente di legge all'Università Bilgi di Istanbul ed esperto di diritto dei media, ha commentato quanto accaduto in una lunga intervista al portale turco Bianet. Secondo Akdeniz, i tribunali locali non hanno alcuna possibilità giuridica di riconoscere o meno la decisione della Corte costituzionale. La quale ha inoltre sottolineato, nella sua valutazione, l'assenza di prove o sospetti commisurati alla decisione di detenzione preventiva adottata dalle corti minori. “L'unica possibilità ora è la scarcerazione dei giornalisti”, sostiene Akdeniz.

Un’altra autorevole voce che si è levata in difesa della Corte costituzionale è quella di Osman Can, docente di diritto costituzionale ed ex giudice relatore della Corte costituzionale turca.

“Il fatto che la decisione della Corte sia incompatibile con l'opinione legale di altri tribunali o con la loro interpretazione della legge e della costituzione non giustifica la mancata adesione alle decisioni della Corte stessa, che invece costituisce una violazione della Costituzione. Questa confusione nasce dalla natura stessa dei processi in materia di diritti fondamentali, un dibattito non esclusivo della Turchia, ma in corso anche in Europa. Tuttavia, in nessun paese dove vige lo stato di diritto è possibile disattendere le decisioni della Corte costituzionale”, ha spiegato Osman Can.

Speranze europee

Costernazione da parte delle istituzioni europee, con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker che ha usato parole forti in occasione di una conferenza in Bulgaria: “La Turchia si allontana dalle sue aspirazioni europee e dovremo monitorare attentamente quale sarà l'evoluzione del paese nei prossimi mesi. Sicuramente non ci sarà alcun progresso mentre i giornalisti giacciono nelle carceri turche”.

Anche l'Osce si è schierata a favore della scarcerazione dei giornalisti Alpay e Altan, i cui nomi sono stati ricordati dal presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani durante una riunione plenaria con un intervento dedicato al progressivo degrado dello stato di diritto in Turchia.

In Italia Articolo 21, Fnsi e Rete No Bavaglio hanno lanciato una petizione online per portare il caso all'attenzione dell'opinione pubblica.

Ma l'ultima speranza risiede probabilmente oggi in un'altra istituzione dell'Unione. “Ora è tutto nelle mani della Corte europea dei diritti umani” (CEDU) ha commentato sconsolata una parente dei due giornalisti, il cui entusiasmo dopo la sentenza della Corte Costituzionale turca si è spento con l'evoluzione degli eventi.

Yaman Akdeniz spiega infatti che la sentenza della Corte costituzionale influenza il giudizio che la CEDU può avere nei confronti della Turchia, dove deve valutare l'esistenza di un potere giudiziario indipendente ed efficace. Soltanto quando tutte le vie legali sono esaurite può adottare provvedimenti relativi alle applicazioni che riceve dal paese. Una Corte costituzionale riconosciuta come impotente aprirebbe le porte dunque a sentenze della CEDU attese in Turchia da molto tempo.

Questa pubblicazione/traduzione è stata prodotta nell'ambito del progetto Il parlamento dei diritti, cofinanziato dall'Unione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.


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