Eva Gudumac - copyright Chiara Dazi

Eva Gudumac - copyright Chiara Dazi

Due donne, due percorsi professionali ad alta specializzazione. Ma quale lo spazio delle donne moldave nel mondo del lavoro?

06/04/2017 -  Francesco Brusa

Da una parte cablaggi, computer e trasporti segnano l'avanzare del terziario e dei suoi “ritmi d'ufficio”. Dall'altra falce e telaio, assieme ad altri strumenti agricoli che spesso recano con sé anche un forte valore simbolico, continuano a imporsi nella quotidianità di un mondo rurale che il più delle volte è visto solo come “arretrato”. In tale sincronia di passato e presente sembra essere immerso il mercato del lavoro moldavo attuale: vecchi alimentari di quartiere sopravvivono assieme a moderni negozi di elettrodomestici ed elettronica, i “palazzoni di stato” sedi di entità pubbliche con gli edifici “tirati a lucido” di aziende private. Come si sta evolvendo l’ingresso delle donne in questo contesto professionale?

Durante l'Unione Sovietica la componente femminile della società moldava era pressoché totalmente impiegata nel settore lavorativo, in mansioni che andavano dalla manodopera nei campi alla contabilità o dirigenza delle fabbriche. Una volta tornate a casa, queste lavoratrici, si dedicavano poi praticamente da sole alle operazioni domestiche e alla cura della famiglia. Oggi questo schema di esistenza quotidiana non pare granché cambiato. E per alcuni versi è peggiorato.

Un'ampia letteratura ha messo in luce come la transizione dal socialismo al regime di mercato nei paesi post-sovietici (così come in centro Europa e nei Balcani, pur con le dovute differenze) sia stata in particolar modo gravosa per le donne. La drastica riduzione dei sussidi per la maternità, in primo luogo, ha lasciato tante prive di un sostegno fondamentale. Il ritorno del fenomeno religioso ha poi rimesso in discussione in molti luoghi il diritto all'aborto, riaccendendo occasionalmente anche una certa tendenza al controllo delle nascite da parte dello stato.

In qualche modo le libertà individuali guadagnate con l'indipendenza, non potendo esprimersi pienamente per il venir meno di strutture sociali che le sostengano, finiscono per coincidere nei fatti con le restrizioni del passato. Possiamo allora supporre che oggi la quotidianità delle donne moldave sia, parafrasando lo storico racconto di Natalija Baranskaja, semplicemente un'epoca come un'altra?: “… scopriamo che ci rimangono fra le quarantotto e le cinquantatré ore alla settimana per la famiglia. Come mai non ci bastano? Perché rimangono tante cose da fare, che si accumulano da una settimana all'altra? Chi lo sa? Chi può sapere veramente quanto tempo occorre per quella che viene chiamata 'vita familiare'? E poi, cos'è questa 'vita familiare'?”, si chiedeva la scrittrice nel suo Una settimana come un'altra, che parla della problematica alternanza fra figli e istituto di ricerca in una cittadina sovietica negli anni '70.

Eva Gudumac, chirurga di prestigio

“Mio padre nel nostro villaggio lavorava come agronomo, ma in realtà lui è il primo chirurgo che ho conosciuto nella mia vita. Ogni volta che qualcuno della famiglia si faceva male ci curava con le sue conoscenze di base nella nostra stessa casa, perché non si fidava del personale che lavorava negli ospedali durante quegli anni”. Eva Gudumac nasce il 6 maggio 1941 in un piccolissimo centro nel distretto di Soroca, a nord del paese. Per poter frequentare la scuola primaria doveva percorrere vari chilometri a piedi. “Possiamo dire che ho inaugurato una 'dinastia': sia mia figlia che mio nipote sono ora medici come me”.

Il percorso di Eva è segnato dall'incontro con alcuni maestri che, oltre a trasmetterle la passione per la pediatria, le fanno capire l'importanza di una dedizione pressoché totale per il suo mestiere. Compie i suoi studi in medicina durante gli anni '60, tra Soroca e Chişinau. Dopo l'università decide di esercitare in maniera autonoma la professione ma è proprio la sua insegnante Natalia Gheorghiu, una delle chirurghe pediatra più importanti della Moldavia, a insistere perché Eva continui invece all'interno della clinica che lei dirigeva in quel momento. Da qui inizia una carriera che la condurrà fino alla onorificenza dell'Ordine della Repubblica, conferitale in seguito all'indipendenza del paese. “Non posso dire che in Moldavia ci sia un forte clima discriminatorio, ma in generale è molto difficile per una donna avanzare nella propria professione. La mia è un'esperienza positiva: sono sempre stata sostenuta dalla famiglia e da mio marito, che anzi sono orgogliosi dei miei risultati. Però non per tutte è lo stesso, chiaramente. Pochissime sono quelle che si dedicano alla scienza, e tante magari hanno scelto altre strade perché non hanno ricevuto il giusto supporto”.

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Eva è stata anche parlamentare della repubblica per 8 anni, come indipendente. È cosciente che una figura come la sua ha un certo peso nella società e può portare prestigio al paese. Nonostante abbia ricevuto offerte per lavorare in Russia e in Romania (dove, tra l'altro, è anche Doctor Honoris Causa) ha scelto di rimanere sempre in Moldavia “come segno di rispetto” verso i suoi professori e verso tutte quelle persone che l'hanno aiutata a diventare un medico. “Il settore sanitario si è evoluto parecchio da quando ho iniziato. Se prima bene o male un dottore aveva una conoscenza generale che gli permetteva di compiere qualsiasi operazione, oggi si va verso una iper-specializzazione forse eccessiva. La mancanza di fondi rimane uno dei problemi principali, a volte non si riescono a ottenere le tecnologie e gli strumenti più adatti. Ma il campo su cui occorre investire è quello educativo: è da lì che partono i cambiamenti”, conclude Eva, che da settantaduenne realizza ancora migliaia di interventi all'anno e continua a insegnare il proprio mestiere alle nuove generazioni.

Zinaida Jioară alla guida della AgroTV

Zinaida Jioară - copyright Chiara Dazi

AgroTv è il primo e unico canale informativo moldavo che si occupa esclusivamente di agricoltura. Quello agricolo rimane ancora uno dei principali settori dell'economia del paese. Agrotv si propone di ribaltare la narrazione negativa che spesso se ne fa, magari soprattutto all'estero. “Crediamo che in quest'ambito ci sia un potenziale enorme. Tante sono le storie di persone che cercano di innovare e che, nonostante le enormi difficoltà, non perdono la speranza”, ci dice la sua fondatrice Zinaida Jioară. “Il nostro ruolo vuole essere proprio quello di raccontare e mettere a fuoco le questioni più urgenti e portarle all'attenzione delle istituzioni. A volte abbiamo fatto addirittura da tramite fra agricoltori e piccole aziende con entità esterne che potevano offrire un supporto”. La stazione televisiva cerca allora di essere un “ponte” fra mondi che non comunicano a dovere e, in qualche modo, è anche la parabola esistenziale della stessa Zinaida a rappresentare una sorta di collegamento fra diversi aspetti della società moldava apparentemente in contraddizione.

Nata nel 1977 nella cittadina di Orehi, si trasferisce a Chişinau per compiere gli studi universitari. Si orienta inizialmente verso un'educazione artistica ma vira presto verso una carriera in campo economico e manageriale. Comincia infatti come contabile per la squadra di calcio Zimbru, per poi entrare a far parte dell'ufficio stampa. Grazie a tale esperienza nel mondo dello sport arriva addirittura a ricoprire per un decennio il ruolo di direttrice organizzativa dell'altro team di Chişinau, il Dacia FC. “Come può una donna avere le competenze necessarie per guidare una squadra di calcio? È una domanda che mi sono sentita rivolgere spessissimo, sopratutto agli inizi e a volte anche dalla stampa. Ma mi sento di dire che la società è cambiata parecchio negli ultimi tempi. Esiste una forte tendenza da parte delle donne ad assumere ruoli dirigenziali e si tratta oramai di una realtà molto comune almeno in alcuni settori. Pure l'attenzione dell'informazione verso questo fenomeno è cresciuta. Non so dunque se si debba ancora parlare di discriminazione: credo che siamo di fronte a qualcosa di totalmente nuovo, che porterà questioni e problematiche diverse rispetto al passato”.

Nel 2015, dopo aver condotto delle ricerche sul campo, Zinaida decide di intraprendere l'avventura imprenditoriale della web-tv AgroTv. A livello personale, è anche una sorta di “ritorno” verso il contesto più rurale delle sue origini, dove forse quei cambiamenti di cui lei stessa è portatrice risultano più lenti o acquistano sfumature diverse rispetto alla capitale. “La 'modernità' della città non penetra nella campagna. Qui permangono dei ruoli famigliari e lavorativi più tradizionali. Ma a mio modo di vedere tutto ciò non rappresenta un problema: si tratta della continuazione dell'organizzazione sociale precedente, che ha anche il compito di preservare un'identità che altrimenti andrebbe perduta”, conclude Zinaida.

Verso una mobilità trasversale

I percorsi di Eva e Zinaida sono percorsi di successo e di indipendenza e, assieme a quelli di tante altre donne del paese, ci dicono che dei cambiamenti sono effettivamente in atto. Ci si accorge di come valori e competenze legati all'imprenditorialità si stiano facendo strada, soprattutto nella componente femminile della società. Dalla caduta del muro in poi si è assistito infatti nei paesi dell'est a una notevole ascesa delle donne a ruoli dirigenziali nelle grandi aziende e, più in generale, in quei settori per cui risultano fondamentali dinamismo e spirito d'iniziativa individuale (come per esempio il campo delle ONG, dove le donne rappresentano una schiacciante maggioranza).

Alcuni autori rilevano inoltre come anche gli effetti negativi della transizione (la diminuzione dei sussidi, etc.) abbiano paradossalmente spinto molte donne a maturare appunto una smaccata intraprendenza, nel doversi dividere fra lavori ufficiali e informali e cura della famiglia, nel dovere farsi carico praticamente da sole di compiti ed esigenze cui prima in larga misura si occupava lo stato.

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Va comunque detto che a lato di tali sviluppi, che certo consentono a molte di innalzare il proprio tenore di vita, esistono realtà in cui cambiamenti e miglioramenti stentano a verificarsi. In particolare, il settore tessile impiega una grossa fetta di donne con condizioni d'orario e salari drammatici (a questo proposito, si sono infatti verificati negli ultimi tempi scioperi e proteste nella città industriale di Bălţi). Va inoltre ribadito che permangono differenze di retribuzione fra i generi e che, nonostante le possibilità di carriera descritte in precedenza, un reale accesso su base puramente meritocratica ai vertici della società appare spesso precluso alle donne.

Inoltre nell'osservare il mercato del lavoro moldavo, una delle caratteristiche più peculiari sembra essere quella di una rigida divisione di genere relativamente ai settori d'occupazione. Divisione che va di pari passo con una marcata distinzione fra “maschile” e “femminile” nei ruoli sociali.

In Moldavia esiste dunque uno sviluppo che a prima vista può apparire contraddittorio. Se da una parte per le donne si aprono spazi e occasioni di mobilità verticale che in alcuni casi superano gli standard occidentali, dall'altra tali possibilità sembrano rimanere rinchiuse in una “categorizzazione per genere” diffusa e difficile da scalfire. Se è certamente importante sostenere la possibilità per tutti e tutte di sviluppare la propria carriera lavorativa verso l'alto, altrettanto fondamentale – magari nel contesto moldavo addirittura più urgente – è interrogarsi su quali condizioni permettano invece una libera mobilità trasversale, in cui lo stretto legame che ancora sussiste fra professione e genere venga messo in discussione.

Andare a toccare tale legame significa andare a toccare quella relazione - forse inestricabile - fra evoluzione del genere (e dei generi) e progresso economico. Chissà dunque che il discorso di stampo femminista possa diventare il luogo in cui articolare anche un discorso critico sullo sviluppo del paese e sulle direzioni che sta prendendo, sul modo in cui redistribuire le risorse e sui modelli di organizzazione del lavoro da perseguire.


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