Un'immagine tratta da "Un episodio nella vita di un raccoglitore di ferro" di Danis Tanović

E' morto Nazif Mujić una cometa arrivata dall’oscurità al Filmfestival di Berlino e sparita nel buio più pesto. La discriminazione dei rom in Europa in questo ricordo

26/03/2018 -  Azra Nuhefendić

Usciva di casa verso le cinque di mattina, cercava di arrivare prima degli altri per trovare rottamaglia di ferro, quello che la gente buttava via di nascosto, durante la notte, nelle discariche abusive, nei boschi, lungo il fiume, nei ruscelli, dietro le case degli altri, lungo le strade, nei campi, fuori dai posti abitati.

Nazif raccoglieva il ferro vecchio e l’esperienza gli aveva insegnato che il guadagno migliore lo davano i rottami più ingombranti come frigoriferi, carcasse di macchine, batterie scariche, cucine economiche e roba simile.

Se capitava di trovare tra i rifiuti, ad esempio, una macchina scassata, per quel giorno eri a posto: il pranzo era assicurato, e forse qualcosina di più. Nazif smontava con calma la carcassa, raccoglieva tutta la ferraglia che c’era e la vendeva a 0,20 o 0,15 centesimi al chilo. Be’, non raggiungeva una cifra esorbitante, ma Nazif puntava alla sopravvivenza. Era contento se la raccolta permetteva a lui, a sua moglie Senada, alle due figlie e al terzo in arrivo, di mangiare.

Nazif conosceva bene i posti dove la gente gettava quello che non gli serviva più. Perciò come prima cosa di mattina controllava le discariche abusive, e se non trovava nulla d’interessante, allora per il resto della giornata frugava nei cassonetti.

Anche dalle pentole rotte, dai tubi scartati, dai ferri da stiro non funzionanti, dai vecchi termosifoni, dalle caldaie rotte, dai coperchi di metallo, dai recinti metallici, dai fili di acciaio, da tutta questa roba si guadagnava qualcosa pesandola sulla bilancia: 2,5 euro per un chilo di ottone, 1 euro oppure 2 marchi bosniaci per un chilo di alluminio, il che vuol dire una porzione di pita, il piatto tipico bosniaco, più uno yogurt.

Ma se succedeva di trovare qualcosa di rame, allora sì che era una giornata fortunata: per un chilo di rame si ricavano 4 euro, 8 marchi bosniaci.

Nazif aveva sentito parlare di alcuni raccoglitori di ferro, suoi “colleghi”, che avevano smontato in una notte un intero ponte per poi venderlo come ferro vecchio, oppure di amici, vicini, conoscenti che in cerca di ferro entravano nei campi minati, non segnalati, e ci lasciavano la pelle.

Aveva sentito parlare anche di certi raccoglitori che, di nascosto, rubavano le statue degli eroi nazionali dai parchi. Fatte in rame o bronzo, roba preziosa! Ma questo non voleva dire che Nazif fosse come loro.

Anzi, gli eroi nazionali per Nazif erano di tutto rispetto e guai a toccare i loro monumenti. E poi, non occorre puntare così in alto, tanto “ognuno ha la propria nafaka”, cioè il proprio destino.

Naziv credeva nella propria nafaka, ma cercava anche di darle una mano. Ogni mattina lui e sua moglie Senada si davano il buon giorno ripetendo dei rituali scaramantici. Prima di uscire di casa Nazif s’infilava la maglietta alla rovescia, per proteggersi dagli spiriti maligni, la moglie versava dietro di lui un po’ d’acqua, affinché il lavoro di quel giorno andasse bene e scorresse liscio come l’acqua, e se per caso Nazif dimenticava qualcosa a casa, non tornava indietro, sarebbe stato di cattivo augurio.

Tutte le speranze della sua famiglia puntavano su di lui, era lui l’unico a guadagnare qualcosa. Ma mentre si preoccupavano per Nazif, successe che la moglie Senada, incinta, si sentì male. Aveva bisogno di cure mediche urgenti.

A questo punto dovete conoscere anche voi la storia perché non solo la vicenda di Nazif e di sua moglie Senada finì nei giornali locali, ma anche nei media esteri.

Nazif e la sua famiglia sono rom bosniaci. L’appartenenza etnica nelle circostanze, o meglio nei paesi normali, non dovrebbe avere nessuna importanza. Ma essere rom in Bosnia vuol dire essere discriminati in anticipo, essere gli ultimi tra gli ultimi. I rom bosniaci sono i più disgraziati tra i miserabili. Sono poveri e disoccupati, senza istruzione ed educazione a causa della povertà.

Secondo la costituzione della Bosnia ed Erzegovina (fatta e firmata con gli Accordi di Pace di Dayton) un rom non può essere eletto per la presidenza del Paese (come pure un ebreo).

Certo Nazif e sua moglie non puntavano così in alto, a loro bastava il minimo indispensabile e, in questo caso che gli ha procurato tanta notorietà, l’accesso alle cure mediche.

La moglie di Nazif rischiava di morire di setticemia perché il feto che portava in grembo era morto. I coniugi correvano dal pronto soccorso all’ospedale, da un medico all’altro cercando aiuto, ma furono respinti da tutti, perché Senada non aveva la tessera sanitaria.

L’avrebbero lasciata morire, ma il suo caso fu riportato dai giornali, suscitò stupore, rabbia, scosse la coscienza di qualcuno e infine costrinse i medici a soccorrere la signora Mujić e a salvarla.

E qui potrebbe iniziare un’altra storia, quella del sistema sanitario della Bosnia ed Erzegovina che, ai tempi del sistema sanitario jugoslavo, era stato lodato dall’organizzazione Mondiale per la Salute (WHO) e classificato tra i migliori al mondo. Ma ai giorni nostri è sprofondato in un abisso profondo, dove non si soccorre neanche una persona che rischia di morire, come nel caso della signora Mujić.

La notizia di Nazif e sua moglie Senada ha catturato l’attenzione del regista bosniaco, premio Oscar per il film “No Man’s Land”, Danis Tanović. In meno di dieci giorni ha girato il film “Un episodio nella vita di un raccoglitore di ferro” in cui si parla proprio della vicenda della famiglia Mujić che vede loro come attori protagonisti nella parte di se stessi. Al Festival internazionale del cinema di Berlino del 2013, Nazif ha vinto l’Orso d’Argento come miglior attore.

Il film, il premio, la storia e i Mujić che recitavano “nei loro panni” fu un vero e proprio spettacolo al Festival di Berlino. Il pubblico si era alzato in piedi e aveva applaudito per dodici minuti.

La famiglia Mujić dalla strada infangata, dalla baracca abusiva in un posto sperduto e da un Paese come la Bosnia, il più povero in Europa, camminava sopra il tappeto rosso e sorrideva davanti a un pubblico mondano e mondiale. Se questa non è una fiaba, cos’altro potrebbe essere?

Quanti attori hollywoodiani darebbero tutto per vantarsi di una biografia come quella di Nazif, passato letteralmente “dalle stalle alle stelle”?

Nazif portò a casa la statuetta d’argento (di metallo). Fu accolto da eroe tra i vicini di Svatovac, un villaggio nel nord della Bosnia, dove altri rom come lui vivevano in baracche abusive, fuori dalla città senza strade, fognature e acqua potabile.

Tutti quelli, ed erano tanti, che volevano farsi fotografare con il celebre Nazif Mujić, dovevano indossare gli stivaloni di gomma per camminare sul fango che attorniava le case di Svatovac.

Tra i tanti entusiasti della vincita di Nazif, quello che mi colpì di più fu un bosniaco che prima che i Mujić

tornassero da Berlino, aveva scaricato davanti alla loro casa un camion di legna da ardere. “Quando torneranno avranno bisogno di riscaldare la casa”, aveva detto. Questo gesto, forse più di qualsiasi altra cosa, mostrava la miseria in cui vivevano Nazif e la sua famiglia.

Dopo il premio del prestigioso Festival, Nazif non sognava una carriera di attore, ma sperava nella possibilità di migliorare la sua vita e quella della sua famiglia.

Per molti, non solo per i rom bosniaci, la Germania è la terra promessa. Nazif si aspettava che il premio lo avrebbe aiutato, una volta in Germania, a richiedere e ottenere l’asilo. Fu respinto una, due, tre volte.

Tornato in Bosnia, ha raggiunto la sua casa “su una ruspa” perché la pioggia dei giorni precedenti aveva reso impossibile percorrere la strada diversamente.

E ha continuato a vivere in miseria. Due anni fa è stato costretto a vendere anche la statuetta del Premio, l’Orso d’argento, per 4.000 euro.

“Cos’altro ci si potrebbe aspettare da un firaun”, (firaun una parola ancora più spregevole di “zingaro”) commentavano sui social media.

Forse si aspettavano che tenesse la scultura, e morisse dignitosamente di fame?

Quest’anno proprio durante il Festival del cinema di Berlino Nazif Mujić è morto a 48 anni. Malato, in miseria, in una casa senza riscaldamento.

In quei giorni ascoltavo un programma italiano alla radio che trasmetteva in diretta la cronaca del Festival internazionale del cinema di Berlino. A parte le notizie sul Festival, ogni tanto veniva annunciata la scomparsa di qualche soubrette “morta a 96 anni”. Nessun accenno però alla morte di Naziv, una cometa arrivata dall’oscurità e sparita nel buio più pesto.


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