Una partita di basket in carrozzella (Wikimedia)

Una partita di basket in carrozzella (Wikimedia)

A che punto è, in Slovenia, l'integrazione e l'inclusione sociale di persone disabili attraverso lo sport? Una rassegna

04/11/2016 -  Antonio Saccone Lubiana

(Quest'articolo è realizzato in collaborazione con la rete FARE Europe )

Capitanato dal Comitato Paralimpico Sloveno, il progetto "Attivi, felici e sani" ("Aktivni, zdravi, zadovoljni") ha consentito a una rete di organizzazioni slovene di organizzare una serie di iniziative per promuovere l'inclusione e integrazione di persone disabili nello sport e attraverso lo sport.

"Penso che a Lubiana il livello di accessibilità stia migliorando e che in Slovenia si stia cominciando a capire perché l'accessibilità è importante. Penso che per una persona disabile sia possibile avere una vita normale: certo non tutto è perfetto, ma molti sono interessati a fare qualcosa – ci spiega il coordinatore dell'iniziativa Gal Jakič - credo che lo sport sia ancora un settore problematico, dato che molti sono ancora abituati a un modello di sport disabile superato, secondo cui l'offerta viene da noi. Ma non è più così, bisogna cercare attivamente. L'idea del nostro progetto è di creare una piattaforma che dia modo alle persone di cercare le attività disponibili senza contattare ogni volta il Comitato Paralimpico, adottando soluzioni individuali e specifiche. Credo che il modello sia buono, spero che in tanti parteciperanno più proattivamente".

Secondo alcuni dati diffusi dal Comitato Paralimpico Sloveno, durante il 2015 circa 1500 persone hanno partecipato a programmi e competizioni sportive. Quantificando nel 10% la popolazione slovena con una qualche forma di disabilità – così come si tende a fare in Europa - si può concludere che il dato ne rappresenta meno dell'1%. Gal prosegue la sua analisi: "Abbiamo ancora dei problemi, per esempio relativi al marketing, specie per quegli sport non classicamente collegati alla disabilità, quindi tutti eccetto ping pong, atletica e basket in carrozzina. Ad esempio l'associazione mondiale di softball ha una versione adattata che funziona molto bene, a Lubiana ci sono squadre interessate, ma c'è poca conoscenza di questo sport e poca consapevolezza che possa diventare uno sport inclusivo".

"Dobbiamo trovare un modo – prosegue Gal - per mostrare che ci sono tante discipline disponibili, che si può scegliere quella preferita e provare ad adattarla, abbandonando il modello precedente, nel quale a seconda delle possibilità fisiche venivano indicate 4 o 5 discipline. Bisogna adattare lo sport alla persona e non spingere la persona verso uno sport".

Lo sport, l'attività fisica e il gioco sono fenomeni potenzialmente capaci di aggregare, bypassando barriere culturali, fisiche, sociali ed economiche. Il calcio rimane tra gli sport più diffusi, praticati e popolari. Com'è la situazione in Slovenia relativa al calcio come vettore di inclusione di persone disabili? "Tra gli sport di massa – riflette Gal - probabilmente è il primo, se si guardano i numeri: è logico renderlo accessibile, anche se poi non vedo tante iniziative in corso. Alcune Federazioni mostrano interesse per programmi inclusivi, ma si aspettano di raggiungere un gruppo ampio, con tanta voglia di fare sport. Spesso la realtà è diversa, c'è molto lavoro da fare, cominciando per esempio dai programmi per i bambini, per cui promozione, organizzazione di campi, formazione di allenatori eccetera: bisogna investire in anticipo, sperando che i risultati arrivino. Spesso gli utenti non sono proattivi, alcuni lo sono, ma bisogna fare molto per convincerli: il modello classico in Slovenia è offrire attività gratuite, dove le persone partecipano per avere un po' di sport e un po' di socializzazione, con la speranza che alcuni rimangano nello sport".

Gal ci spiega che il calcio era tra le discipline che sono state adattate nelle scuole, ma come per il basket, ci sono state delle difficoltà: "Ai bambini è piaciuto giocare e si sono divertiti. Nelle competizioni sportive scolastiche si cercano i migliori talenti, mentre i nostri sport adattati hanno un approccio diverso: c'è un'attività per tutti, ogni partecipante riceve una medaglia e non ci sono vincitori. Inoltre, c'è anche un conflitto tra il modello sportivo paralimpico, rigidamente top down che premia gli atleti migliori, con l'approccio partecipatorio, dove tutti possono partecipare e divertirsi. Però abbiamo aperto uno spiraglio, speriamo che qualcosa cresca".

Uno dei motivi per cui non è semplice promuovere la pratica sportiva regolare in Slovenia per persone disabili è relativa alla dispersione geografica: al di là di Lubiana, Maribor e qualche altro centro urbano (che raccolgono circa il 30% della popolazione), la maggior parte della popolazione, incluse le persone disabili, vive in comunità medie e piccole, dove può essere difficile organizzare programmi idonei, trovare istruttori qualificati, creare ambienti inclusivi, favorire un'offerta diversificata e magari superare altre barriere, sia architettoniche che culturali.

Gal riprende la sua analisi: "Le squadre sono disperse, è difficile organizzare gli incontri. Anche i livelli più semplici, come le leghe regionali, potrebbero generare altre attività, come conferenze di allenatori, incontri, scambi eccetera. Ma sino ad oggi non ho visto molte iniziative così".

In realtà durante le settimane di azione FARE 2013 il gruppo sportivo Partizan Skofja Loka organizzò il Fair Play Day: oltre 50 ragazzi, disabili e non, si cimentarono con calcio, pallavolo, ping pong, ginnastica e karate. Oggi il Partizan continua a organizzare sessioni di allenamento cui partecipano persone disabili e non, nell'ambito del tennis tavolo e della ginnastica antalgica: ogni tanto si gioca anche a calcio, prevalentemente nella versione camminata. Ma in generale le associazioni sportive classiche, anche di livelli ricreativi, non riescono a facilitare la partecipazione di persone disabili.

Quale può essere la soluzione sul lungo periodo? Da dove si può cominciare? Gal: "E' relativamente facile trovare persone disposte ad aiutarci, dato che ci sono tante aziende attive e interessate, che vogliono dimostrare di avere una responsabilità sociale. Se ci si offre di fare tutto il lavoro, offrendo risultati e visibilità, l'accordo si può trovare. Non è certo questo il nostro obiettivo primario, ma se il progetto è valido, funziona e raggiunge una visibilità elevata, allora sul lungo periodo si può dialogare e ci si capisce meglio: le aziende potranno aiutarci in modo più attivo. Per ora – conclude Gal - possiamo essere contenti che stia succedendo qualcosa, che ci sono persone che stanno spingendo questo tema sull'agenda".


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