Le recenti elezioni amministrative in Kosovo erano state annunciate come un passo fondamentale nel processo di normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado. A seggi chiusi, problemi e dubbi restano, soprattutto a nord di Mitrovica

17/12/2013 -  Tatjana Lazarević Mitrovica

 "ZSO", "CIK", "minoranze nazionali", "Srpska": ecco le nuove parole chiave nel vocabolario politico del nord del Kosovo. Gli araldi di un cambiamento che dovrebbe avvenire nei prossimi mesi ed anni, dopo 14 anni di resistenza rispetto alle missioni internazionali e l'integrazione nello stato del Kosovo.

Secondo i dati definitivi forniti dalla Commissione elettorale centrale del Kosovo, la "Građanska inicijativa Srpska", pubblicamente riconosciuta come “la lista di Belgrado”, ha ottenuto la maggior parte dei seggi nelle cinque municipalità kosovare a larghissima maggioranza serba del Kosovo settentrionale, ma non a Mitrovica Nord. Nella città divisa, la "Srpska" ha infatti ottenuto gli stessi seggi (sei) della “Građanska inicijativa SDP”, la lista capeggiata da Oliver Ivanović, dopo che le elezioni sono state ripetute in due seggi a seguito degli incidenti occorsi durante il primo turno, tenuto lo scorso 3 novembre.

La "Srpska" ha ottenuto nove sindaci su dieci municipalità a maggioranza serba sull'intero territorio del Kosovo. Il nuovo sindaco di Mitrovica Nord sarà Krstimir Pantić, eletto nelle fila della "Srpska", che nel ballottaggio dello scorso 1 dicembre ha sconfitto per poche centinaia di voti proprio Ivanović, ex sottosegretario per il Kosovo nel governo di Belgrado. Nel nord, l'affluenza media nei tre turni di voto, il 3 e 17 novembre e il 1 dicembre, ha di poco superato il 20%.

Il fiasco del 3 novembre

Il primo turno delle elezioni amministrative, tenuto lo scorso 3 novembre, è stato un vero e proprio fallimento a Mitrovica nord. L'OSCE ha dichiarato che non vi sono state le condizioni per esprimere liberamente il proprio voto dopo che un gruppo di uomini mascherati, armati di bastoni, hanno fatto irruzione in alcuni seggi elettorali nel tardo pomeriggio ed hanno distrutto le urne elettorali. Fino a quel punto, l'affluenza era stata comunque estremamente bassa, e non erano mancate numerose altre irregolarità.

I sostenitori del boicottaggio hanno ribadito la loro posizione, e cioè fermare “le elezioni illegittime dello stato non riconosciuto del Kosovo”. Anche se i media mainstream non ne hanno fatto menzione, lo stesso leader dei contrari al voto Marko Jakšić aveva allertato l'opinione pubblica su possibili incidenti nel giorno delle consultazioni amministrative poche ore prima che queste effettivamente avvenissero. Denunciando che questi sarebbero stati organizzati proprio per delegittimare la campagna per il boicottaggio.

Lo stesso Jakšić si è quindi “dissociato in anticipo” dalle violenze. Le sue dichiarazioni sono diventate virali sui social media, mentre i mass media e i membri delle liste elettorali segnalavano numerosi casi d'intimidazione nei confronti degli elettori.

I sostenitori del boicottaggio si sono fatti trovare in effetti nei pressi dei seggi, dove hanno urlato “traditori!” agli sparuti gruppi di elettori che, accompagnati spesso dai propri funzionari superiori o dai datori di lavoro si recavano alle urne con sguardi preoccupati e insicuri. Tra chi si è recato a votare, molti erano amici, parenti o sostenitori degli stessi candidati. Fino all'incidente che ha messo fine alla giornata elettorale, l'affluenza si era fermata al 12% nel Kosovo del nord, e ad un anemico 7% a Mitrovica.

Per i media, le violenze che hanno fermato il voto nel pomeriggio del 3 novembre non sono state che la logica conclusione di una giornata elettorale estremamente problematica. Su internet è poi comparso in fretta un video amatoriale sulla fuga del gruppo protagonista dell'aggressione al seggio di Mitrovica. Molti dei commenti al video facevano riferimento ad un possibile coinvolgimento di Aleksandar Vulin, ministro senza portafoglio per il Kosovo e Metohija, e della gendarmeria serba.

Vari testimoni oculari hanno parlato di “facce nuove, in tuta, giacche di pelle e capelli cortissimi”, come riportato dal leader dell'Iniziativa anti-elezioni Nebojša Jović. La notizia della presenza a Mitrovica dell'ex comandante della gendarmeria serba Bratislav Dikić ha fatto molto rumore tra gli abitanti della città. Sembra che ci fossero anche altri “elementi interessanti”, come il discusso businessman Zvonko Veselinović, ritenuto vicino al Partito progressista serbo e di Mladen Obradović, leader del movimento di estrema destra “Obraz”.

La leadership politica della Serbia, ha annunciato che avrebbe fatto chiarezza sui responsabili del “flop”, ma alla fine non è emerso nessun responsabile.

Secondo turno, la svolta

Nella ripetizione del voto tenuta il 17 novembre in due seggi a Mitrovica nord e tre a Zvečan, c'è stata “una svolta”, con l'affluenza che ha toccato il 22%. Gruppi di lavoratori, condotti dai propri supervisori, si sono presentati al voto. Il cambiamento di atmosfera rispetto a due settimane prima era evidente: le attività dell'Iniziativa anti-elezioni si sono fatte quasi impercettibili, e nemmeno i cartelloni elettorali sono stati strappati.

I media hanno riportato di ripetute pressioni sui cittadini per “convincerli” a partecipare al voto. Quelle più insistenti sono arrivate dalle istituzioni finanziate da Belgrado, che hanno spinto perché i propri dipendenti depositassero la scheda elettorale nell'urna. Molti sono stati lacerati tra il “senso di dovere verso lo stato [serbo]” e la propria convinzione interiore di non votare. In pochi, però hanno avuto il coraggio di ammettere pubblicamente di aver subito pressioni.

Quelli che hanno osato parlare lo hanno fatto solo attraverso i social media. I media tradizionali sono infatti rimasti indifferenti a confessioni e sfoghi di questo tipo.

Vesna Čosić, “madre coraggio”

L'esempio più drammatico delle pressioni “pro-voto” è la storia di una donna disoccupata e incinta di Mitrovica nord, Vesna Čosić, che ha denunciato via Facebook di essere stata ricattata da un funzionario dei servizi sociali. L'uomo le avrebbe infatti detto che avrebbe potuto ottenere assistenza solo se avesse votato per il candidato della “Srpska” a Mitrovica nord, Krstimir Pantić.

Il caso della Čosić è stato immediatamente utilizzato dal rivale di Pantić, Oliver Ivanović, i cui sostenitori hanno diffuso ulteriormente la storia in città. Lo stesso Ivanović ha promesso aiuto alla Čosić, anche nel tentativo di mettere in cattiva luce il proprio avversario. La donna ha in seguito dichiarato che la sua forma di protesta pubblica non voleva essere a supporto di nessun candidato, ma era una rivolta personale contro nepotismo e corruzione verso i poteri forti locali, da lei definiti “una banda”. La Čosić, che si è autodefinita “una delle poche persone a difendere Mitrovica nel 1999”, si è poi pubblicamente espressa contro il voto.

Elezioni sotto assedio

Nel secondo turno (e terzo tentativo di voto) a Mitrovica nord, il 1 dicembre, l'affluenza al voto è nuovamente calata, assestandosi al 17%. Non sono stati registrati incidenti particolari, se si esclude la battaglia senza esclusione di colpi tra i due contendenti, Oliver Ivanović e Krstimir Pantić.

Pantić ha accusato Ivanović di essere il candidato degli albanesi e dei paesi occidentali, Ivanović ha replicato denunciando la scelta di Belgrado di sponsorizzare una sola lista in Kosovo, la “Sprska”. Dopo il conteggio dei voti, i due sembrano però consapevoli della necessità di cooperare nell'amministrazione della città nei mesi a venire, quando verrà costituita l'Associazione delle municipalità serbe ottenuta da Belgrado al tavolo negoziale di Bruxelles.

Nonostante la complessità dell'intera vicenda, molti serbi condividono in privato l'opinione che i tre turni elettorali sono stati poco più che un'umiliante farsa, recitata nella cornice dell'implementazione forzata degli accordi di normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia. Tutt'altro che le elezioni democratiche dipinte dai media “allineati”.

Tanja Vujisić, corrispondente di Radio Belgrado, è una dei reporter ad aver seguito il processo elettorale. Ecco le sue osservazioni, raccolte per Osservatorio Balcani e Caucaso: “Il voto al nord, soprattutto il 17 novembre, è stato un vero voto sotto assedio. Tanti poliziotti e personale militare non si erano visti nemmeno nei momenti più caldi degli scontri interetnici. Le elezioni, per definizione, dovrebbero essere un processo libero. Ma a Mitrovica c'erano soldati, veicoli militari ed elicotteri. Il silenzio elettorale è stato largamente violato, soprattutto dalle tv, mentre materiale elettorale veniva distribuito fin dentro i seggi. Nessuna sanzione. Il 1 dicembre l'OSCE ha impedito ai media di filmare nei seggi, e di raccogliere le dichiarazioni di chi aveva votato. Cameraman, fotografi e reporter non hanno potuto osservare la chiusura della giornata elettorale e l'apertura delle urne. La Commissione elettorale centrale ha tenuto solo un paio di conferenze stampa nel corso della giornata, insufficienti per un monitoraggio effettivo del voto e dell'affluenza. La campagna informativa per spiegare agli elettori le regole del voto è stata un disastro. Risultato: moltissimi voti invalidati. Anche perché le schede stesse erano tutt'altro che chiare”.

Integrazione o nuova resistenza

Nonostante le molte analisi che sottolineavano l'importanza delle elezioni sia per la Serbia che per il Kosovo, l'opinione dei serbi del nord a riguardo resta spaccata. Per alcuni, queste rappresentano l'inizio di una silenziosa integrazione della regione nella società kosovara, per altri invece il tentativo è quello di trasformare la nascente Associazione delle municipalità serbe in una sorta di “microstato”.

Tutti però rifiutano di vedersi come “kosovari”, e restano privatamente fedeli al permanere, almeno parziale, della “Serbia in Kosovo”. Ora ci saranno nuove sfide sulla strada dell'implementazione degli accordi di Bruxelles: l'intesa sulle dogane e sull'apertura del tribunale a Mitrovica nord.


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