La Valle Solaklı (Foto Fazıla Mat)

La Valle Solaklı (Foto Fazıla Mat)

In una delle più belle regioni della Turchia, nella zona del Mar Nero, è prevista, e in parte è già stata realizzata, la costruzione di centinaia di centrali idroelettriche. La popolazione locale si sente minacciata e lotta per il diritto all'integrità dell'ecosistema. Un reportage

05/07/2013 -  Fazıla Mat

La regione del Mar Nero, una delle più belle della Turchia, avrà presto un inquietante primato: ricca di corsi d’acqua come nessun’altra zona del paese, diventerà anche quella con il numero più alto di centrali idroelettriche. Ne sono previste ben 660 solo nella tratta orientale tra Artvin e Giresun fra già operative, in fase di costruzione o di progettazione. Ma ad affiancare questi impianti di potenza superiore ai 30 MW ci saranno almeno altre duemila micro-centrali che sorgeranno sui torrenti con una portata idrica minore.

Uno scenario che la popolazione locale percepisce come una vera e propria minaccia alla propria sopravvivenza, all’integrità dell’ecosistema e della biodiversità e combatte utilizzando ogni mezzo a disposizione: con battaglie legali, organizzandosi in associazioni e, quando non resta altra via, anche in forme di guerriglia.

La Valle Solaklı, Karaçam e Köknar

“In passato lo stato veniva da queste parti giusto prima dei periodi elettorali. Perfino Dio si era dimenticato di noi. Tutto ciò che è stato costruito nei nostri villaggi è stato realizzato grazie alle rimesse dei compaesani che vivono all’estero. Ora ci dicono che il paese ha bisogno di energia, che dobbiamo pensare al bene della nazione e rinunciare alla nostra terra. Io sono nata qui e tutto ciò che chiedo è continuare a invecchiarci”. Remziye Oğuz è una delle duemila anime che popolano Köknar e Karaçam, due villaggi gemelli situati a 1200 metri di altitudine sulla Valle Solaklı, in provincia di Trabzon.

Durante gli scontri di maggio a Koknar (foto Murat Sarı)

Koknar

I due paesi sono speciali, e non solo perché i suoi abitanti sono tra le rare comunità della regione ad avere come madrelingua il greco. Da due anni a questa parte la zona è teatro di ripetuti scontri tra militari e paesani per via della ferrea resistenza dimostrata da questi ultimi alla costruzione della centrale idroelettrica Derebaşı, una delle 36 previste nella valle.

“Quando nel 2008 hanno costruito la prima centrale nella vicina Çamlıkaya nessuno si è opposto perché era un progetto di piccole dimensioni, che non ha causato danni all’ambiente”, racconta ad OBC Murat Sarı, abitante di Karaçam e membro della “Piattaforma per proteggere la Valle Solaklı”. “Oltretutto gli appaltatori erano persone del luogo e benvolute dalla popolazione. All’inizio abbiamo creduto che anche i progetti successivi avrebbero avuto lo stesso impatto sulla natura. Quando in paese hanno organizzato la prima riunione informativa, la gente non si è opposta. Ma ci eravamo sbagliati. L’abbiamo capito con la devastazione ambientale causata dall’impianto Balkondu-1 a Uzuntarla dove intere sezioni del terreno sono state disboscate. Da quel momento abbiamo iniziato a mobilitarci e ad impedire l’accesso delle società costruttrici nella valle.”

“Lo scontro più violento si è verificato il 3 novembre 2011”, prosegue Ahmet Kalma, proprietario del caffè di Köknar. “Le autorità hanno inviato nell’area un plotone composto da 668 gendarmi per accompagnare le macchine da lavoro. Di fronte alla resistenza dei paesani i militari sono intervenuti non risparmiando nemmeno le donne, peraltro, sempre tra le prime file dell’opposizione”.

“Prima dello scontro, mentre facevamo la guardia di notte sotto la neve, un anziano del villaggio è arrivato con dei sacchetti pieni di pane. Ci sembrava una scena surreale, ci sentivamo quasi sul fronte di guerra. Qualcuno ha offerto il pane anche ai gendarmi, eppure sapevamo che il giorno dopo quel pane ci sarebbe stato restituito in forma di manganellate”, proseguono i due giovani.

Entrambi hanno trascorso decine di giorni in cella. Hanno a carico diversi processi. “Ci chiamano continuamente a deporre in procura”, racconta con un sorriso Aliye Tatlı. Come molte altre donne della regione ha un forte senso dell’umorismo che trasforma la narrazione delle loro battaglie in un’avventura comico-cavalleresca. Eppure è anche molto decisa: “In questo modo pensano che ci stancheremo e che ci faranno gettare la spugna. Ma non sarà così”.

Per Karaçam e Köknar le vie di difesa legali sembrano per il momento esaurite, visto che il ricorso presentato dai due villaggi è finito in prescrizione. Dalla parte opposta hanno avversari molto forti. “La società concessionaria Derebaşı A.Ş., la cui azionista principale è la Şekerbank, ha affidato il progetto in subappalto ad una ditta che fa capo ai Saral, una potente famiglia della nostra provincia con importanti legami in politica. Tra i nomi coinvolti in primo piano figurano l’ex capo della polizia di Ankara Cevdet Saral e l’ex ministro dell’Energia Fahrettin Kurt”, spiega Sarı.

Anche se la costruzione della centrale non è ancora stata avviata, il quadro complessivo della vicenda, assieme alle intrusioni ormai quotidiane delle forze dell’ordine nella vita del paese, sembrano alimentare un senso di impotenza e di rassegnazione tra la popolazione. “La mia vita è condizionata interamente da questa situazione”, aggiunge Sarı, “ma se non opponessi resistenza morirei di rimorso in futuro”.

La Valle Hemşin e il Villaggio Hilal

A est di Trabzon, a partire da Sürmene, inizia la patria del tè. Nel villaggio Hilal, come in tutta la valle di Hemşin, da sei anni l’attività principale è la coltivazione del tè biologico. A lavorare la terra, come di frequente in queste zone, sono esclusivamente le donne. Abdurrahman Aydın, tornato nel 2006 ad abitare nel suo villaggio natio dopo una vita trascorsa tra Istanbul e New Orleans, negli Stati Uniti, è un capo villaggio che si fa in quattro per migliorare le condizioni di vita delle sue compaesane. Spiega che sebbene lo stato incentivi la produzione del tè biologico, poi lo acquista allo stesso prezzo di quello coltivato con i concimi chimici. I tempi di crescita del biologico sono molto più lunghi, e alla fine il suo prezzo sul mercato risulta essere tre volte superiore all’altro.

Sul futuro della valle Hemşin pendono come spauracchi tre centrali elettriche, i cui lavori sono stati per il momento bloccati. Secondo gli abitanti della zona, se gli impianti dovessero essere costruiti causerebbero dei danni irreparabili all’ambiente e alle attività agricole di tutti i villaggi della valle. Mentre un primo impianto è stato abbandonato dalla società di costruzione per propria scelta dopo l’edificazione dello sbarramento della diga, il progetto della Şaraksel Enerji A.Ş., approvato dal ministero dell’Ambiente, è stato respinto nel 2009 da una sentenza del tribunale perché privo di un rapporto sull'impatto ambientale. Un decreto che ha messo i freni anche al progetto della terza centrale della Mars Enerji Elektrik Üretim Ltd. presentato nel 2010.

“Il torrente già non è più come quello di una volta”, afferma Ayşe Aydın, “in passato il flusso era così forte che non ci faceva prendere sonno di notte. L’acqua rimasta basta appena ai nostri bisogni, se costruissero la diga sarebbe la fine per noi.” Ayşe Zorbozan e Melahat Aydın riferiscono che nei mesi invernali quasi tutti gli abitanti si trasferiscono nelle grandi città,“il paese diventa quasi impraticabile per le forti nevicate e la mancanza di infrastrutture adeguate”, spiegano. A partire da aprile inizia il ritorno e la popolazione del villaggio si moltiplica per l’affluenza dei visitatori venuti a trascorrere l’estate tuffandosi nelle acque del fiume Hemşin. “Ci piacerebbe abitare a Hilal tutto l’anno ma non è possibile. Vorremmo che ci fossero maggiori possibilità di lavoro e di attività legate al turismo.”

Tra le oppositrici più incallite delle centrali c’è anche Seher Sarıçam, 75 anni, voce acuta e un lungo bastone che accompagna il moto dei suoi discorsi. “Sai quanti mezzi devo prendere da qui per andare in ospedale a fare una visita? Almeno tre. E sai quanto costa? Prima di pensare a costruire una centrale elettrica devono metterci un ospedale qui”.

Abdurrahman Aydın è convinto che la questione di fondo delle centrali progettate nella loro valle non sia la produzione di energia, ma l’appropriamento dell’acqua.“In uno dei progetti presentati venivano descritte le caratteristiche idriche del torrente, affermando che si tratta di acqua pulita e bevibile. Perché mai si dovrebbe specificare che è bevibile se l’obiettivo è unicamente la produzione di energia?” chiede.

“Anche se non viene pronunciata apertamente l’espressione ‘privatizzazione dell’acqua’ è quello che di fatto sta avvenendo”, sostiene anche l’avvocato Yakup Okumuşoğlu, esperto di tematiche ambientali e legale in oltre una ventina di processi avviati dalla popolazione della zona contro le centrali. “Lo stato concede alle società committenti il diritto di sfruttamento dell’acqua in tratti di fiumi per 49 anni, prorogabili per altri 49. E si consideri che alcune volte su un unico fiume vengono costruite anche decine di centrali”, ricorda l’avvocato.

L’inizio del boom delle centrali idroelettriche è riconducibile al biennio 2004-2005, quando alcune riforme di legge hanno aperto le porte della produzione dell’energia elettrica alle società private. Il piano governativo mira a ricavare energia da ogni possibile risorsa idrica per contribuire a diminuire la forte dipendenza del paese da fonti di approvvigionamento estero. Il potenziale idrico nazionale ammonterebbe (ad un livello puramente teorico) a 433 miliardi di Kw/h annuali. Secondo il quotidiano Milliyet, a dicembre 2012 risultavano 985 le società titolari di un accordo di concessione per lo sfruttamento dell’acqua.

Finora le cause avviate dalle associazioni ambientaliste hanno avuto in buona parte esiti a favore dei ricorrenti. Tuttavia, recenti modifiche legislative rischiano di rendere più difficili gli interventi del tribunale in futuro. Una recente legge ha infatti abolito l’obbligo del rilascio del rapporto di impatto ambientale, mentre un’altra in parlamento prevede l’apertura delle aree protette dei parchi nazionali all’edificazione.

La Valle Fırtına, Çamlıhemşin

La meravigliosa Valle Fırtına è una di queste aree protette. Özlem e Özay Erol, attiviste per l’ambiente, gestiscono un motel a Çamlıhemşin, in provincia di Rize, famosa anche per l’apicoltura. Negli anni ’90 la valle ha già avuto la sua prima esperienza di lotta contro un progetto di centrale idroelettrica con esito positivo grazie alla reazione compatta della popolazione locale. “Abbiamo appena scoperto che ora se ne stanno progettando altri 7”, racconta Özlem. “La gente di questa regione ha un legame viscerale con l’acqua. Se un giorno si riproponesse il problema sono sicura che la difenderebbero a tutti i costi.”

Secondo l’attivista, per il momento, la cosa essenziale è mantenere lo stato naturale della Valle Fırtına. “Questo posto ha già ferite da curare. Il nuovo settore turistico con orde di visitatori incuranti di sporcare o danneggiare l’ambiente ha creato danni a sufficienza. È una terra difficile da abitare, ma anche molto speciale per le sue caratteristiche naturali e culturali. Quello che vorremmo è che questi due valori vengano mantenuti attraverso progetti sostenibili. Applicare le regole del capitalismo selvaggio in un’area di questo tipo creerà un danno irreparabile”.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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