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A breve a Bucarest i funzionari delle principali organizzazioni finanziarie mondiali per controllarne i conti. Dal 2009 ad oggi la Romania ha sottoscritto accordi di prestiti per un valore superiore ai 25 miliardi di euro. Accordi definiti dall'attuale premier Ponta un "suicidio nazionale". Che atteggiamento assumerà ora che è al governo?

11/01/2013 -  Daniela Mogavero

Sbarcheranno a Bucarest il 15 gennaio e ripartiranno soltanto a fine mese i rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale, insieme a una delegazione dell’Unione europea e della Banca Mondiale. Una visita lunga e che si presenta piena di complicazioni alla vigilia.

Da una parte il governo Ponta-bis, forte di una larga maggioranza e che punta a non cedere su nuovi accordi e a ripagare al più presto i prestiti precedenti, dall’altro un gruppo di esperti internazionali che questa volta non saranno per niente teneri nei confronti dell’esecutivo e analizzeranno fin nei minimi dettagli i punti all’ordine del giorno: Pil, deficit di bilancio, crisi economica, vendita proprietà statali e l’avanzamento delle riforme.

Status quo

Prima di affrontare gli aspetti futuri del rapporto tra Bucarest e il Fmi, è utile ricordare lo status quo: la Romania ha concluso nella primavera del 2011 un accordo biennale di finanziamento preventivo con il Fondo per un valore di 3,4 miliardi di euro (Sba-Hapas) e altri due patti simili con la Banca Mondiale e l’UE per 1,6 miliardi di euro, in totale quindi cinque miliardi di euro da utilizzare solo se veramente necessario.

In precedenza, nel 2009, Bucarest era stata costretta, sull’onda della crisi internazionale che aveva paralizzato la crescita e il suo settore industriale, a firmare un accordo di stand-by con gli stessi tre partner per un valore complessivo di circa 20 miliardi di euro.

Un suicidio nazionale?

Sia il primo che il secondo accordo erano stati definiti dall’attuale premier Ponta, allora all’opposizione “un suicidio nazionale”. “Un anno fa, in un incontro con il Fondo Monetario Internazionale, quando eravamo all’opposizione – ha dichiarato recentemente Dan Radu Rosanu, capo gruppo dei Liberali alla Camera – abbiamo chiesto un aumento degli obiettivi del deficit di bilancio per permettere la crescita economica del Paese. All’epoca il capo della delegazione era Jeffrey Franks che ci diede la sua parziale approvazione a patto di portare avanti i progetti infrastrutturali. Adesso – ha spiegato – speriamo che la nuova missione ricordi la promessa e ci permetta di sforare il deficit di bilancio di solo il 2% per rilanciare la crescita”.

Il bilancio 2013, infatti, sarà gravemente penalizzato anche dagli interessi e dai prestiti stessi che la Romania ha contratto negli anni precedenti, quindi senza una concessione di questo tipo potrebbe diventare difficile per il governo trovare fondi per progetti come il nuovo ponte sul Danubio o le nuove linee della metro di Bucarest, ritenuti strutturali.

Ottimismo obbligato

Il governo e la Banca centrale romena, però, sono ottimisti. Il governatore Mugur Isarescu ha dichiarato, pur senza sbilanciarsi troppo, che la Romania potrebbe avere una posizione finanziaria più sicura alla fine dei colloqui: “Dobbiamo ancora concludere l’accordo e alla fine delle trattative, probabilmente già al termine di gennaio, potremmo avere delle prospettive positive e una buona base di partenza per il 2013”, ha dichiarato Isarescu senza commentare l’ipotesi di un nuovo prestito con il Fmi. Possibilità, quest’ultima, che Ponta tende a escludere categoricamente: “La politica dei prestiti esteri si è dimostrata inefficace. Escludo la possibilità di un’ulteriore richiesta d’aiuti, a meno di un ulteriore peggioramento della crisi nell'Eurozona".

I negoziati di gennaio, però, non saranno affatto semplici, soprattutto perché la delegazione del Fondo, che ha lasciato Bucarest a novembre in tutta fretta e senza fare dichiarazioni, non accetterà con facilità le spiegazioni del governo sulle mancate privatizzazioni degli asset statali, richieste come garanzia di stabilità dei conti pubblici negli anni scorsi.

Mancate privatizzazioni

In particolare il governo di centrosinistra ha posticipato la vendita della compagnia aerea di bandiera Tarom, del produttore di gas naturale Romgaz e della società che gestisce l’energia nucleare Nuclearelectrica, tra le altre. Un atteggiamento in palese contrasto con il Fmi. “E’ un segnale negativo per gli investitori – ha sottolineato l’analista di Raiffeisen Ionut Dumitru – che invece si attendono un progresso nella riforma del settore pubblico quest’anno, soprattutto nelle privatizzazioni”.

Il Fondo ha apertamente criticato la Romania per la mancata riforma dell’ingombrante settore pubblico. A preoccupare analisti e Fmi è anche la decisione di Ponta di dividere in due ministeri il dicastero delle Finanze, come parte del progetto di ampliamento della squadra di governo da 19 a 27 ministri, per dare spazio a tutte le tre componenti della coalizione Usl.

Occhi aperti anche da parte delle agenzie di rating: Moody’s ha avvertito Bucarest dei possibili ostacoli sulla strada. “Il primo è la crisi economica – ha scritto l’agenzia assegnando un outlook negativo al Paese – il consolidamento del sistema fiscale è complicato dal calo delle entrate e dalla difficoltà di tagliare le spese. Il clima politico, inoltre, potrebbe essere instabile nonostante la larga maggioranza conquistata dalla coalizione, che rischia di avere problemi a realizzare i suoi piani”.


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