Sono stati efficienti nelle riforme? Hanno forti relazioni con l'area euro? Ora ne pagano le conseguenze. È quanto emerge da un paper di recente pubblicazione: “The Variable Impact of the Global Economic Crisis in South East Europe‏”. Di seguito una introduzione

26/07/2012 -  Martina Pietrantoni

La crisi economica globale ha avuto un suo impatto anche sui paesi del Sud Est Europa. Alcuni sono stati colpiti molto duramente a partire dal 2009, con un brusco declino del Prodotto interno lordo, produzione industriale ed esportazioni. Su altri, invece, la forza d'urto della crisi è stata di intensità minore e ben presto in essi – perlomeno dall'analisi dei dati relativi al biennio 2009-2010 - è divenuto visibile un timido recupero.

E' da questa considerazione di partenza che nasce il paper “The Variable Impact of the Global Economic Crisis in South East Europe‏”, scritto a due mani dai ricercatori Will Bartlett e Ivana Prica e recentemente pubblicato da LSEE- Research on South Eastern Europe (unità di ricerca dell' LSE European Institute di Londra)

In quest'ultimo, infatti, si sono indagate le ragioni del differente impatto della crisi sui paesi dell'area. Secondo i due autori il motivo principale è relativamente semplice: i paesi più integrati all'interno del sistema economico globale sono stati quelli maggiormente colpiti dalla recessione.

Paradossalmente, gli stati che hanno compiuto maggiori progressi, creando contesti istituzionali caratterizzati dalla presenza di aziende private ed un contesto di mercato competitivo – i paesi che si sono quindi maggiormente integrati nel mercato europeo - hanno sofferto più degli altri dell'impatto con la crisi.

E' il caso, ad esempio, di paesi come la Bulgaria, la Croazia, la Slovenia e la Romania, paesi membri dell'Unione europea o candidati di prossimo ingresso, i quali hanno sperimentato una crescita negativa del PIL nel biennio 2009-2010.

I paesi che invece hanno avuto un percorso più lento nel processo di integrazione con il mercato e le istituzioni globali sono stati colpiti nel biennio 2009-2010 meno duramente. Forse è una magra considerazione, ma è un dato di fatto che i loro risultati economici abbiano ricevuto scossoni meno rilevanti.

Prendendo in considerazione il triennio 2008-2009-2010 Macedonia, Serbia e Bosnia Erzegovina hanno attraversato solo un moderato declino del PIL nel 2009 seguito poi, da una crescita modesta nel 2010.

Nel paper vengono inoltre analizzate le politiche adottate in risposta alla crisi dai vari governi e il rapporto tra i paesi del Sud Est Europa e le istituzioni finanziarie internazionali. In merito a queste ultime, secondo i due autori, gli aiuti internazionali sono stati sicuramente importanti ma avrebbero anche accentuato la fragilità strutturale dei paesi della regione che hanno ricevuto tale appoggio.

Un'uscita definitiva dalla crisi sembra comunque, almeno per il momento, una possibilità molto remota. Conferma a questo arriva anche da un recente dossier della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). “La crisi nell'area euro continuerà ad impattare negativamente su quelle economie maggiormente legate all'eurozona”, si afferma nel rapporto.

Secondo la BERS il Sud Est Europa viene colpito sia dalla riduzione dei flussi nei canali finanziari che dalla diminuzione degli scambi commerciali. “Queste regioni in transizione soffriranno del fatto che le Banche occidentali, che giocano un ruolo cruciale in molti paesi dell'Europa emergente, continueranno a rinforzare i propri bilanci limitando il credito e vendendo i loro asset”, si chiarisce nel dossier.

“Nella prima parte del 2011 sembrava evidente un miglioramento della situazione, ma l'attività economica si è indebolita nel corso della seconda metà dell'anno e nei primi mesi del 2012. La crescita nel 2012 è da ritenersi positiva se sopra lo 0”, si aggiunge. Poi, in chiusura del rapporto, una considerazione che ci riporta al paper firmato da Will Bartlett e Ivana Pirca: “Il rischio più rilevante per questi paesi rimane il legame con l'eurozona”.


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