Un settore quanto mai dinamico che descrive i cambiamenti, anche radicali, attraversati dalla Serbia negli ultimi vent'anni. Una tesi di laurea. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

23/04/2013 -  Sarah Camilla Rege

“Bratstvo i jedinstvo” (Fratellanza e unità). Il motto di Tito può sembrare superato, oggi, e invece è più attuale che mai. In Serbia, il Paese che molti vedono con una certa semplificazione come “il cattivo” della polveriera balcanica, molte Organizzazioni Non Governative (ONG) sembrano aver fatto di queste due parole il loro slogan.

La Serbia, con il suo trascorso storico e le sue peculiarità odierne, rappresenta una particolarità per quanto riguarda lo sviluppo della società civile e la situazione delle ONG. Simile al contesto dei paesi ex-comunisti, ma con caratteristiche tutte sue; differente nel suo passato dai paesi dell’Europa occidentale, oggi sulla via di diventare membro nell’Unione Europea. È uno Stato di non facile comprensione.

Le ferite degli anni ’90 sono ancora fresche e non del tutto rimarginate. Le relazioni con gli altri paesi balcanici sono critiche non solo nei rapporti interstatali, ma anche nella fiducia e nel sospetto che si respirano fra la gente comune. In questo campo le ONG , grazie alla loro capacità di adattamento, alla loro dinamicità e carica innovativa sono gli attori che meglio possono agire sulla popolazione, aiutandola a rimarginare le ferite.

Questo lavoro si propone di ovviare alla mancanza di dati aggiornati sul mondo delle ONG serbe. Un questionario inviato a 46 organizzazioni ha permesso di “fotografare” un ambiente giovane e vitale, con un importante incremento della presenza di giovani fra i propri membri; il che non solo testimonia il fascino che il settore no-profit esercita sulle nuove generazioni, ma evidenzia anche l’apporto di entusiasmo e innovazione con parallelo incremento della cooperazione internazionale.

Giovane è anche l’età delle ONG stesse, la cui maggioranza è nata fra il 2000 e il 2011. La caduta del regime di Milošević ha infatti posto la società civile davanti a due gravi criticità. In primo luogo in alcune zone del Paese si trattava di far fronte a emergenze umanitarie, come l’organizzazione dell’accoglienza ai profughi. In secondo luogo la Serbia post Milošević per ragioni economiche dovette dare il via ad ampie privatizzazioni, anche nel campo dell’assistenza sociale. Il settore privato non aveva esperienza in merito e spesso non riusciva a coprire la domanda della popolazione. Le ONG andarono a riempire quel vuoto, fornendo i servizi che né lo Stato né il settore privato erano in grado di offrire.

Nonostante le difficoltà registrate, fra cui la “disattenzione” dello Stato verso il settore no-profit, la corruzione diffusa e una legislazione inadeguata, il settore delle ONG serbo è vivo e attivo: si fa carico dei problemi che lo Stato non riesce a risolvere, assistendo le fasce deboli della società. Allo stesso tempo cerca di educare alla diversità e di far superare i vecchi pregiudizi ancora presenti verso le altre nazionalità balcaniche. Rimangono problematici i rapporti fra le associazioni e i partiti politici, rapporti che spesso si sovrappongono creando confusione. La società serba è cambiata molto dagli anni ’90 e se le nuove generazioni sono meno influenzabili dalle retoriche del nazionalismo estremista si deve dar merito anche al lavoro delle ONG, che ogni giorno si adoperano per offrire un futuro migliore.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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