Questo saggio - scritto nel corso del Master interdisciplinare in Ricerche e studi sull'est europeo (Mirees) - si concentra su due casi studio: quello della Cecenia e del Daghestan. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

01/10/2013 -  Francesca R. Bastianello

In seguito al crollo dell’Unione Sovietica, molti leader politici trovarono nella religione un mezzo efficace per mobilitare le masse e ottenere la legittimazione necessaria a un nuovo stato. In particolare, nelle repubbliche musulmane dell’ex URSS, fra cui la Repubblica Cecena e il Daghestan, l’Islam rappresentò un essenziale fattore di coesione sociale.

Le due repubbliche del Caucaso settentrionale hanno affrontato la transizione sotto una crescente influenza religiosa che ne ha inevitabilmente condizionato le politiche, le scelte e l’evoluzione, soprattutto in seguito alla prima guerra cecena (1994-96).

Infatti, se fino ad allora entrambe mantennero una politica laica, il diffondersi del movimento radicale Wahabbita dal Daghestan e, soprattutto, l’arrivo di Wahabbiti stranieri in aiuto dei ceceni, rese l’Islam una seria minaccia alla stabilità di una regione già di per sé instabile.

Inoltre, l’ideologia dei combattenti stranieri, estranea all’area e differente non solo da quella più tradizionalista delle scuole Sufi, ma anche da quella dei Wahabbiti locali, divenne un potente agente di destabilizzazione all’interno della stessa società. Ne derivò, ad esempio, una profonda frattura generazionale in quanto i giovani, sfiduciati dall’incapacità del governo, dalla mancanza di opportunità economiche, di partecipazione politica e dalla mancanza di moralità, risposero positivamente al richiamo Wahabbita e ne divennero in gran numero seguaci.

Questa capacità organizzativa e di persuasione dei combattenti venne ben presto sfruttata da signori della guerra come Basayev per raggiungere i propri obbiettivi politici in una società che, come mostrano sondaggi condotti localmente, non professava né sosteneva un Islam così radicale. Molti furono gli scontri, specialmente in Daghestan, fino all’invasione capeggiata da Basayev e Khattab, che così fornirono il casus belli della seconda guerra cecena (1999-2000). Quest’ultima non fu solo una guerra contro la Russia, ma anche una sorta di guerra civile in una società sempre più frammentata confessionalmente e politicamente.

Mosca non solo si dimostrò, in entrambe le guerre, incapace di risolvere la situazione, ma la deteriorò. Inoltre, etichettando i ceceni come terroristi, facilitò il compito degli estremisti favorendo l’islamizzazione della società.

Oggigiorno la religione costituisce l’epicentro della vita sociale, politica e ideologica di entrambe le repubbliche e, allo stesso tempo, agisce da principale fattore destabilizzante. L’influenza religiosa, anche in campi non prettamente appartenenti alla sua sfera, è crescente ed esercita pressioni sociali e psicologiche sugli individui. Daghestani e ceceni non sono contro la presenza religiosa nella società di per sé, piuttosto, come testimoniano recenti sondaggi, ritengono prioritario combattere l’estremismo violento, anche se con i metodi diversi da quelli poco chiari usati finora dalle autorità locali.

L’analisi condotta fa capire come la risposta alla sfida islamica non risieda solo nella sfera religiosa o della sicurezza, ma in una combinazione di comprensione sociale, accessibilità a alternative politiche, alla creazione di immagine attrattive. Le autorità, in società con una così forte moralità come quelle delle repubbliche musulmane, devono presentarsi come punti di riferimento per i propri cittadini, ponendo attenzione all’ideologia e al pensiero così come ai bisogni materiali, sviluppando appropriate politiche e progetti a lungo termine.


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