La bandiera della Bosnia Erzegovina

Un'analisi della Bosnia dalla morte di Tito ai giorni nostri. Una tesi di laurea. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

04/11/2014 -  Flavio Boffi

Conosciamo molto del passato bellico della Bosnia Erzegovina. Ma com’è diventato il Paese dal lontano 1995 e cos’è che lo rende, ad oggi, uno tra i più complicati dell'area dal punto di vista socio-politico?

Nello svolgere la mia analisi, sono partito dalla scomparsa del maresciallo Tito, il “collante” di tutta l’area jugoslava per circa quarant’anni, e dalla conseguente crisi dello stato jugoslavo e dei suoi rappresentanti, abituati per troppo tempo ad avere un punto di riferimento unico.

L’incapacità di rispondere alle sfide contemporanee mostrò il fianco a nostalgie e rivendicazioni, che si espressero per tutti gli anni Ottanta in nazionalismi e progetti di “omogeneizzazione”, ben rappresentati da uomini come Tudjman, Karadžić e Milošević, interpreti della profonda frustrazione in cui la popolazione si venne a trovare.

Il continuo battere sul tasto del nazionalismo logorò il tessuto con cui era cucita la Jugoslavia, spinse le popolazioni a mettere da parte qualunque progetto di riforma della vecchia confederazione per avviarsi verso un futuro indipendente e aprì le porte, inevitabilmente, a una serie di guerre: in Slovenia, in Croazia e in Bosnia Erzegovina. Conflitti, questi, etichettati come “etnici”, ma in realtà manovrati e condotti al fine di ottenere, molto semplicemente, più potere possibile.

Nella mia analisi, mi sono concentrato molto sul ruolo avuto da Unione Europea e ONU durante il conflitto; nonostante la straordinaria abilità di Milošević e Mladić nel mascherare e confondere le idee ai governi dei paesi occidentali, non vi è dubbio che qualcosa in più si poteva fare.

Ad ogni modo, le guerre portarono alla conclusione dell’esperienza jugoslava e gli accordi presi a Dayton, che decretarono la fine del conflitto in Bosnia Erzegovina, lasciarono un Paese lacerato da profonde divisioni e devastato dal punto di vista infrastrutturale, economico e civile. Soprattutto, gli Accordi, di fatto, completarono con la pace quella pulizia etnica che si era cercata di attuare con la guerra; la divisione etnica della Bosnia Erzegovina costrinse a migrazioni di massa, ad abbandoni di quartieri, di città, di porzioni di Paese.

Ad oggi, dunque, qual è la situazione della Bosnia Erzegovina? Questa è stata la domanda che mi ha spinto ad andare a Sarajevo, in modo da comprendere maggiormente la situazione in cui si trova la Regione, intervistando diversi funzionari della Comunità internazionale. Da qui sono partito per analizzare il presente e il futuro della Bosnia Erzegovina, sia dal punto di vista dello sviluppo interno, sia della prospettiva europea. Un futuro che, certo, al momento, anche a detta di molti funzionari dell’Unione Europea, non sembra essere né vicino, né roseo, né tantomeno semplice da raggiungere. Ma che, altresì, è ormai tracciato e “obbligato”, se il Paese non vuole essere annoverato tra i failed states.

Finora, pochi sono stati i passi in avanti, anche a causa di una popolazione troppo passiva. Nei primi mesi di quest’anno, però, qualcosa sembra essersi mosso, con i cittadini bosniaci finalmente scesi in piazza. Lentamente queste proteste stanno scomparendo, ma possono ancora rappresentare un punto di partenza per un vero cambio di passo.


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