Istruzione

Religione ed educazione in Croazia

10/01/2002 -  Anonymous User

I rapporti tra lo Stato e la Chiesa riguardo l'insegnamento della religione nelle scuole. La divisione dell'opinione pubblica e di alcuni insegnati sulla necessità di introdurre la lezione di religione nelle scuole elementari.

Quando nel 1990 chiesero ad una ragazzina di sei anni che cosa significasse la nuova bandiera croata, lei rispose: "La bandiera... significa che avremo l'insegnamento della religione a scuola".
L'insegnamento della religione (in pratica: dottrina cattolica) è già stato introdotto nell'autunno del 2001 come materia facoltativa nelle scuole d'obbligo e nelle scuole superiori. Nonostante il carattere facoltativo dell'insegnamento religioso, più del 90% degli studenti - ovvero dei genitori - ha deciso di frequentare la materia. I non credenti, o gli appartenenti alle comunità religiose non cattoliche, durante i primi anni di "euforia religiosa" sono stati sottoposti a differenti tipi di pressione o discriminazione. La sensazione è che fosse in corso un processo di omogeneizzazione spirituale, quindi non soltanto politica, della nazione. Ma questa cosiddetta euforia ha raggiunto il suo culmine, e già dalla metà degli anni novanta è andato diminuendo il numero degli studenti disposti a frequentare la lezione di religione. Non esistono dati precisi a disposizione, ma secondo alcune analisi generali del fenomeno, pare che il numero degli studenti che attualmente frequentano tale materia rappresenti non più del 50% del totale degli iscritti. Questo dato risulta evidente soprattutto nelle scuole medie superiori, dove la materia "religione" è una delle due possibilità poste come obbligatorie, assieme alla materia denominata "etica" che alcuni cinici hanno definito "dottrina religiosa per atei".
Nel frattempo la Chiesa ha prodotto un numero enorme di insegnanti specializzati nell'insegnamento della religione. Più dell'80% degli studenti universitari di teologia iscritti presso le università di Zagabria, Fiume, Spalato, Zara e Djakovo, che si trovano sotto il controllo ecclesiastico, sono laici e la maggioranza netta è rappresentata da donne. Essi seguono un corso di preparazione proprio per l'insegnamento della religione o della dottrina cattolica. La produzione di neolaureati in teologia è tale da poter prospettare una nuova categoria di laureati disoccupati: gli insegnanti di religione.
Dopo la svolta dal 3 gennaio 2000 non si sono registrati cambiamenti di rilievo, né nell'interesse mostrato verso la materia da parte della gioventù e dei loro genitori, né sul piano della politica governativa che continua a mantenere inalterata la portata del proprio sostegno alla Chiesa. E' tuttora in vigore il Concordato firmato tra il Governo di Tudjman e la Santa Sede nel 1993, che molti hanno definito come uno dei più restrittivi dell'autonomia delle autorità laiche di governo nella gestione delle questioni religiose, trasformando la Croazia nel paese europeo dove la Chiesa cattolica gode di maggiori privilegi.
Nel nostro contesto è importante un fatto: il Concordato esclude ogni possibilità d'influenza dello Stato, delle comunità locali o delle autorità scolastiche sull'impostazione dell'insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, quindi sui programmi, sulle metodologie pedagogiche utilizzate, sulla nomina del corpo docenti, ecc. Allo Stato rimangono da espletare soltanto degli obblighi, tra i quali quello di assicurare tempo e spazio per la materia e il pagamento degli stipendi ai docenti nominati dal vescovo locale. Commentando la posizione dello Stato in relazione all'argomento, il preside del Liceo classico privato di Zagabria e deputato parlamentare Zlatko Seselj (del Partito Social Democratico - SDP), insiste sul carattere non costituzionale dei dettami approvati con il Concordato. "Sulla base di questo concordato, lo Stato non possiede alcun tipo di ingerenza sulla questione dell'insegnamento religioso nelle scuole" ha dichiarato Seselj. E ha aggiunto: "E' quindi necessario approvare una revisione di tale accordo con la Santa Sede e rientrare in un quadro costituzionale, perché la Costituzione croata definisce il paese - quindi lo Stato e la società - come un paese laico. Soltanto così è possibile cambiare l'attuale situazione, dove la Santa Sede è in una posizione di maggior potere rispetto al Parlamento".

Il Concordato prevede l'insegnamento religioso anche nelle scuole materne. Proprio con l'inizio dell'anno scolastico in corso è stato avviato l'insegnamento della materia in circa 40 scuole materne. Per fare degli esempi che caratterizzino la situazione, prendiamo il caso di due di queste scuole in zone diverse della Croazia. Presso la scuola materna "Vrbik" di Zagabria vi sono 680 bambini iscritti, dei quali 350 di età tra i quattro e i sei anni che frequentano l'ora di religione cattolica. Tra di loro vi sono anche alcuni bambini appartenenti a famiglie non cattoliche oppure atee, i cui genitori hanno concesso che venga impartita l'educazione cattolica. Invece, nella scuola materna di Beli Manastir - nel nord della Croazia, al confine con l'Ungheria - si sono costituiti due gruppi di bambini: il primo gruppo frequenta le lezioni di dottrina cattolica, il secondo quelle di dottrina ortodossa. In futuro si dovrà inoltre porre in atto l'obbligo, dettato dal Concordato, secondo cui lo Stato ha il dovere di assicurare l'educazione religiosa nelle scuole materne pubbliche per tutti i bambini i cui genitori esprimono questo desiderio. Il primo passo fatto dal Ministero per l'educazione pubblica in questo senso, è stato l'organizzazione di corsi di formazione per maestri delle scuole materne all'insegnamento della dottrina cristiana. I corsi si stanno svolgendo dall'autunno del 2001, presso istituti preposti collegati alle cinque facoltà di teologia del paese.
L'introduzione dell'insegnamento religioso nelle scuole materne ha diviso l'opinione pubblica croata, provocando polemiche di un certo rilievo. Alcuni non hanno posto alcuna obiezione rispetto a questo insegnamento, soprattutto nelle località a totale presenza cattolica, mentre altri ne hanno sollevate diverse. La proprietaria della scuola materna "Disneyland" di Spalato, Ivanka Vukorepa, per esempio non sa ancora dire se la sua scuola introdurrà la materia nel programma. "Dobbiamo essere molto prudenti in ciò" ha dichiarato la Vukorepa. "La nostra scuola rispetta le usanze religiose popolari, la festa di San Nicola, ecc... ma l'educazione religiosa è un argomento totalmente diverso. I nostri bambini provengono da famiglie diverse, abbiamo dei testimoni di Geova ma anche genitori che non vanno mai in chiesa". La preside della scuola materna Radost di Parenzo, Divna Radola, è cosciente che assicurare l'educazione religiosa ai bambini i cui genitori ne fanno richiesta è importante, ma personalmente non pensa che la scuola materna sia un luogo adatto per l'introduzione di una materia come questa, "perché tramite essa si possono creare divisioni tra i bambini e portare quindi a sicuri effetti negativi".
Una critica molto severa arriva dalla presidente dell'Unione delle scuole private della Croazia, Jasenka Breitenfeld. Secondo la Breitenfeld l'introduzione della dottrina cristiana nelle scuole materne "cancella la famiglia quale base dell'educazione morale e religiosa, ma anche il lavoro decennale che la Chiesa ha saputo fare nel periodo della disgregazione tra Stato e Chiesa, attraverso la realizzazione di differenti attività. La dottrina cristiana nelle scuole pubbliche, quindi dalla scuola materna fino alla scuole media superiore, genera disuguaglianza e discriminazione tra i giovani, producendo così situazioni di privilegio di alcuni rispetto ad altri".
Anche il sindaco di Varazdin e Vicepresidente della Commissione parlamentare per l'educazione, la famiglia e la gioventù - Ivan Cehok (del Partito Social Liberale Croato - HSLS) - ritiene che l'educazione religiosa spetta alla Chiesa e non alle scuole pubbliche. Secondo Cehok, i genitori che desiderano venga impartita ai propri figli un'educazione del genere, possono iscrivere i propri figli nelle scuole materne cattoliche invece di insistere sull'introduzione di tale dottrina nelle scuole materne comunali. Zlatko Seselj, membro della stessa commissione, aggiunge che l'introduzione della dottrina cristiana nelle scuole materne porta con sé molti rischi, perché crea divisione tra i bambini. E tutto questo è contrario alla Costituzione.
La Chiesa risponde attraverso l'Ufficio di catechesi presso la Conferenza Episcopale, definendo le critiche tendenziose e infondate. Secondo le dichiarazioni rilasciate dai rappresentanti dell'Ufficio, i critici hanno solo l'obiettivo di impedire l'introduzione dell'insegnamento religioso nelle scuole materne ed eliminarlo dalle scuole dell'obbligo e superiori, compromettendone l'importanza agli occhi dei giovani, dei genitori, degli insegnanti e del pubblico generale. Senza inoltre tener conto del fatto che tale materia è orientata verso l'educazione della gioventù ad una vita piena, orientata alla tolleranza e alla convivenza delle diverse comunità. Va detto inoltre che questa posizione è stata appoggiata anche da alcuni rappresentati di altre comunità religiose.

La discussione prosegue, le polemiche non sono di certo finite, ma sembra che la Chiesa stia acquisendo l' appoggio dello Stato grazie ai compromessi politici con la coalizione attualmente al potere, per cercare di non perdere la posizione di controllo raggiunto sul sistema dell'educazione pubblica. Dunque, non si direbbe ci siano ragioni per aspettarsi una qualsiasi svolta decisiva in alcun senso.

Vedi anche:

La questione scolastica in Croazia

Religione e società in Croazia

Croazia: incontro tra governo e vescovi

Croazia: i vescovi criticano la politica sociale del governo

A Mostar l'Accademia della Tolleranza

01/01/2002 -  Anonymous User

In una città ancora divisa un'accademia dove insegnare la tolleranza. Il progetto partirà nel 2005.

Intesa tra Osservatorio sui Balcani e Scuola Europea di Pavia

31/12/2001 -  Anonymous User

Uno degli obiettivi dell'Osservatorio è quello di contribuire alla messa in rete di risorse e competenze. Il protocollo d'intesa da poco firmato è un ulteriore passo in questa direzione.

A Trento si è parlato di cooperazione decentrata e diplomazia popolare

19/11/2001 -  Anonymous User

Si è da poco concluso il quarto corso nazionale "Le frontiere dell'intervento civile nei conflitti" promosso dall'UNIP, Università Internazionale dei Popoli per la Pace.

Master in sviluppo locale nei Balcani: poche settimane per iscriversi

06/11/2001 -  Anonymous User

A Trento sta per partire il primo anno di master in "Sviluppo locale nei Balcani". Le iscrizioni chiuderanno il 24 novembre.

Nis, rischio di paralisi per l'Università

30/10/2001 -  Anonymous User

Nell'Università di Nis ancora fermento soprattutto tra la classe docente che minaccia nuovi scioperi. "Qualcosa dev'essere fatto immediatamente" denunciano, "a partire da una riforma della legge sull'università".

Inaugurata ''Scienze della comunicazione'' a Sarajevo

26/10/2001 -  Anonymous User

Il nuovo corso di laurea è stato inaugurato alla presenza di esperti provenienti da tutta l'area balcanica. Lo scopo è infatti quello di favorire i contatti e le relazioni nel sud est Europa.

Quale università in Republika Srpska?

24/10/2001 -  Anonymous User

L'università in RS attraversa una forte crisi. Non basta il numero ingente di facoltà e corsi per coprire le carenze di personale e strutture. Ce ne parla il nostro inviato da Banja Luka. Il testo è in lingua inglese.

Dossier scuola nei Balcani: in Republika Srpska una scuola non ancora uscita dal dopoguerra

24/10/2001 -  Anonymous User

In Republika Srpska un sistema scolastico tra nuove aperture e resistenze all'integrazione in un unico sistema bosniaco. Un nuovo approfondimento che va ad integrare il dossier "Scuola nei Balcani". Testo in lingua inglese.

On-line un nuovo data-base su corsi ed occasioni di formazione

22/10/2001 -  Anonymous User

Corsi di formazione, master, seminari per operatori della cooperazione e volontari. Aggiornamenti sui temi dell'emergenza, dell'aiuto umanitario, dello sviluppo, dell'ambiente... Tutto in un data-base a cura dell'Osservatorio e di Unimondo.

Prijedor: la scuola ed il ritorno delle minoranze

17/10/2001 -  Anonymous User

Da Prijedor Annalisa Tommasi

Prijedor, seconda città della Republika Srpska, BiH, se in passato era il simbolo della pulizia etnica inizia ora ad essere riconosciuta come uno dei luoghi in tutta la Bosnia-Erzegovina dove maggiore è stato il rientro delle minoranze, nello specifico dei musulmani-bosniaci. Secondo la stima della Fondazione per la ricostruzione di Prijedor, associazione bosniaco-musulmana che promuove il processo di rientro di sfollati e rifugiati, sono rientrati circa 15.000 bosniaci su una popolazione totale di Prijedor di circa 100.000 abitanti. Quindi oggi circa il 15% della popolazione della municipalità è costituita da bosniaci rientrati. La maggior parte di essi sono anziani o pensioniati in quanto, probabilmente, essi hanno comunque assicurata la pensione, hanno in genere più difficoltà ad inserirsi in un nuovo ambiente e non sentono l'esigenza di cercare migliori condizioni di vita come spesso accade a famiglie con bambini.
Interessante è analizzare il settore scolastico alla luce di questi rientri e della convivenza delle diverse comunità nella municipalità. La scuola è infatti uno degli strumenti principali attraverso il quale la convivenza si costruisce ed una società multietnica e democratica può radicarsi.
Partiamo da alcuni dati sulla percentuale di studenti ed alunni appartenenti a minoranze rientranti rispetto alla popolazione scolastica totale. Tra gli 8099 alunni delle scuole elementari di Prijedor 242 sono sfollati o rifugiati che hanno fatto ritorno in città. Meno quindi del 3% del totale. In alcuni villaggi periferici, come ad esempio Ljublja, dove forte era la presenza della comunità croata e bosniaca vi sono invece circa 80-90 alunni su di un totale di 500 alunni e quindi la percentuale si fa sicuramente più significativa. Nelle scuole superiori di Prijedor la percentuale cala ulteriormente. Su 3832 alunni i 58 rientrati rappresentano meno dell'1,5%. A titolo di esempio nella scuola di economia di Prijedor su circa 800 studenti, 30 sono quelli rientrati e ben 282 appartengono alla comunità serba ma sono sfollati interni da altre zone della Bosnia-Erzegovina o rifugiati dalle Krajne.
L'integrazione scolastica delle minoranze che rientrano non è per nulla scontata ed è spesso un processo difficile. La situazione è particolarmente problematica in alcune aree dove oramai la popolazione è costituita per la maggior parte da bosniaco-musulmani ritornati. E' il caso di Kosarac, ad aluni chilometri dal centro di Prijedor.
La scuola di Kosarac è utilizzata oramai da più di sei anni come centro collettivo per ospitare famiglie serbe originarie delle Krajne, della Bosnia centrale o dell'Erzegovina. Per poter riutilizzare l'edificio come scuola i genitori dei bambini bosniaci si sono organizzati per trovare una sistemazione alternativa ai profughi e rifugiati che stavano ancora vivendo nel centro collettivo. Questo è sicuramente un fatto da giudicare in modo positivo. In tal modo la struttura è stata liberata per gli alunni della scuola dell'obbligo (solo quelli bosniaci nelle loro intenzioni, non anche quelli serbi che vanno attualmente a scuola in un villaggio vicino). Poi si sono trovati i fondi per la ristrutturazione dell'edificio. I lavori dovevano essere terminati per il mese di settembre, cosa non avvenuta proprio per incoprensioni su chi potrà poi frequentare la scuola di Kosarac. I genitori degli alunni bosniaci si sono inoltre organizzati per chiedere l'uso di libri di testo bosniaci (e non quelli in dotazione della RS) e per l'utilizzo del solo alfabeto con caratteri latini. Attualmente i bambini di Kosarac stanno seguendo lezioni condotte da insegnanti bosniaci, pagati dalla Federazione e non sottoposti, per loro scelta, al responsabile didattico di Prijedor. Si stenta quindi ad affermare il principo dell'integrazione scolastica per le reticenze di entrambi i gruppi etnici.
Non sempre per fortuna è così. E' il caso delle due scuole dell'obbligo di Hambarine (Hambarine e Rizvanovici), villaggio a sud di Prijedor, distrutto totalmente dalla pulizia etnica serba durante la guerra, dove vi sono in totale circa 30-40 bambini. Sono totalmente organizzate dal direttore didattico di Prijedor con un'insegnante serba e due bosniache e tutto sembra procedere bene.
La ADL sta lavorando su questo aspetto
L'Agenzia per la Democrazia Locale (ADL) con sede a Prijedor sta lavorando anche su queste tematiche. In particolare il Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa sta finanziando un progetto, elaborato dall'ADL in base al suggerimento del gruppo multietnico di donne di Prijedor, con lo scopo di promuovere occasioni di riflessione nelle scuole superiori con insegnanti, genitori e soprattutto studenti, su temi quali i diritti dell'uomo, i diritti delle minoranze, pace, giustizia ed infine il rientro e la questione dei profughi. Tale progetto coinvolgerà 20 insegnanti/animatori giovanili e almeno 500 studenti sia di Prijedor che di Sanski Most, cittadina della Federazione a pochi chilometri dal "confine" con la Republika Srpska nella quale vivono molti degli sfollati bosniaci originari di Prijedor e dove alcuni serbi stanno rientrando (circa 6.500 dei 25.000 che vi abitavano prima della guerra).

E' stata già organizzata una prima tavola rotonda per mettere in evidenza quali siano i problemi dei ragazzi rientrati. Dal confronto è emerso:

1. rispetto ai rientrati sono pochi i ragazzi che frequentano le scuole superiori questo soprattutto per l'età media alta dei rientrati (anziani) ;

2. i programmi didattici diversi e soprattutto l'uso del cirillico rappresentano la maggiore difficoltà per i ragazzi;

3. il rientro in un ambiente dove i ragazzi sono gruppo di minoranza rappresenta in ogni caso una causa di stress per i ragazzi/adolescenti che professori e responsabili dovrebbero tenere in considerazione e sulla quale dovrebbero lavorare. Ma per fare questo a loro volta dovrebbero essere preparati;

4. una novità importante è rappresentata dalla introduzione nelle III e IV superiori (cioè ultimo e penultimo anno) della materia "diritti umani e democrazia";

5. questione insegnanti di etnia non serba: in pochi lavorano a Prijedor ed i direttori, che hanno discrezionalità esclusiva in termini di scelta dei docenti, tendenzialmente non assumono non serbi;

Questi sono quindi alcuni degli aspetti cruciali emersi durante questo primo seminario. Solo se nei prossimi anni verranno positivamente discussi ed affrontati si potrà finalmente fare qualche passo avanti verso una società che ritorni ad essere multietnica.

Serbia: Scioperi all'Università di Nis

16/10/2001 -  Anonymous User

I professori e gli assistenti di tre Facoltà dell'Università di Nis sono da oggi in sciopero. Le motivazioni alla base della protesta sono state annunciate già alcuni giorni fa dal Sindacato Indipendente di Nis che ha denunciato la "situazione contrattuale umiliante" alla quale sono costretti attualmente professori ed assistenti. "E' inaccettabile che gli assistenti universitari percepiscano stipendi inferiori a quelli di professori ed insegnati delle scuole elementari e superiori. E' anche inaccettabile che il rapporto tra il salario di un lavoratore manuale non specializzato ed un professore all'apice della carriera sia di 1: 2,44. Come non è giusto - denuncia il sindacato- che vi siano notevoli diseguaglianze tra il livello salariale di posizioni statali equivalenti". Non certo senza sarcasmo il Prof. Radoslav Dimitrijevic, a capo del Sindacato Indipendente, si chiede se sia equa la disparità tra il loro salario e quello percepito dai parlamentari (700 dinari il primo, 1700 il secondo). "Crede forse qualcuno che il lavoro dei parlamentari sia più pesante di quello dei professori universitari?" ha aggiunto alludendo all'inefficienza del Parlamento serbo.
Anche gli studenti hanno annunciato futuri scioperi insoddisfatti delle risposte negative di molte Facoltà ad alcune loro richieste, tra le quali la diminuzione degli esami obbligatori per l'iscrizione dal primo al secondo anno di studi.
La situazione è quindi attualmente molto confusa all'Università di Nis. Sia professori che studenti contestano a Governo e Parlamento di non essere stati in grado di approvare una nuova legge sull'Università. In Serbia vige ancora quella approvata nel 1998 dal regime di Milosevic che rappresentò la definitiva repressione nei confronti del mondo universitario dissidente.

Studenti serbo-kossovari ritornano in Kossovo

16/10/2001 -  Anonymous User

L'Università di Pristina, spostata nel sud della Serbia dopo la crisi del 1999, verrà trasferita nuovamente in Kossovo. E' stato infatti deciso dal governo serbo che la maggior parte delle Facoltà, a parte quella di Belle Arti che avrà sede a Zvecan, saranno riaperte a Kosovska Mitrovica. Il Governo ha inoltre previsto per chi rifiutasse di continuare i propri studi in Kossovo di poter automaticamente spostarsi in uno degli altri cinque centri universitari del Paese.Alcune agenzie governative hanno già destinato alcuni edifici adeguati a sede della futura Università: per i corsi, per il rettorato e per i dormitori studenteschi.
Le lezioni dovrebbero cominciare nella seconda parte del mese di ottobre ma aleggia molto scetticismo e preoccupazione tra gli studenti, nonostante KFOR ed UNMIK abbiano garantito l'assoluta sicurezza delle locazioni prescelte.
Inoltre le università serbe si sono fino ad ora dimostrate a dir poco riluttanti ad accettare numeri troppo ingenti di studenti provenienti dall'Università di Pristina. Ufficialmente questo è dovuto alle difficoltà, prevalentemente finanziarie, che tutte le università hanno avuto quest'anno ad accogliere un numero accettabile di studenti. Situazione messa ancor' più in crisi dagli studenti provenienti dal Kossovo (in particolare all'Università di Nis).
In via meno ufficiale questa riluttanza è anche da ricercarsi nella scarsa preparazione contestata agli studenti dell'Università di Pristina. Quest'ultima era infatti conosciuta in passato per la corruzione, la mancanza di criteri seri di selezione e per dare rifugio a studenti che non erano stati in grado di terminare i loro studi nelle università di Nis, Belgrado o Novi Sad. Molti ad esempio a Nis temono che l'ammissione di questi studenti potrebbe seriamente danneggiare la qualità dei corsi di studio (Beta, 11.10).

E' on-line una nuova guida sul sistema scolastico nei Balcani

15/10/2001 -  Anonymous User

Di nuovo a scuola: in quali condizioni si apre il nuovo anno scolastico nei Balcani? Ci sono edifici adeguati e riscaldati? E i programmi di studio, sono ancora quelli scritti dai nazionalisti? Una nostra guida sul tema delicato del sistema educativo.

Educational system in Serbia: lack of funding and resistence to reform

12/10/2001 -  Anonymous User

The education system in the Republic of Serbia, which at the moment comprises more than 1.4 million students and about 120, 000 employees (teachers, pedagogues, psychologists, and administrators), faced a lack of funding and general neglect in all its segments during the last decade. The system, however, continued to operate, but at a lower level. The majority of the schools lack an adequate infrastructure and basic teaching equipment. Furthermore, education is not systematically monitored, and the teaching methods are stagnated. Perhaps this is the most dangerous problem and the hardest one to eradicate. Also, with the democratic changes that have occurred and the new reforms that are to be implemented, there has been significant political interference in the educational system. This political interference affected and continues to affect a number of students educated within this system in the last ten years.
The centralised and almost authoritarian approach to education management was reinforced during Slobadan Milosevic's regime through the closing down of various regional education development institutions whose functions were integrated into the Ministry of Education. Such a centralised atmosphere was suffocating to those not in accordance with Milosevic' s nationalistic policy. The previous regime was spreading lies and xenophobia through the textbooks. The use of minority languages in the education of national minorities living in Serbia was affected by this. It is already well known that the previous regime did everything to convince population living in Serbia that the only official language had to be and needed to be the Serbian language.
This kind of attitude towards the languages of the national minorities led to a great reduction in the number of classes taught in Hungarian, Slovakian, etc. For instance, one of the regional laws in Vojvodina in the 1990' s, placed the minimum number of children needed to form a class in the Serbian language at 9, while the minimum for a class or reading lessons in Hungarian was placed at 15.
Serbian Deputy Minister of Education and Sports, Tunde Kovac- Cerovic, states that now we all know that such an attitude towards education in national minority languages was extremely bad during the rule of Slobodan Milosevic.
"However", she further states that, " it is not an issue that needs to be discussed. The thing I find relevant is to say that at that time nothing was good and everything was wrong, and the time is now to see how, and what needs to be changed in order to improve the situation in the Serbian education."
However, another issue arises when discussing the education of national minorities in their own language. At the moment the main issue is what are the children actually learning about? What is taught in the textbooks and what makes up the educational program? For instance, students in the classes taught in Hungarian language, besides being taught in their mother- tongue, do not have the opportunity to learn anything about the elements of their culture. Important things about their history and culture were out the education programme. Instead, they are taught only Serbian history and culture. When commenting on this, Mrs. Tunde Kovac- Cerovic said that the idea of the Ministry of Education and Sports is only the national frame for educational standards to be followed, and that the context of the educational programme is to be controlled by the local levels of authority. "However it is still not in the law", she explained.
" It cannot be arranged as it was during last ten years, that somewhere in some central ministry the decisions are made under a strange circumstances, in which it is prescribed that something must look like this or that. That kind of manipulation will surely be eradicated, but still it is not sanctioned by law", continued Kovac- Cerovic.
Kovac- Cerovic also said that it is best for the education in the languages of the minority groups to be co-ordinated by municipal levels, because they are the best informed about a certain region and the population inhabiting it. Therefore, they can react in a most proper way. "A lot of things are planned to be integrated in the work of autonomy of schools, local communities, municipalities, etc", said Deputy Minister of Education and Sports. In her statement on the issue of the education in the languages of the national minorities, Serbian Deputy minister Tunde Kovac- Cerovic, concluded by saying that at the moment a lot of discussions are being held about what kind of capabilities will Vojvodina have. Among them will probably be the capability to choose educational programme for the minority groups. She also stated that a lot of things controlled by Belgrade at this moment, would be transferred in Vojvodina, in another one of Vojvodina' s institutions, or structures.

Besides the fact that the democratic changes came already about a year ago, the thing is that the Serbian government with all its' mechanisms and structures was formed in February 2001. That is why Tunde Kovac- Cerovic states that the real improvements and changes in the Serbian education system will become visible not before the next school year, 2002/ 03. She explained a changes in educational system to be a long process because a lot of analysing needs to precede any kind of implementation. Also, teachers need to be prepared for the changes. A number of teachers are very good and they are miserably paid. Therefore, there has to be established some sort of better atmosphere in which teachers will start fostering a child centred approach.
When explaining the forthcoming reforms, Tunde Kovac- Cerovic stated the following stages, as being the most important:

1. Democratisation and decentralisation of the system
By this, as Kovac- Cerovic explained, a new approach towards children and their parents, local communities, and economy, etc. is planned. "The school and education will not exist just for people to have a place to work in, or for a state to have someone to control over, but it will be there for a new generations to be informed about everything that Europe has to offer" stressed Kovac- Cerovic.
2. Improvement in the Education Performance and Quality on all its' levels-
Here, as Tunde Kovac- Cerovic explained, the focus would be put on the structure and context of educational programme, and the developing of an efficient system of monitoring the quality of scholastic achievements at national level, which does not exist at the moment. Therefore it is not possible to keep evidences and make comparisons with education systems in other countries in order to constantly improve all its' segments.
"Also, this includes", said Kovac- Cerovic "developing of integrated professional system of teacher education and professional development through modernising pre- service teacher education".
3. The reorganisation of the schooling system in accordance with the need to efficiently contribute to the economic revival of the country,
and also democratic development, and that European integration.

At the end of the interview, Deputy Minister of Education and Sports, Tunde Kovac-Cerovic commented on the situation of the education of the Roma population. She said that it is often a common occurrence, when speaking about the education in the languages of the national minorities living in Serbia, that the question of Roma education is not discussed. "It is almost always excluded", she commented. She stressed the question of the education of the Roma population, living in Serbia, to be a large systematic question. " They are on the fringes of the society in its every segment," she said. Therefore, the attitude of the society towards this population group, and also the attitude of Roma towards education, and many others obstacles need to changed and removed, in order for them to be properly involved and enrol in schools.

Tunde Kovac- Cerovic gave two examples, which describe this problem:
1. The Roma children are faced with the difficulties at the very beginning of their enrolment in schools. Often they are given a test in Serbian language, with which they are not familiar at a such young age. Therefore their scores are extremely poor, and those children are then sent to the special schools for children with some sort of handicap. These schools are then full of Roma children who can not get an adequate education, and the handicapped children are those who suffer as well, as not having enough space for the special care they need.

2. The other example she gave while commenting on the various projects, for instance trying to establish lessons in Roma language, which are accepted by the director of some school are difficult to implement. However when it comes to its' realisation the factor of intolerance and rejection is often present.
At the very end she said that during the last ten years only the work of NGO' s and individual attempts were helping in this problem, and that now it is of great importance that a national strategy on this matter be established.

-The education of the handicapped children
The Head- teacher of the school "Sava Jovanovic- Sirogojno" in Zemun, a school specialised for the handicapped children, commented that the previous ten years were disastrous related to the expert development in the schools and institutions like this one is. "The aid was coming from abroad, but it was only pins of sardines or flour. No literature, no expert co- operation with Europe. Therefore, there was a lot of stagnation in this field", she explained. She said that this school depends on the aid, offered by various humanitarian organisations. Describing this aid as necessary, she explained that children enrolled are usually coming from very poor families and therefore do not have enough money for a minimum of existence such as food, medicines, etc. (not to mention buying of textbooks, and other school material). "Often", she added, " they are not just mentally handicapped, but extremely ill (diabetes, etc)". Last year this school was receiving aid from organisations like the Red Cross, and ISA. However, they are not on their lists for this year. Therefore at the moment, said the Head- teacher, they are preparing new projects for gaining the necessary help for 235 children that are enrolled in the school " Sava Jovanovic- Sirogojno" at the moment.

In Belgrade there are 6 schools, and 5 institutions with internats for handicapped children. One very young teacher in this school expressed her view on the problems with which handicapped children are faced by saying that an acceptance of these children by our surrounding is very poor. She stressed that the surrounding is not informed enough about these children. "There has to be some kind of education of the people about handicapped children", she explained. "The handicapped children", she continued, "are sometimes placed in specialised classes in ordinary schools and in almost all the cases they are branded with names such as: lunatics, specialists, morons, etc". The Head- teacher also said that it is not a rare case that people here, are ashamed of their children having disabilities in their mental development, and that they will do everything that is in their power not to send them to any of the special schools. "I think that a strong media campaign, and additional education needs occur in order to reduce these stereotypes in people's minds. We need to explain to people that if their children are not enrolled in proper schools on time, they will suffer throughout all their lives, and never be able to enjoy a normal life, find a job, gain friends, etc.", concluded the Head- teacher.
Today, before the implementation of the reforms, the subject on religion was put in the school. It provoked loud discussions all over the country, among all the citizens including politicians, intellectuals, parents, etc. Two deputy ministers for education and sport, Dr. Srbijanka Turajlic and Vigor Majic were about to resign. Both of them, they explain, were not initially against this subject, but against the suspicious procedure under which this regulation was adopted. Dr. Srbijanka Turajlic commented that it is bad to integrate such a subject into the schools without previous opinion and expert polls, and other sorts of necessary preparations. Turajlic also said that it is not possible to integrate this subject into the schools, which do not have the books, teachers, or any kind of programme, in less than a two months time. She commented that this is a political move, not an expert one. (NIN, No 2637, July 12) There were some opinions that Serbian Prime Minister, Zoran Djindjic, came to the decision of bringing back the subject on religion in schools, in order to gain the same kind of treatment by the Serbian patriarch Pavle, as one FRY President, Vojislav Kostunica enjoys. In her article for the magazine " Vreme", July 12, No 549, the journalist Slobodanka Ast asks the question: " Whether in the schools we will have for teachers, priests who were themselves involved in the last decade wars on the Balkans"?

At the end the Serbian Minister for education and Sport gave the following solution. Children enrolled in the first year in Primary and Secondary Schools for this school year 2001/02 will have to choose among three options:1. Subject on Religion ( for all the confessional groups: Orthodox, Muslims, Catholics)
2. Subject on the Civil Society3. And not to choose any of the two mentioned if they do not want to.

How this will affect the society and in what ways, will probably be seen not before the end of this school year 2001/02. After the implementation of the reforms, the real evaluation on whether the Serbian education system, damaged by ten years long isolation, poverty, the influx of almost one million refugees that increased pressure on the system, did really improved. Only then it will probably be easier to compare and see, hoping that there will not be anymore school years like 1998/ 99 and 1999/00 during which the number of schools, enrolments, and employees in all educational institutions declined.

- "Sava Jovanovic- Sirogojno", School for Handicapped ChildrenSvetosavska 22
ZemunSRJ
Tel. +381 11 617 355

The educational system of Serbia in these last ten years

12/10/2001 -  Anonymous User

The system of education in Serbia (and in the present and former Yugoslavia as well) has always been something the locals have boasted about. Intended as a perfect blend of technical education necessary for certain job positions (found in the American system of education) and general-purpose subjects to breed real intellectuals (found in most European systems and in the Slavic tradition of education including Russia), Yugoslav education was indeed a source from which the prosperity of the nation and up to a point the country's fine international reputation stemmed. Or at least it was so until the late seventies, when the approaching dissolution of the country meant the imminent disruption of the joint education system, and its steady, but firm deterioration.
The seventies in the former Yugoslavia meant the abandonment of the system of general-purpose secondary schools, known as 'gimnazija' (roughly translatable as 'grammar school'). After the compulsory eight years of elementary school (age 7-14), talented children were no longer allowed entrance to these general education schools, whose primary purpose was to train those children who would undoubtedly enroll into universities upon graduation. The old system had therefore offered children the choice of these schools which opened up the way to the University, or the choice of technical schools which would train craftsmen, workers, accountants or civil servants. However, at least according to the enraged Serbian media at the time, it was upon the advent of the high Communist Party official from Croatia in charge of education, Mr. Stipe Suvar, in the early eighties that the entire system was turned upside down. The new system meant highly specialized secondary schools in all areas. After the first year of secondary education, common to all professions, children were asked to specialize for their desired profession as early as at the age of 15, in the second year of secondary school. Specialization was even narrower in the third and fourth years, which meant practically two or three different, highly specialized programs in each of the hundreds of secondary schools in the country. This lead to mass confusion among children, disappointment when they faced a number of additional examinations if they wanted to change their specialization, and an explosion of textbooks, many of which were to be used just in a couple of schools in the country. Prequalification of teachers was yet another problem, so that many math or technics teachers now had to teach computer science, while Marxist schools alumni were to give courses in the history of philosophy. The entire mess came to an end when Serbia decided to get back to its old (grammar school / technical schools) system in 1989, which turned out to be a good decision in the long run, although back then it was just one of the hard-line early-Milosevic moves to defy the federal authorities, and, especially to sweep away some Croat communists he had been at odds with, Mr. Suvar included.

Another problem of the former Yugoslav federation was the diversity of programs taught in different republics. The only thing in common was the number of years needed to get proper education (8 years primary school, 4 years secondary school, 4-6 years university). All the rest seems to have been different. The first major obstacle was that the country used three official languages (Macedonian, Slovenian and Serbo-Croat), and the last of the three had at least three officially recognized dialects. Both Cyrillic and Latin letter systems were allowed. Programs in social science and humanities were made up in such a way as to favour the particular majority nation in the area, albeit always in accordance with the prevalent communist ideology. However, even those general subjects, such as mathematics, physics or foreign languages, were taught according to different programs, since this was the jurisdiction of the Republic Ministries of Education and Federal Government had little or no influence on program making. This was a real nightmare for those children often moving house throughout the country (this turned out mainly to be kids of Yugoslav army officers). Some of them, today middle-aged persons, still claim this diversity meant they constantly had to adjust to new systems, so they believe their education had major flaws, some of which are still felt in their lives.
And then came the nineties. Nobody really knows the exact date when the former country broke apart, although the obvious period to look into was between June 1990 (when Croatia and Slovenia declared independence) and April 1992 (when Serbia and Montenegro formed the Federal Republic of Yugoslavia). The runaway republics had already adapted their programs to the changing conditions, and it turned out only Serbia and Montenegro were left with the entire burden of the former country, which included education. This lead to some funny situations, especially in the beginning. In the middle of the war in Croatia, history books still read of "brotherhood and unity of the Yugoslav peoples and national minorities", and long after multi-party system was established in Serbia, the same books still spoke of the "development of self-management and socialist democracy without numerous political parties, since that would not be suitable for our political system." Geography textbooks were changed instantly, in classes, since the country was now considerably smaller than before, and this meant that all the data was changed, including the info on the highest mountain, biggest lake, northernmost point etc. In practice, this meant that geography teachers used markers to lay out the borders of the new country, and thus adapt the big school maps carrying the proud title "Socialist Federal Republic of Yugoslavia". History teachers, themselves taught that, for example, Chetniks (remnants of Serbian Royal Army in World War Two, who fought Germans and Tito's Partisans) were butchers, counter-revolutionaries and traitors, now had to find a new framework to operate in, and most of them instantly moved from communism to stern nationalism (which meant - do not mention Croatia or Slovenia, in any positive context, in your tests, or else your grade might become considerably lower).

Wars were under way, the country was becoming poorer and poorer, and school programs changed little, if any. This brought about disillusionment in children, popular mockery of textbooks (with teachers blushing and not knowing what to do). Numerous strikes, demonstrations and rallies in the country had their effect on high school kids as well, so playing truant (often collectively) became one of the most popular school activities. Not a single opposition rally passed without avid (though unwanted) support of high school students. Many new-age millionaires still sent their kids to schools, which meant young upstarts openly mocking their impoverished teachers in classes, which soon opened up the way to corruption. This meant the decrease of criteria, with many semi-educated, or sometimes almost technically illiterate teenagers coming to universities. And universities have remained poor, as well. The former regime had a motto: "Send them to university in order to keep them off the streets". This resulted in thousands studying all over the country, with the government's regular decision to extend the list of admissions after entrance exams every year (the ratio was usually 1:4, meaning - if your department admits 50 students regularly, the government will make you admit at least 200). The consequence was the enormous number of students (sometimes with no classrooms to put them up), many of whom had about as much knowledge as to enroll in 6th or 7th grade of the primary school. Criteria for passing exams were decreased again, since the pressure to let them enroll into the next year of the studies came both from the Government ("always keep them off the streets! no need for demonstrators!") and from the parents who were unwilling (and often unable) to pay any additional years of their kids' studies. The peak of the mess came after the University Law of 1998 was passed in the Serbian Parliament. In practice, it made the Government the prime and ultimate controller of the University. After this act, Serbian universities were banned from all European High Education associations, and it was obvious the end could not be far away.
After October 2000, and the revolution in Yugoslavia, it has been obvious that any true reform must start with education. The Ministry of Education has had enough problems only with students from Kosovo (for political reasons, the University of Pristina is still active, though displaced in numerous smaller towns in south Serbia, but the oncoming school year opens up the way to many unanswered questions, especially those of security). In addition, the new school year means considerably smaller numbers of students, and higher fees for their education (though unpopular, this seems to be a necessary step, since Serbia cannot do with the alarming numbers of highly-trained 'experts' with university diplomas and virtually no vacancies). As for primary and secondary schools, programs have been revised again - the new 8th grade history, covering the period 1915-present, mentions the events of the last ten years in 3 pages only, without a single name printed (Milosevic included). Primary and secondary school kids have another subject to cover this year - they may choose between 'Religious Education', a highly controversial compromise by the government to the Serbian Orthodox Church, and 'Civic Education', a kind of study of human rights and institutions of modern civic society. Religious education, here known as 'veronauka' (literally, the 'science of faith') will be taught by priests of one of the five most widespread religions in the country (according to the children's' and parents' preference). Arguments for this subject are 'return to our roots and tradition which would have saved us all the harms of the previous 50 years'. Arguments against are obsoleteness, contrariness to the scientific frame of mind otherwise favoured in schools, and the possible discrimination to atheists and members of smaller religious groups. What will turn out of the latest attempt of politicians' poking into Serbian education, remains to be seen.

In general, however, things seem to be looking up. Whether the Serbian education will return to its roots, or it will follow the footsteps of the developed EU countries, it is certain that in charge of it today are some people far more tolerant, rational and responsible than those who covered the entire former country with blood in the previous decades.

Il sistema scolastico in Bosnia-Erzegovina

12/10/2001 -  Anonymous User

Si è spesso affermato che il sistema scolastico della BiH (ma vale anche per le altre repubbliche) ai tempi della ex-Jugoslavia fosse particolarmente complesso. L'educazione obbligatoria durava otto anni durante i quali gli scolari dai sette ai quindici anni frequentavano le scuole "elementari". Le materie insegnate erano le stesse per tutte e sei le Repubbliche con le eccezioni di Slovenia, Macedonia e Kossovo dove era riconosciuta la lingua slovena, macedone ed albanese nonostante restasse obbligatorio anche l'apprendimento del serbo-croato. Gli scolari e studenti della Bosnia-Erzegovina alternavano poi gli alfabeti utilizzati: una settimana si scriveva con caratteri latini, la successiva con quelli cirillici.
Se i programmi di alcune materie, come fisica, matematica e biologia, erano identici, in altre, come ad esempio letteratura, pur studiando poeti e narratori dell'intera Jugoslavia, si dava a volte "precedenza" a quelli locali. Alla scuola dell'obbligo seguiva la scuola superiore, frequentata dai ragazzi tra i quattordici ed i diciotto anni. Il tasso di frequenza all'istruzione superiore era nella ex-Jugoslavia particolarmente alto. Le scuole superiori si diversificavano in diversi indirizzi, si andava dagli studi classici a programmi più specializzati ad esempio nei rami dell'economia e commercio, della medicina, in campo tecnico, industriale ecc.

Al termine delle superiori ci si poteva iscrivere all'Università. Aperta a tutti durava in media quattro anni con l'eccezione della Facoltà di medicina della durata di cinque anni. Non si pagava normalmente tassa di iscrizione, e se ve ne era una era spesso limitata al costo effettivo del solo libretto universitario. Erano presenti borse di studio che garantivano una copertura totale delle spese per gli studenti con i migliori risultati mentre gli altri potevano richiedere un mutuo studentesco a fondo perduto per l'80% del suo valore. (molti, in seguito al crollo dell'ex-Jugoslavia, non dovettero restituire neppure il restante 20%). Inoltre tutti gli scolari e studenti (dalle elementari fino all'Università) erano coperti da assicurazioni garantite dalle ditte dove lavoravano i genitori.

I centri universitari in Bosnia-Erzegovina erano quattro: Sarajevo, Banja Luka, Mostar e Tuzla. Vi si trovavano quasi tutte le facoltà. Da giurisprudenza a ingegneria, da economia a lettere. Questi quattro centri universitari non erano frequentati esclusivamente da studenti jugoslavi ma anche da molti studenti stranieri provenienti da paesi del cosiddetto terzo-mondo.

Con la morte dell'ex-Jugoslavia crollava anche questo sistema scolastico comune e moriva l'insegnamento comune di alcune materie. In Serbia non si imparavano più poesie di poeti bosniaci, in Croazia si dimenticavano quelle di poeti serbi, in Slovenia si ricordavano solo quelli sloveni. La geografia subì ampie modifiche non solo per quanto riguarda i nuovi confini che dividono ora l'ex-Jugoslavia. La stessa sorte subì la storia.
Tutto ciò che veniva memorizzato negli anni precedenti doveva essere dimenticato. Il comunismo dopo essere stato lodato ed incensato per quasi cinquant'anni veniva improvvisamente considerato una dittatura.
Si cominciò con una profonda riscrittura della storia dei Balcani ed i programmi scolastici vennero rivoluzionati. L'insegnamento della religione, prima degli anni '90 limitato agli istituti ecclesiastici, venne introdotto a scuola. Nelle zone croate della Bosnia-Erzegovina l'alternanza tre alfabeto latino e cirillico venne soppressa, a favore del primo, ed in Republika Srpska, nei primi anni del dopoguerra, avvenne lo stesso a favore però dei caratteri cirillici.

E questi sono solo alcuni dei forti cambiamenti subiti dalla scuola bosniaca dopo i lunghi anni di guerra. Altro problema cruciale fu ad esempio quello dell'inserimento scolastico dei profughi. Per i ragazzi bosniaci rifugiati in Croazia nel 1992 vennero organizzate lezioni nei campi profughi stessi. In altri casi dovettero integrarsi nelle strutture scolastiche già esistenti in zona.

Il sistema scolastico attuale riflette pienamente i paradossi della Bosnia-Erzegovina disegnata con gli Accordi di Dayton . Esistono tre sistemi diversi: uno per la Republika Srpska, uno per la cosiddetta Herzeg Bosna a maggioranza croata ed un terzo per la zona musulmana della Bosnia-Erzegovina.
Dove più forti sono i processi di rientro delle minoranze che intaccano le "omogeneità etniche" in cui di fatto è suddivisa la Bosnia-Erzegovina si sta lentamente cercando di fare una scuola che possa essere "per tutti" anche se prevalenti sono le scuole separate a seconda della comunità di provenienza.
Vi sono alcuni progetti che cercano di andare in controtendenza. Il primo è stato iniziato a Brcko dove ragazzi bosniaci e serbi condividono gli stessi banchi e le stesse aule. A Travnik invece ragazzi bosniaci e croati frequentano lo stesso istituto, pur rimanendo in classi distinte e seguendo programmi differenti.
L'introduzione in Bosnia-Erzegovina di un sistema scolastico unico è ancora lontano. La Commissione Europea ha promosso un programma in questa direzione ma dal quale ci si aspettano risultati solo sul lungo periodo.
I libri di testo utilizzati a scuola, pubblicati per la maggior parte negli anni immediatamente successivi alla firma degli Accordi di Dayton, rimangono parziali e basati su una lettura dei fatti, da parte di ciascuna comunità, ancora in chiave nazionalista. Nonostante questo si è iniziato un processo di revisione degli stessi. E' quello che è avvenuto a Sarajevo dove, in questi ultimi anni, alcuni testi hanno subito delle correzioni. Si sono attutiti i toni rispetto alle altre comunità costituenti la Bosnia Erzegovina. Un esempio su tutti la descrizione della vicenda della distruzione del bellissimo ponte sulla Drina, a Mostar. Se nei libri precedenti questo fatto veniva descritto in modo molto duro additandone la responsabilità in particolare all'HVO croata nei libri attuali si afferma che "...il ponte vecchio fu distrutto nei conflitti tra Armija e HVO.." presentando l'episodio in modo molto più neutro.
Contemporaneamente vi è anche uno sforzo dell'Istituto Pedagogico della BiH di creare un clima di rispetto per tutte e tre le principali culture caratterizzanti il Paese e sempre più spesso nei libri di letteratura trovano posto i poeti e narratori provenienti da tutte e tre le comunità. Questi sforzi hanno in ogni modo suscitato scalpore venendo presentati, secondo una parte dell'opinione pubblica bosniaca-musulmana, anche autori serbi e croati considerati troppo nazionalisti. C'è chi pensa ancor'oggi ad esempio che il "Ponte sulla Drina" di Ivo Andric sia un libro contro la comunità musulmana. Lo stesso vale per Aleksa Stanovic, Jovan Ducic ed altri.
Ma, nonostante le polemiche, questi autori sono stati pubblicati in libri di testo utilizzati a Sarajevo mentre quelli stampati a Belgrado ed a Zagabria presentano esclusivamente i "loro" autori. Sembra però che con il tempo anche queste resistenze verranno superate.

Ancora non è stata superata invece la divisione tra scuole normali e scuole speciali, frequentate da scolari afflitti da ritardi mentali o handicap fisici. L'eliminazione delle scuole speciali e l'integrazione dei ragazzi in difficoltà in un unico sistema comune è ancora lontano. L'esistenza di scuole speciali è, per tutti i Paesi nati dall'ex-Jugoslavia, un'eredità legata al loro comune passato. Nell'ex-Jugoslavia esisteva ad esempio una Facoltà specializzata nella formazione degli insegnanti che avrebbero lavorato con ragazzi "particolari".

Stupisce comunque che questioni riguardanti la scuola vengano trattate molto poco dalla carta stampata in Bosnia-Erzegovina. L'opinione pubblica sembra essersi abituata e considerare normale il sistema tricefalo e contemporaneamente, nei confronti delle nuove indicazioni e regole imposte (come quasi sempre) da Wolfgang Petrisch mirate al raggiungimento di un sistema scolastico unitario, tutti tacciono.

La questione scolastica in Croazia

12/10/2001 -  Anonymous User

Questioni generali

Nel periodo di governo dell'HDZ (1990-2000), il sistema della pubblica istruzione in Croazia è stato caratterizzato dai seguenti processi:
- rafforzamento del controllo statale sulle istituzioni scolastiche, incluso il regolamento per la statalizzazione delle scuole (che lascia spazi molto ampi di ingerenza al ministro dell'educazione);- politicizzazione e uso ideologico delle scuole in chiave nazionalista, intesa come ideologia statale combinata con il rafforzamento del ruolo della Chiesa cattolica;
- peggioramento sul piano delle infrastrutture educative, con conseguente progressiva delegittimazione del sistema educativo e degli insegnanti.
La resistenza di una parte significativa degli insegnanti e delle insegnanti è stata visibile durante l'intero periodo. Il Forum per la libertà di educazione, fondato nel 1992, ha coordinato ad esempio alcune azioni di resistenza attiva, comprese esperienze di insegnamento autonomo in semi-clandestinità. Ma ciononostante il sistema scolastico croato ha subito gravissimi danni, quasi una devastazione. Come risultato delle analisi svoltesi nell'ambito del Forum nel 1999, si e' avviata un'iniziativa chiamata "La scuola del XXI secolo", orientata al rinnovamento profondo del sistema educativo dopo l'atteso cambiamento di potere politico. Questa iniziativa ha raccolto un centinaio di docenti universitari ed insegnanti delle scuole primarie, secondarie e superiori. Dopo le elezioni nel gennaio 2000 alcuni collaboratori del progetto hanno assunto funzioni importanti nel sistema scolastico (vice-ministro dell'educazione, presidente e vicepresidente della commissione parlamentare apposita, ecc...).

L'avvio del rinnovamento è stato caratterizzato da molti elementi di difficoltà: lo spirito inerte di gran parte degli insegnanti e specialmente dei dirigenti scolastici; la politica di compromesso del nuovo governo democratico, segnata dal rifiuto del cosiddetto revanscismo e dalla volontà di procedere solo a riforme che mantengano la continuità con il regime precedente; il mancato aumento del bilancio statale a favore dell'istruzione. Nonostante tutto ciò si possono comunque evidenziare alcuni passi positivi: non si vive più la paura del controllo statale, si sono aperti spazi di creatività per tutti gli attori del processo educativo, a favore dell'introduzione di metodi partecipativi nell'insegnamento.
Un problema molto grave è rappresentato dai libri di testo, redatti in gran parte sulla base di una pedagogia ultra-tradizionalista e fondati su una quantità insopportabile di fatti. In particolare i libri di storia e di lingua croata sono contaminati dall'ideologia nazionalista etnocentrica, con una forte enfatizzazione dei valori patriottici e militaristi.
Una commissione di esperti all'interno del Forum, guidata della sociologa Branka Baranovic e composta da letterati e storici di prima grandezza (tra cui anche il nuovo preside della Facoltà di lettere e filosofia di Zagabria, lo storico Neven Budak), ha presentato nel giugno 2000 un'analisi minuziosa dei libri scolastici di queste due materie. Secondo lo studio alcuni testi storici (in verità quasi tutti) contengono:
- elementi di revisionismo storico, compresa la rivalutazione dello stato croato ustascia e la relativizzazione dei crimini di guerra da questi commessi nella Seconda guerra mondiale, attraverso l'esagerazione dei crimini commessi dal Movimento partigiano antifascista;
- un'esaltazione della 'Guerra patriottica' nei confronti delle Krajine serbe, con alcuni elementi di odio etnico verso i serbi ma anche verso i bosniaci;
- una falsificazione di alcuni fatti della storia recente, orientati ad una glorificazione di Tudjman e dell'HDZ come chiave storica interpretativa del passato e punto di riferimento per ogni futuro;
- un'emarginazione non soltanto della storia degli altri popoli slavi, ma di tutta la storia europea e mondiale in favore della centralità assoluta della storia nazionale croata;
- una metodologia inadeguata in rapporto ai criteri della scienza storica contemporanea.
Ugualmente i libri scolastici di lingua croata sono caratterizzati da etnocentrismo, alcuni contengono elementi di disprezzo o di odio verso altre nazionalità (in particolare verso i serbi), ne sono esclusi scrittori e poeti croati difformi dalla linea ideologica dominante fino al 2000.

Dopo la presentazione di questo studio, il Ministero dell'istruzione ha costituito una commissione statale con il compito di rivedere i libri scolastici alla luce dei valori democratici di tolleranza e convivenza. Finora però l'unico risultato di questa commissione è l'approvazione per uso scolastico data ad alcuni libri storici alternativi, scritti sulla base di valori civici e di una metodologia didattica scientifica. Nessun libro è stato ancora proibito all'uso scolastico: la scelta finale dei testi è lasciata al singolo docente. Già questo è un progresso rispetto al periodo precedente, ma resta il fatto che ancor oggi si usano libri che esprimono odio e appoggio al fascismo, e perciò inadeguati. Al momento sono in fase di preparazione alcuni testi scolastici nuovi, che possano cambiare questa situazione.

L'istruzione per le comunita' minoritarie

Dopo la costituzione dello stato croato indipendente le scuole (dalle elementari alle superiori) in lingua italiana, ungherese e ceca hanno continuato a lavorare nelle condizioni generali appena descritte. Nonostante i tentativi del partito governativo di emarginare l'insegnamento nelle lingue minoritarie, queste scuole sono sopravvissute fino ai cambiamenti democratici senza troppi danni, in primo luogo grazie al sostegno concreto dei paesi originari delle minoranze.
Un problema molto grave però è sorto nei cofronti dei cittadini di nazionalità serba, che da componente costitutiva del paese sono diventati minoranza. Soltanto sotto la pressione della comunità internazionale il governo dell'HDZ ha introdotto dopo il 1997, anno della reintegrazione della Slavonia orientale, l'insegnamento aggiuntivo di lingua, letteratura, cultura e storia serbe. Questo per le scuole che registrano una percentuale significativa di allievi serbi, ma finora sono stati pubblicati solo pochi libri scolastici dedicati all'insegnamento aggiuntivo. Per i principali esponenti della comunita' serba in Croazia, la responsabilità di questa mancanza è dell'ex governo. Altri pesonaggi di spicco della comunità, però, denunciano in maniera riservata anche l'inerzia degli stessi intellettuali serbi.
L'unico vero passo in avanti si è avuto con l'introduzione del diploma di laurea (quattro anni di corso) per insegnanti di lingua e storia serba, presso la Facoltà universitaria di magistero a Zagabria. Attualmente è in corso il quarto semestre della prima generazione di studenti ed il secondo semestre della seconda. Con questo percorso di formazione si dovrebbe risolvere il problema di avere personale adeguatamente preparato per questo tipo di insegnamento. Altre comunità hanno già avviato da anni simili percorsi, e a Pola esiste anche una Facoltà di magistero dedicata esclusivamente alla formazione degli insegnanti in lingua italiana per tutti i livelli d'istruzione. Lingua e letteratura italiana si studiano anche a Zagabria e Zara, mentre lingua e letteratura ungherese sono presenti a Zagabria e Osijek, e quella ceca a Zagabria.

C'è invece un problema ancora irrisolto e anzi quasi invisibile. Le comunità bosniache, macedoni, albanesi e rom non hanno alcuno spazio d'insegnamento pubblico in lingua materna, neanche come insegnamento aggiuntivo. La comunità bosniaca rivendica per il momento senza successo questo diritto all'insegnamento pubblico, mentre gli attivisti delle organizzazioni rom hanno organizzato alcune scuole materne ed elementari private chiedendo un appoggio pubblico, con esiti alterni anche per via delle divisioni profonde che tormentano questa comunità dall'interno.

Integrazione e scuola: il caso della Croazia

12/10/2001 -  Anonymous User

Il Croazia il termine integrazione scolastica può essere inteso in due differenti maniere. La prima, in parte comune alla situazione del sistema scolastico in tutte le ex repubbliche Jugoslave, riguarda l'integrazione nelle scuole di bambini e ragazzi con difficoltà nello sviluppo fisico e mentale ed è legata all'esistenza delle "scuole speciali" che si trascinano come pesante eredità del passato jugoslavo. La seconda riguarda invece l'integrazione nelle scuole degli appartenenti alle minoranze etniche che significa, per quanto riguarda la Croazia, in modo specifico integrazione della comunità serba (e questo vale in particolar modo per le zone dove si sta verificando il ritorno dei profughi).
L'integrazione a scuola dei bambini portatori di handicap, fisico o mentale, è regolata da una legge sulle scuole elementari approvata dal Sabor, parlamento, negli ultimi anni settanta. La legge aveva tentato di attenuare la segregazione dei ragazzini portatori di handicap favorendo una loro parziale integrazione in scuole normali. Chi si trovava ad affrontare le difficoltà più gravi che impedivano, a detta degli esperti, una vita normale ed educazione standardizzata, avrebbe continuato a frequentare scuole ed istituti speciali, gli altri invece sarebbero stati integrati in scuole normali. Questo ha avuto solo un parziale successo. Il limite più grosso è stato la mancanza di una formazione psico-pedagogica adeguata degli insegnanti, necessaria per lavorare con questa parte della popolazione scolastica che può essere integrata solo tramite molta pazienza e molto lavoro.
La situazione attuale sta però migliorando ed evolvendo al meglio (grazie soprattutto all'aggiornamento delle competenze degli insegnanti delle scuole materne ed elementari su queste tematiche). Questo avviene più nelle città più grandi della Croazia, ad esempio Zagabria, Fiume, Spalato ed in alcune città di medie dimensioni come Cakovec, che non in altre zone del Paese.
Anche per quanto riguarda i bambini affetti dalle difficoltà più gravi vi è una campagna di "inclusione". A partire dalla loro stessa famiglia. Sempre più spesso infatti risiedono presso le proprie famiglie e frequentano scuole ed istituti speciali solo durante la giornata.
La questione riguardante l'integrazione della popolazione scolastica appartenente alla comunità serba è ancora più complessa. Vi sono attualmente due programmi in corso per favorirla.
Il primo riguarda esclusivamente le zone della Slavonia orientale ed occidentale che appartenevano durante gli anni del conflitto all'autoproclamata Repubblica Serba delle Kraijne.
Qui è possibile seguire scuole dove l'insegnamento viene fatto in lingua serba utilizzando l'alfabeto cirillico. Quello in caratteri latini viene inserito solo al terzo anno e come alfabeto secondario. Circa 5.000 ragazzi frequentano questo tipo di programmi (cioè circa la metà dei bambini e ragazzi serbi che abitano quelle zone) che sono previsti per le scuole elementari (otto anni) e le scuole medie superiori (ginnasio/liceo, scuole tecniche, scuole professionali).
I genitori possono scegliere se partecipare a questo programma o fare seguire ai figli corsi di tipo tradizionale. Le scuole o le classi con questi programmi speciali possono essere frequentate da tutti coloro che risiedono sul territorio, a prescindere dalla loro appartenenza etnica.
I programmi scolastici particolari e la preparazione dei libri di testo è competenza di un dipartimento speciale presso il Ministero dell'educazione croato, guidato da un rappresentante della comunità serba nominato dal Partito Democratico Indipendente Serbo, SDSS, che raccoglie la maggior parte dei consensi tra i serbi di Croazia. Questo incarico è rientrato tra le competenze dell'SDSS fin dall'integrazione pacifica della Slavonia orientale. In questo lavoro il dipartimento è affiancato dall'associazione culturale serba Prosvjeta (Illuminazione/Educazione) con sede a Zagabria.
Il secondo programma riguardante l'integrazione della minoranza serba nelle scuole viene realizzato nel resto del Paese includendo soprattutto le zone principali per il ritorno delle minoranze quali quelle di Banija, Kordun, Lika, la Dalmazia settentrionale e le città dove più alta è la percentuale dei cittadini appartenenti alla comunità serba (Zagabria, Fiume, Pola).
Questo programma si basa su una formazione addizionale a quella tradizionale: l'orario scolastico viene incrementato di cinque ore durante le quali vengono insegnate materie quali lingua e letteratura serba, storia, geografia, arte e musica.
Attualmente solo 1000 bambini stanno seguendo il programma che si svolge esclusivamente a livello delle scuole elementari essendo le scuole medie superiori state scartate per via dell'assenza di interesse degli studenti in questo tipo di iniziativa. Anche il numero delle scuole dove il programma viene implementato, solo dieci, è significativo del poco successo che ha avuto ed altresì implica che la maggioranza dei bambini ritornati nelle zone menzionate non hanno la possibilita' di frequentare nessun tipo di educazione che valorizzi la cultura e le specificità della minoranza serba.
Per rivitalizzare questo programma l'associazione Prosvjeta ha promosso, a partire dal 1 settembre di quest'anno, una scuola per corrispondenza. Ma i risultati riguardanti il primo mese di attività non sono ancora disponibili. Vi è in ongi caso un certo ottimismo: secondo le prime impressioni sembra che gli scolari partecipanti a questa scuola "integrativa" per corrispondenza siano raddoppiati rispetto a quelli che nell'anno precedente la frequentavano presso gli istituti scolastici.
Tra l'altro, già da tre anni, è attivo un corso presso l'Università di Zagabria specifico per insegnanti nelle scuole e corsi integrativi frequentati dalla comunità serba e questo crea naturalmenete nuove competenze.Ma una riflessione va fatta anche sulla composizione demografica di chi ha scelto di ritornare in Croazia. Il numero di famiglie giovani con figli è relativamente basso essendo la maggior parte di quelli che sono ritornati anziani. Spesso inoltre queste famiglie abitano in zone remote ed isolate ed i bambini per raggiungere la scuola più vicina sono obbligati a percorrere a piedi diversi chilometri. "Per questo spesso hanno perso uno o più anni scolastici" ha dichiarato il Presidente di Prosvijeta, Slobodan Uzelac, professore di pedagogia sociale presso l'Università di Zagabria e Presidente del Consiglio nazionale per l'educazione supplementare della comunità serba in Croazia. Parzialmente migliore è la situazione nelle città dove il ritorno si è verificato su scala maggiore ad esempio a Knin o Petrinja.
Alcune organizzazioni nongovernative vicine alla destra radicale croata del "Blocco croato" hanno pubblicamente protestato contro "l'introduzione dell'alfabeto cirillico nelle scuole croate" ma non si sono registrati incidenti all'interno delle scuole tra giovani delle diverse comunità o problemi nei rapporti tra serbi che ritornavano e la popolazione croata locale.
Anche Slobodan Uzelac e Ivan Magdalenic, quest'ultimo impegnato sulle tematiche dei diritti delle minoranze ed autore di rilevanti ricerche in merito, confermano che negli ambienti scolastici non si sono mai verificati incidenti rilevanti.
Sulla base di una ricerca ancora non pubblicata Magdalenic risolutamente dichiara: "Non esiste nessun problema nei rapporti tra figli di chi effettua il ritorno e figli dei profughi croati originari della Bosnia, che spesso vivono nelle zone di ritorno, in particolar modo per quanto riguarda le aree urbane".
Dunque l'integrazione dei bambini serbi nelle scuole croate e' un processo che va avanti pur incontrando moltissime difficolta' e venendo attuato in modo ancora parziale. L'integrazione è in parte riuscita sul piano psicologico mentre è fallita su quello organizzativo, con molti bambini costretti a fare i pendolari, con molti villaggi senza una scuola elementare e scuole dove non è stato attivato alcun programma specifico per la comunità serba. Anche se è da notare come spesso sono gli stessi genitori a rivelarsi poco interessati in questi stessi programmi.
Queste considerazioni ci portano al cuore del problema. Alla comunità serba in Croazia si pone un dilemma descritto nell'alternativa tra l'integrazione/assimilazione e la segregazione. Quale la scelta tra l'integrarsi nel sistema educativo croato e rischiare di dover abbandonare la propria identità etnica o l'isolarsi nelle peculiarità della propria comunità etnica?
E' chiaro, almeno al livello di teorie astratte, che questa è un'alternativa forzata e falsa. Ma la vita è spesso più complessa delle teorie. Afferma Magdalenic:"Combatto decisamente per il diritto di ogni minoranza etnica di conservare la propria identita'. Allo stesso tempo pero' appoggio il diritto di ogni persona appartenente a qualsiasi comunita' minoritaria di assimilarsi alla maggioranza e di decidere autonomamante di perdere l'appartenenza alla comunita' nativa e non scelta".
E' evidente che le scuole serbe rischiano di portare all'isolamento della comunità, ma, d'altro canto, l'integrazione tout court potrebbe portare alla sparizione di questa minoranza.
Se non si procede con il ragionamento quest'ultima potrebbe sembrare una contraddizione indissolubile. La questione chiave è invece la seguente: in quale misura vive nella societa' croata e specialmente nel sistema educativo croato l'idea della interculturalita' e la comprensione delle differenze quale valore di per sè? In quale misura invece l'etnocentrismo?
L'analisi dei libri scolastici ed in particolare di quelli di storia e letteratura può dare una risposta parziale ma senz'altro significativa alla questione. Il Forum per la liberta' nell' educazione ha organizzato una serie dei dibattiti sull'argomento e si è fatto promotore anche di alcune ricerche in merito. Risultato è stata la scelta governativa, supportata da molti intellettuali attivi nel campo della ricerca umanistica e sociale, di riformare radicalmente i libri di testo ed eliminare tutti i contenuti che non siano adeguati ad una società che si vuole multiculturale e democratica.
Si è immediatamente inserita la libertà del singolo insegnante, supportato dal dirigente scolastico, di adottare in modo autonomo il libro di testo. Diversamente dal passato si hanno ad esempio ora quattro diversi libri di storia a disposizione per l'ultima classe delle medie superiori. Quattro libri di testo differenti che trattano la storia del ventesimo secolo. Di questi quello meno legato al mito nazionalista è sicuramente quello scritto recentemente da Suzana Lecek, segue poi quello ad opera di H. Matkovic e F. Mirosevic, corretto rispetto alle edizioni precedenti. Non è però proibito l'uso del libro di testo a cura di Ivan Vujcic che appoggia posizioni filo-naziste per quanto riguarda la seconda guerra mondiale ed è impreganto di nazionalismo.
Dipende quindi dal singolo insegnante quale sarà la storia imparata durante l'ultimo anno di liceo. E dipenderà anche dall'influenza dei libri scolastici e dall'impostazione degli stessi se i giovani serbi sceglieranno per l'integrazione in una società che finalmente si pone come multiculturale o nel rifiuto della stessa che si trasforma poi in isolamento/segregazione.
Proprio nella settimana in corso sono stati pubblicati, da parte del Forum sopra menzionato, cinque nuovi libri scolastici dedicati all'insegnamento delle nouve materie introdotte a partire da quest'anno nella scuola croata.
Ma purtroppo l'introduzione di lezioni sulla "cittadinanza democratica" (quest'anno ancora nella fase sperimentale) e sui "diritti umani" non sono sufficienti a sradicare gli effetti negativi di un etnocentrismo che ancora in parte caratterizza il sistema scolastico croato.

Education for peace - a conflict resolution initiative for post-war Bosnia

12/10/2001 -  Anonymous User

The research was performed in the period from 1997 to 1999 on a sample of the primary and secondary school history and literature textbooks which were in use in Bosnia and Herzegovina in 1996/97, that is in the period immediately after the Dayton Peace Agreement. (They are still in use). Within secondary school textbooks, the grammar school (high school) textbooks were chosen for the analysis, because they are the most comprehensive, and therefore the most representative example of the history and literature subject content in school education. (The textbooks in other types of secondary schools are their reduced version.) The analysis covered a total of 48 textbooks: 24 history and 24 literary textbooks. Specifically, four each for both primary (from fifth to eight grade) and grammar schools (from first to fourth grade) of each production (Bosnian, Croatian and Serbian). According to the findings, the analysis covered 9,933 textbook-pages. Out of the total of 9,933 pages, to history textbooks belong 4,245 pages and to literary textbooks 5,688 pages. Within the aforementioned textbooks, altogether 2,654 units were analyzed: 749 in history textbooks and 1,905 in literature textbooks.
From the total of 749 units in history textbooks, 185 (24.7%) are from Bosnian textbooks, 275 (36.7%) from Croatian textbooks and 289 (38.6%) from Serbian textbooks. With regard to the literature textbooks, the data show the following: the total of their units amounts to 1, 905 units. Out of this 534 or 28% of them belong to Bosnian textbooks, 899 or 47.2% to Croatian textbooks and 472 or 24.8% to Serbian textbooks. The unit was defined as a textual part of a textbook which represents a meaningful whole with a clearly marked beginning and end that is, which is placed between two titles and ends with instructions, assignments or questions for students. In the report it is also called "basic text". Since the units (basic texts) are usually furnished with different kinds of supplements (charts, illustrations, photos, historical document, etc.), the supplements were also analyzed.
The entire space of the analyzed units with supplements amounts to 2, 248 762 cm2 (224876.2 m2) and without supplements 1,210,000 cm2 (12100.0 m2). Out of the entire space of the units with supplements, 880,153 cm2 belong to history textbooks, and 1,368,609 cm2 to literature textbooks.
In the conducted content and discourse analysis of the Bosnian, Croatian and Serbian history and literature textbooks a fundamental similarity has been indicated as well as some significant differences.
In the formal view (volume, supplements, and special surface equipment) the Croatian textbooks are singled out. What sets them apart is their didactical equipment. Compared to the Serbian, and especially, to the Bosnian textbooks they are significantly richer in number and variety of the supplements in both types of textbooks history and literature. So far, they are the best didactically and methodically equipped textbooks.
Considering the content of the textbooks, all of them demonstrate a basic resemblance to each other which is manifested in an exclusive foundation of the textbooks in their own ethnic groups (national history and of national literature) as a core of the organizing of the content and didactical procedures of the textbooks.
Consequently, although Bosnia and Herzegovina is an integral country, within its territory three different kinds of primary and secondary school history as well as literary textbooks are being used: Bosnian, Croatian and Serbian. Therefore, in the territory of Bosnia and Herzegovina which is under the control of the Croatian army (HVO) the textbooks are identical to those in Croatia, in Republika Srpska to those in Serbia. And in the part of Bosnia and Herzegovina which is under the control of the Bosnian Army the textbooks issued by Federal Ministry of Education, Science, Sport and Culture in Sarajevo are being used.
As far as the history textbooks are considered, the data show that each group of the textbooks devotes a significant amount of its space to the national history of its own people (the most the Croatian textbooks with 57% of their entire space; then the Serbian textbooks with 44%, and finally, the Bosnian textbooks with 38% of their entire space). A difference in the approach to the national history and national history definition in the textbooks was also indicated. Namely, in contrast with the Bosnian textbooks, in the Croatian and Serbian textbooks the national history is presented through history of their state, territory and the people, including the Croatian and Serbian people out of the present Croatia and Serbia. Consequently, the Bosnian history is presented in the Croatian textbooks within chapters on the Croatian history, as a part of the Croatian national history. In the Serbian textbooks medieval Serbian history is presented as a part of the Bosnian history. The Serbian textbooks also have a different approach to the history of the former Yugoslav states. Contrary to the Croatian and Bosnian textbooks which discuss the Croatian and Bosnian histories within Yugoslavia, the Serbian textbooks do not exclude or separate Serbian history from Yugoslav history. They speak about Serbian history as a part of Yugoslav history.
The data also show that the textbooks do not pay enough attention to each other's national histories. Neither of them write about each other's history in more than 20% of the units. This exclusivity is more obvious by the presentation of particular aspects of the national history, i.g.: sufferings of the peoples, their victories, great historical events, famous historical persons, etc. In contrast with their allotment within their own national histories, in other peoples' national histories they received only several percent of the space. For instance, sufferings of the people were mentioned in approximately 3% to 8% of units, while within one's own national history in 42% of Croatian units, in 21% of Serbian units, and in 14% of Bosnian units, etc. The ethnocentric approach is characteristic of all the analyzed textbooks. Yet, some differences with regard to the share of the ethnically colored content in their national histories occurred within them. According to the data, it could be said that the Croatian textbooks are ethnically colored to the greatest extent, then the Serbian textbooks. The Bosnian textbooks have the least number of the units mentioning the ethnic aspects of the national history.
Do the textbooks speak about similarities of Bosniacs (Moslems), Croats and Serbs, who have lived together for centuries and who should live together in one country in the time to come? In what way do they perceive each other in the textbooks? How do the textbooks portray the others in comparison to their own people? These questions are of great importance to the socialization of the young for the common life and participation in the process of the post-war reconciliation. For that very reason, they were also raised by our project. Although they cannot be fully answered, the data do indicate some answers. With regard to the question on the ethnic, cultural, religious and historical similarity of Bosniacs, Croats and Serbs, the data are not encouraging. Namely, the allotment of the units speaking about their similarities is low in all the textbooks (3% units in the Croatian textbooks, 4% in the Bosnian and 11% in the Serbian textbooks). It is disturbing that at the same time, in the presentation national history, more attention was given to their mutual ethnic conflicts. Such a content of the textbooks contributes to the creation by students of negative images about other people they live with, especially to the Serbs who are most often mentioned as the people who were in the conflict with Croats and Bosniacs, who more often lead conquering, than defensive wars, etc.
Compared to the other nations, in all the textbooks their own nations are predominantly portrayed positively, e. g. as the peoples who lead defensive wars, mostly were victims of the aggression by other nations, they suffered through the whole history, etc.
The theme structure of the textbooks shows that in all of them the two prevailing themes are the themes related to the diplomacy and politics, and war issues. To clarify this finding it is necessary to mention that within the theme of diplomacy and politics the units which predominantly cover the state related issues (its creation, loss, relationships toward other states, allies, etc.) were recorded. Therefore, it is not surprising that in a political context where there was a war for new nation states, these themes received the most attention in all the analyzed textbooks. These two themes were also most often a theme framework within which particular aspects of the national histories (victories, important historical events, famous historical persons, etc.) of Bosniacs, Croats, and Serbs were presented.
In Bosnia and Herzegovina children are supposed to learn significantly less from the cultural history, economy and social issues. However, compared to other's countries history textbooks in Europe (i.g. the German textbooks), there are a number of themes about which the children learn nothing. For instance, there is no a single chapter on why they study history at all. They also do not learn about Europe as a community (in the textbooks there are no particular chapters on the history of the European political, economic or cultural institutions which integrate Europe). Nor they learn about peace and war as particular themes (although Bosnia and Herzegovina has just come out of a war, in the textbooks there are no chapters on peace or wars, their notions, different understandings, consequences, etc.). Finally, what is most important, there is no chapter on how to use the history of Serbs, Croats and Bosniacs to build peace and trust among people in Bosnia and Herzegovina in the post-war period. Not a single Bosnian, Croatian or Serbian textbooks has a line on the trans-national nature of the current societal life and decline of the nation state in the age of post-industrial society. The nation state, i.e. ethnically based state with one ethnically homogeneous nationality constituting the core of the nation state, is still in the center of their interest.
The analysis of the supplements addresses the problem of dominance of a mono-perspective approach of the textbooks to the historical material. Namely, all the textbooks are dominated by a single point of view. None of the Bosnian, Croatian or Serbian textbooks have documents which present different viewpoints on the historical events, including the points of views of those who took part in the events. This indicates that the textbooks do not provide students the content necessary for the development of their critical thinking, especially with regard to their own national history.
The rhetorical analysis, which was aimed toward a de-construction of ideological activity of speech/language of the school history textbooks, reveals the same value orientation of the textbooks on the rhetorical level of their discourse. Precisely, it indicates that ethnocentric focusing of the perspective, which is suggested to the students in a rhetorical layer of the analyzed texts, establishes values such as collectivism,"imprisonment", limitation by a group, patriarchal morals, hard, intolerant relationship to those who do not belong to the community or US and "epic soul", whose irrationality is proved by inclination to oscillating between the extremes of suffering pathos (suffering, victim) and warlike absence of compromise (triumphant elevation). In a word, the textbook discourse establishes those values, which in the project were regarded as non-democratic and contrary to the proclaimed liberal-democratic value framework.

The analysis of the literature textbooks also points to their ethnically-oriented content structure, even though a few discrepancies among them have been established. These refer, first of all, to the relationship between national and other literature: national literature and world literature, national literature of each of the three groups of textbooks (Bosnian, Croatian and Serbian), and literature from all of the other Yugoslavian nations. If we consider all these aspects, the data show that the Bosnian textbooks are the least nationalistic and the most open toward world and other, that is , literature of Yugoslavian nations. The Croatian and Serbian textbooks, nonetheless, differ with the inclusion/exclusion of their national literature, and in regards to the inclusion/exclusion of other Yugoslavian literature. In this respect, the Croatian textbooks are substantionally more exclusive than the Serbian textbooks, they do not contain a single text from Serbian literature. What is evident here is a radical diversion from an already century-old school-literary practice. In this context it is also significant that like the history textbooks, students cannot learn about their mutual similarities and contrasts from literature textbooks either. Actually, from all three groups of literature textbooks the units that discuss similiarities and differences are excluded, or rather, not included, as if other nations and people do not even exist.

Not going into further detail, it is possible to conclude shortly, that literary textbooks as well as history textbooks divide rather than connect students in Bosnian and Herzegovinian schools, that they count on "our" strict national reader and not on a citizen of Bosnia and Herzegovina. The problem is that this calculation is actually the producing pupiles who are Croats, Bosniacs and Serbs but not citizens of Bosnia and Herzegovina as an integral country.

By contributing more to the creation of the closed, ethnocentric identity of children, than to an identity open to diversity, bouth history and literature textbooks appear more as a disintegrative than integrative factor in the post-war reconstruction of the social life in Bosnia and Herzegovina.

Therefore, radical changes are needed. First of all, there is a need for the curricula harmonization. Instead of three kinds of the textbooks, different by approach and content structure, new textbooks should be based on more uniform methodological and content construction principles valid in the entire territory of Bosnia and Herzegovina. Secondly, in contrast with the recent textbooks, the content of the new textbooks should satisfy the need of preparing the children for building a new democratic and pluralistic society. This means the creation of an open identity for students, open toward diversities and integration processes within Bosnia and Herzegovina.
Finally, if Bosnia and Herzegovina wants to meet all the mentioned needs, the textbooks should be written in Bosnia and Herzegovina, by the Bosnian and Herzegovian experts and practitioners themselves, but not imported or overtaken from Croatia and Serbia.
The changes in education, especially in the area of social sciences and humanities which convey basic social and political values to the future citizens, are not only educational question. They are deeply connected with and dependent upon politics. Therefore, it is not possible to put into effect necessary changes in history and literary teaching and to overcome their ethnocentric nature, while political actors who advocate the ideology of ethnic nationalism as an ideal basis of the program of the social reconstruction in Bosnia and Herzegovina are in power.

Branislava Baranovic

Institute for Social Research Zagreb

Bosnia: aumenta il numero dei minori abbandonati

22/09/2001 -  Anonymous User

Non si conosce l'esatto numero dei ragazzi abbandonati in questi ultimi anni, ma è certo che questo numero sia aumentato. La situazione è preoccupante sia nella Federazione sia in Republika Srpska, dove il problema della sistemazione dei nuovi orfani e dei bambini abbandonati è alquanto grave.
In Bosnia Erzegovina la gestione degli orfanotrofi è a carico degli uffici di assistenza sociale, che versano in condizioni economiche molto precarie "Solo quest'anno abbiamo accolto 35 nuovi orfani, ma per fortuna 25 sono già usciti, alcuni sono tornati a vivere nella propria famiglia, mentre altri sono stati adottati" ha dichiarato Amil Zelic, direttore della Casa dei bambini - sinonimo di orfanotrofio - "Bjelave" di Sarajevo, che in questo momento accoglie 60 ragazzi.
Anche a Banja Luka, città principale della Republika Srpska, la Casa dei bambini "Rada Vranjesevic" accoglie un alto numero di minori. "Tra i 120 minori attualmente accolti vi sono sia neonati che ragazzi di 17 anni, di tutte le nazionalità" informa Danilo Pirjanac - direttore del centro di accoglienza "ed alcuni di loro vivono tra queste mura da prima della guerra". Danilo Pirjanac ha sottolineato che i problemi economici sono tanti, innanzitutto legati al fatto che i comuni di provenienza dei ragazzi sono obbligati a pagarne il soggiorno presso l'orfanotrofio che li ospita, e che con la politica fiscale attuale - male organizzata - il funzionamento delle strutture di accoglienza è pessimo.
"Non è migliore nemmeno la situazione dell'orfanotrofio di Tuzla" ha aggiunto la direttrice Avdija Hercegovac "che offre ospitalità a 33 minori per la maggior parte neonati abbandonati per la strada o provenienti dalla Clinica della città".
Nella zona della Bosanska Krajina, vengono abbandonati una media di due neonati al mese, che poi vengono trasferiti al cosiddetto "Dom" di Kulen Vakuf . Come informa il direttore di questo centro, Admir Ljescanin, i 60 bambini accolti nel Dom hanno tutti meno di 5 anni di età. Al compimento del quinto anno di età i bambini vengono trasferiti all'Orfanotrofio di Sanski Most oppure ad altri orfanotrofi decentrati.. Rispetto alle cause di una percentuale così alta di abbandoni, emerge che tra le partorienti vi sono molte minorenni e donne che hanno subito uno stupro. Nei primi nove mesi del 2001 i ragazzi adottati sono stati 40, ma purtroppo quelli nuovi sono di numero ben superiore a coloro che trovano una famiglia adottiva. I centri sociali non riescono a risolvere i molteplici problemi finanziari e ultimamente è alquanto diminuito il numero delle organizzazioni umanitarie che li sostenevano. Ecco perché con la trasmissione "Humana Televizija" emessa il 14 settembre dalla televisione di Stato, è stato lanciato un appello a tutti i cittadini affinché diano il proprio contributo in aiuto a tutti gli orfanotrofi della Bosnia Erzegovina.

Bosnia: dopo dieci anni, di nuovo a scuola insieme

05/09/2001 -  Anonymous User

Lunedì 3 settembre è cominciato il nuovo anno scolastico per 7.000 allievi delle scuole obbligatorie e 3.200 studenti delle scuole superiori del distretto di Brcko, che per la prima volta dall'inizio della guerra seguiranno un programma comune.
La nuova legge relativa ai programmi scolastici era stata votata durante la seduta del Consiglio del Distretto lo scorso 27 giugno, ma non aveva ottenuto i necessari 3/5 dei voti. In quella sede i consiglieri musulmano-bosniaci e croato-bosniaci non avevano accettato l'emendamento presentato dai colleghi di etnia serba, che prevedeva per i genitori la possibilità di scegliere la lingua in cui i figli avrebbero seguito le lezioni, e quindi i 13 consiglieri serbo-bosniaci avevano votato contro. Henry Clarke - supervisore OHR per il Distretto di Brcko - aveva quindi deciso di imporre la legge discussa dal Consiglio, che lui stesso ha definito - come dichiarato per l'agenzia Onasa il 7 luglio scorso - "in linea con tutti gli emendamenti presentati in quella sede".
Non si era detta dello stesso parere Slobodan Ristic - Presidente della Commissione Consiliare per l'istruzione - dicendo che non si era mai visto, nella storia della pratica e della teoria pedagogica, l'utilizzo di un procedimento del genere. A questo proposito ha dichiarato che "fino ad oggi si è sempre data agli studenti la possibilità di concludere il corso di studi utilizzando il programma iniziale" e che "con il sistema di cambiamento imposto si creerà sicuramente il rischio di incorrere in sovrapposizioni di programma per alcuni, e dell'obbligo di totale annullamento di certe materie per altri" (Oslobodjenje, 7 luglio).
Il nuovo ordinamento prevede che il corpo insegnanti delle scuole superiori per le seconde, terze e quarte classi, rimanga invariato, mentre vengono cambiati tutti gli insegnanti e i programmi delle prime classi. Gli studenti ascolteranno le lezioni nella lingua di appartenenza di ciascun professore, deciso da Clarke per andare incontro alla richiesta fatta dai consiglieri serbo-bosniaci.
Nelle scuole elementari, oltre al completo rinnovo del corpo insegnante e del programma scolastico, viene cambiato anche la "veste nazionale" degli insegnamenti. Da quest'anno viene inoltre eliminato l'insegnamento della religione - contrariamente a quanto invece sta accadendo in Serbia - nelle aule non potranno essere esposti simboli nazionalisti o ritratti di "personaggi conosciuti", perché proibito dalla nuova legge.
In base alle parole dei direttori delle scuole, le prime ore di lezione tenute nelle 15 scuole obbligatorie e nelle 4 scuole superiori di Brcko si sono svolte senza alcun incidente. Ma un'ombra sulle scuole multietniche è stata gettata dai genitori degli studenti di etnia croata delle scuole superiori, che si sono rifiutati di mandarvi i propri figli. E solo alla seguente decisione, presa dai rappresentanti dell'ufficio distrettuale dell'Alto Rappresentante di concedere entro dieci giorni l'iscrizione di questi ragazzi alla scuola superiore del villaggio di Dubrave (a maggioranza croata), i genitori hanno accettato nel frattempo di far frequentare le scuole del centro città.(Oslobodjenje, 3 settembre).

La questione del bilinguismo in Istria e i rapporti con la Croazia

02/07/2001 -  Anonymous User

Il bilinguismo che caratterizzava i ceti borghesi di Zagabria e Osijek, dove le nonne parlavano regolarmente con i nipoti in tedesco, è praticamente scomparso. Ma in Croazia è storicamente presente, e molto vivace, anche un altro bilinguismo: il bilinguismo croato-italiano, nelle regioni dell'Adriatico settentrionale (Istria e Quarnaro). Si tratta di un fenomeno numericamente più vasto dell'entità della comunità italiana: quest'ultima, nel censimento del 1991, conta poco più di ventimila abitanti (i risultati del nuovo censimento saranno pubblicati in autunno); da una ricerca effettuata nel 1996 dal docente di Sociologia dell'Università di Fiume Boris Banovac, risulta che il 7% della popolazione istriana si definisce etnicamente italiana, il 65% si sente croata e circa il 20% si definisce istriana o croato- istriana e sceglie, dunque, un'identità regionale.
In Istria e Quarnaro il bilinguismo è quasi totale.
Nell'ex-Jugoslavia, specialmente nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale, c'era una forte pressione sulla minoranza italiana, il cui esito evidente fu l'esodo della maggior parte del gruppo etnico italiano, tra il 1948 e il 1955. Il bilinguismo era emarginato, ma questa operazione non ha avuto successo: Istria e Quarnaro hanno infatti mantenuto carattere bilingue (a differenza di Fiume, dove a seguito della vasta immigrazione il bilinguismo si è perso). Negli anni Settanta e Ottanta non si sono infine più registrati tentativi di emarginazione o abolizione.
Negli anni Novanta, nel periodo della Croazia indipendente governata dall'HDZ (Unione Democratica Croata), in Istria e Quarnaro c'è stato il rifiuto dell'omogeneizzazione nazionale croata: il numero dei voti per l'HDZ corrispondeva più o meno al numero degli immigrati di nazionalità croata. Ma neanche altri partiti con l'aggettivo 'croato' nella denominazione hanno ottenuto un successo di rilievo. L'IDS (Dieta Democratica Istriana), diventato un movimento regionalista, con mutati orientamenti politici e ideali (il presidente Ivan Jakovcic nel 1994 ha definito la linea politica del partito come democratico-cristiana, provocando molti dissensi, specialmente tra coloro che percepivano la propria collocazione a sinistra), deteneva il monopolio quasi assoluto nelle città e nei comuni istriani, così come nella parte quarnerina (Liburnia e isole apsartide) della Contea di Fiume (Contea litorale-goraniana). Molte assemblee comunali erano monopartitiche. Le giunte locali hanno introdotto il bilinguismo ufficiale nelle città dove era presente una minoranza italiana. L'Istria, in termini di popolazione e di strutture politiche dominanti, stava diventando per questo oggetto di attacchi durissimi da parte dell'HDZ (accuse di separatismo, irredentismo, e così via), ma l'IDS ha trovato tra i partiti croati d'opposizione alcuni alleati, in primo luogo l'HSS (Partito Contadino della Croazia), l'HNS (Partito Popolare Croato) e il LS ( Partito Liberale), ed è così diventata nel 2000 una delle componenti della nuova coalizione governativa.
Partecipando al potere centrale, l'IDS si è assunta la responsabilità per l'impotenza (o la lentezza) del nuovo governo, riguardo al superamento della crisi sociale ed economica e, più in generale, riguardo alla mancata modernizzazione del paese e abolizione dell'eredità negativa del periodo precedente. Nel periodo del governo HDZ era relativamente semplice ottenere l'appoggio dell'elettorato: era impossibile per l'autogoverno locale cambiare qualcosa di sostanziale perché tutto (o quasi tutto) dipendeva dalle autorità centrali. Dopo il 3 gennaio (data del crollo dell'HDZ), la situazione è cambiata, ma nella vita quotidiana non c'è traccia di superamento del passato. D'altra parte, alcuni casi di corruzione a livello locale (in primo luogo, il caso Quaranta a Pola) hanno aggravato la posizione dell'IDS. Forse proprio questo spiega non soltanto la decisione dell'IDS di passare all'opposizione, ma anche la decisione di approvare uno Statuto regionale istriano, che producesse dissensi a livello nazionale e mostrasse il vero stato d'animo dominante nel resto del paese. L'intento dell'IDS, con questa mossa, era quello di suscitare appoggio per il partito in difficoltà.
Uno tra gli elementi problematici nello Statuto istriano (su cui si attende la decisione della Corte Costituzionale) riguarda il bilinguismo ufficiale. Secondo lo Statuto, la lingua croata ed italiana sono definite lingue ufficiali, equiparate a livello regionale. Questo significherebbe che l'amministrazione pubblica dovrebbe svolgersi obbligatoriamente in entrambe le lingue. Chi non fosse in grado di scrivere un atto pubblico in italiano, non sarebbe quindi più idoneo a svolgere un servizio pubblico. La verità è che questo colpirebbe soltanto pochissimo personale amministrativo o più precisamente soltanto i nuovi immigrati. C'é un documentario famoso dagli anni Ottanta circolato a Degnano, presso Pola, con il titolo (anche in versione croata!) "Buon giorno, Mujo!" (Mujo è un tipico nome musulmano bosniaco, derivato da Muhamed). Questo mostra che anche gli immigrati bosniaci, macedoni, albanesi, ecc. sono nel corso degli anni diventati bilingue. Una dalle conseguenze dello Statuto sarebbe l'obbligo per la maggioranza croata di imparare l'italiano (attualmente non c'e nessun obbligo e vige la prassi di conoscere o imparare la lingua italiana, non tanto per ragioni di convivenza o intercultura, ma per i contatti commerciali, turistici e professionali (spesso per il lavoro nero oltre frontiera, a Trieste e in Friuli). Anche gli analisti molto favorevoli al regionalismo istriano, come lo scienziato politico Damir Grubisa (Novi list dell'8 giugno) sostengono che l'obbligo sarebbe contestabile. Secondo un funzionario istriano dell'SDP (Partito Social Democratico), Livio Bolkovic, l'applicazione dello Statuto produrrebbe diseguaglianza e discriminazione linguistica tra coloro che soni bilingue e coloro che parlano soltanto croato (in Istria non ci sono italiani, eccetto alcuni anziani, che non siano impadroniti della lingua croata).
Il vertice dell'IDS ha annunciato che nella seduta costituente dell'Assemblea istriana (dove, dopo le elezioni dal 20 maggio, l'IDS ha di nuovo la maggioranza assoluta) saranno precisati alcuni articoli dello Statuto, riguardanti proprio la questione della lingua ufficiale, secondo cui il bilinguismo ufficiale non sarà obbligatorio per le comunità senza minoranza italiana.
In ogni caso, l'intento provocatorio dell'IDS di mettere in luce lo stato d'animo dominante in Croazia ha avuto un successo enorme. Non soltanto la destra radicale (membri e funzionari dell'HDZ e partiti vicini), ma anche personaggi come il centrista Drazen Budisa (HSLS Partito Social Liberale) hanno dimostrato un livello altissimo d'intolleranza. Dice Budisa: "Noi non dobbiamo e non possiamo tollerare la de-croatizzazione dell'Istria. L'Istria non deve continuare ad essere un punto nevralgico del paese. Tutti insieme dobbiamo gridare: basta!" (Feral Tribune del 9 giugno; il cronista Ivica Djikic, che cita Budisa, interpreta la sua affermazione come espressione della paura che tramite il bilinguismo e la demilitarizzazione, l'IDS voglia cedere l'Istria ai "fascisti italiani". Nello stesso senso si esprime anche la presidentessa dell' HSLS in Istria, Jadranka Katarincic Skrlj, deputata in Sabor (Parlamento) grazie alla coalizione governativa, più che al sostegno elettorale istriano. Alcuni politici rilevanti croati non la pensano però così. Il presidente dell'LS e Sindaco di Osijek, Zlatko Kramaric, ha ripetutamente deplorato i metodi usati da Budisa (e anche dal presidente dell'HSS Zlatko Tomcic, ex-alleato dell'IDS) riguardo al bilinguismo e generalmente alla questione istriana. Ha poi dimostrato chiaramente il suo dissenso da Budisa anche Vesna Pusic, leader dell'HNS.
Il nuovo sindaco polese Luciano Delbianco, dissidente dall'IDS e Presidente del partito alternativo regionale IDF, sostiene che, benché non sia d'accordo con la formalizzazione del bilinguismo ufficiale tramite lo Statuto regionale, il bilinguismo è in Istria una cosa quasi naturale e che nessuno deve sentirsi minacciato se parla un'altra lingua. Un altro dissidente dell'IDS, Ivan Pauletta, fondatore storico del partito, pensa però che le vicende concernenti lo Statuto istriano mettano in evidenza un'ignoranza del pubblico politico ed intellettuale croato: secondo lui l'Istria non era italianizzata, ma slavizzata, così come la Dalmazia. La Croazia dovrebbe, secondo Pauletta, seguire alcuni esempi italiani: in Molise la lingua croata, parlata da 2500 persone, è legalmente definita una lingua protetta (intervista speciale sul Feral Tribune del 9 giugno). A Pauletta risponde nel numero seguente del Feral, Nela Rubic, dichiarando la sua approvazione dell'Istria bilingue ("L'Istria parla tutte le lingue, in Istria ciò è naturale e perciò ammirevole"), ma anche un dissenso rispetto al metodo con cui Pauletta legittimerebbe un primato linguistico.
Una reazione tipica arriva dalla caporedattrice del Glas Istre, Eni Ambrozic. Secondo lei le reazioni contro il bilinguismo istriano producono la diffusione d'una opinione maggioritaria in Istria molto sfavorevole a Zagabria, che non è in grado di capire la realtà istriana e di accoglierla. Eni Ambrozic ritiene che nulla sia cambiato nella posizione della maggioranza croata nei confronti dell'Istria, rispetto ai tempi dell'HDZ. Ma ci sono anche voci simili da parte di non-istriani. Due partiti croati (il LS e l'HNS già menzionati) hanno dimostrato che non condividono l'isterismo contro l'Istria in corso nel paese. Ma forse ancora più preziose sono le analisi fatte da alcuni intellettuali di rilievo. Oltre a Grubisa, già citato, vale non dimenticare Nenad Miscevic, filosofo fiumano (ex-professore a Zara, ora ordinario alla Università di Maribor, in Slovenia). Secondo Miscevic (Novi list, del 10 giugno), il problema del bilinguismo è da interpretare come assenza di volontà politica e culturale da parte della Croazia di seguire l'Istria nel processo di europeizzazione. Lo stesso atteggiamento che durante gli anni Ottanta la Jugoslavia aveva nei confronti della Slovenia è ora manifesto nell'atteggiamento della Croazia verso l'Istria. Il modello da seguire consisterebbe invece nell'esempio dell'Alto Adige. Senza una svolta in tale direzione, la Croazia sarebbe come la Romania rispetto al problema della Transilvania.
Ma chi rappresenta la Croazia maggioritaria riguardo al "problema istriano"? Budisa e Tomcic o Kramaric e Miscevic? Non ci sono ricerche empiriche valide. Ma sembra che la maggioranza croata sia assolutamente o quasi assolutamente indifferente e che l'isterismo di Budisa, così come l'europeismo di Miscevic, siano soltanto due opinioni minoritarie, la prima diffusa a misura del nazionalismo croato, la seconda a misura dell'affermazione del valore della multiculturalità nella società e nell'opinione pubblica croata. I futuri sviluppi dipendono dal tipo di contesto culturale, ideologico, politico e sociale che si costituirà nel paese nei prossimi anni.

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08/06/2001 -  Anonymous User

Dopo cinque anni di preparativi ieri a Mostar sono iniziati i lavori per la ricostruzione del Ponte vecchio, distrutto durante la guerra di Bosnia. Lo "Stari Most" fu costruito nel 1566 dall'architetto ottomano Mimar Hajrudin e per quasi cinquecento anni era riuscito a sopravvivere a numerose guerre unendo le due sponde del fiume Neretva. Con lo scoppio della guerra tra croati e musulmani il ponte vecchio venne sbriciolato dai colpi dell'artiglieria dell'HVO (esercito croato) il giorno 9 novembre 1993.
Da allora l'arco spezzato più che rappresentare un capolavoro dell'architettura - rientra nelle opere classificate dall'Unesco come patrimonio mondiale - ha rappresentato il divario tra le due zone in cui è tuttora divisa la città.
La ditta turca Yapi Markezi dovrà nei prossimi sei mesi costruire le fondamenta del ponte e rinforzarne i sostegni. Mentre il rappresentante dell'Agenzia per la ricostruzine del Ponte vecchio, Tihomir Rosic, ha detto durante l'innaugurazione dell'inizio dei lavori, che sono riusciti a risolvere l'enigma dell'architetto Hajrudin, riguardo la costruzione delle fondamenta del ponte, la geometria dell'arco e il collegamento dele pietre del ponte.
I lavori di ricostruzione che comprenderanno oltre al ponte anche alcuni edifici vicini si prevede che vengano ultimati entro il 2003. Per tale ricostruzione verranno spesi circa 15,5 milioni di dollari, di cui 4 milioni di dollari sono stati concessi in credito dalla Banca mondiale e circa 5,5 milioni di dollari sono stati donati dai governi italiano, francese, turco e olandese.



» Fonte: © HINA