Amore fraterno? Sembra tutt'altro. Tra i vari paesi europei dell'est la Serbia sembra quella più dipendente dal gas russo e con accordi con Mosca più svantaggiosi. Potrà questo mettere a repentaglio il suo avvicinamento all'Unione europea?

02/12/2013 -  Dragan Janjić Belgrado

In Serbia, il 24 novembre scorso, è stata inaugurate ufficialmente alla presenza di tutto l’establishment del paese, la posa delle prime condotte del gasdotto South stream. I lavori in ogni caso dovrebbero iniziare fra tre mesi, ossia a febbraio ma i media serbi parlano del gasdotto in questione come cosa già fatta, contando sullo stimolo che arriva dai centinaia di milioni di euro che la Serbia ogni anno dovrebbe incassare per le tasse sul trasporto del gas verso altre destinazioni europee.

Il costo della realizzazione di questo gasdotto attraverso la Serbia è passato dagli iniziali 1,4 miliardi di euro agli attuali 1,9 miliardi. La Serbia deve assicurarne la metà, ma questo denaro non c’è e quindi si farà prestare dei crediti dalla russa Gazprom. Il garante di questo finanziamento, di fatto, sarà il governo serbo. Un prestito che verrà restituito grazie alla tassa sul trasporto del gas. Nei fatti quindi la Serbia, anche nel caso in cui l’intero gasdotto venisse terminato in tempo, ossia entro i prossimi due anni, non riuscirà per anni a vedere quelle centinaia di milioni di euro di cui oggi scrivono i media serbi.

Ma non è questo l'unico aspetto a far credere che la Serbia sia il partner ad aver ottenuto le condizioni peggiori, rispetto agli altri paesi dove il South stream passerà. Alla Russia è stato lasciato il 51% del gasdotto ed ha ottenuto una posizione dominante tanto quanto sul passaggio di gas e petrolio che sulle risorse di gas e petrolio di cui la Serbia dispone. La Serbia con il cosiddetto "accordo energetico" con la Russia si è persino impegnata a non  modificare le condizioni di mercato del gas e del petrolio senza il via libera di Mosca.

Futuro europeo?

Questo tipo di accordo, alla base, è contrario all’accordo energetico europeo che esclude la possibilità che una stessa azienda abbia il controllo sia della produzione che della distribuzione del gas. L'accordo tra Serbia e Russia offre a quest’ultima un totale monopolio sul traffico di gas e petrolio nel paese, cosa che non combacia con la posizione dell’accordo energetico europeo che sancisce il diritto a terzi di accedere al mercato. Quindi se la Serbia vuole entrare nell’UE, dovrà implementare seri cambiamenti all’accordo con la Russia.

Modifiche che non passeranno facilmente perché la parte russa già da ora ha in mano potenti mezzi per esercitare pressioni sula Serbia. Infatti, Srbijagas è debitrice nei confronti di Gazprom per oltre un miliardo di euro di gas russo piazzato sul mercato locale. La Serbia non dispone di tale denaro e se la parte russa le chiedesse di pagare il debito, cadrebbe in una profonda crisi, con la possibilità che le vengano bloccate del tutto le forniture di gas. Si può pertanto affermare che la Russia, attraverso l’accordo sul gas, ha in mano le chiavi del futuro europeo della Serbia, allo stesso modo con cui può influire sulla prospettiva europea dell’Ucraina.

Politica

Tutta questa storia ovviamente ha avuto delle conseguenze politiche. Alcuni giorni dopo l'inaugurazione delle prime condotte del South stream, nell’inserto Ruska reč (La parola russa), venduto insieme al quotidiano filogovernativo Politika, è stato pubblicato un testo in cui, tra le altre cose, si affermava che il Centro per la protezione civile di Niš (Serbia centrale) diverrà una base militare russa.

Nel frattempo, l’ambasciatore russo a Belgrado Aleksandar Čepurin in varie interviste sui maggiori giornali serbi ha tenacemente insistito sul fatto che l’ingresso della Serbia nella NATO verrebbe accolto piuttosto male dalla Russia e che sarebbe una “mossa stupida”.

È chiaro quindi che la Russia non ha alcuna intenzione di concedere alla Serbia di “scivolare” così facilmente verso l’UE, e che in quest’ottica è in grado di usare tutto il potere offertole dall’accordo energetico.

La maggior parte dei partiti politici serbi continua a convincere l’opinione pubblica che la Russia difende gli interessi serbi. Ma la Serbia invece di essere “premiata”, come paese che esprime un orientamento filo russo, con un accordo energetico più favorevole e un prezzo del gas più basso rispetto ad altri paesi, si è trovata nella situazione opposta. È ricattata dai debiti e il prezzo del gas sul mercato serbo è di circa il 30 percento più alto che negli altri paesi europei.

Questa situazione è conseguenza di una conduzione del tutto amatoriale della politica estera negli ultimi anni, compresa l’incapacità dell’establishment politico serbo di valutare realmente le possibilità che il paese ha. Una politica incapace di risolvere i problemi cruciali e prigioniera di miti come quello del Kosovo. La Serbia non ha fatto per tempo passi decisivi verso l’eurointegrazione. Di conseguenza gli accordi con la Russia sono stati presi senza avere già alle spalle l'UE, come è stato invece per Bulgaria, Romania e altri paesi. Le suppliche sull’amor fraterno non hanno sortito alcun effetto, la Russia infatti ha freddamente sfruttato l’occasione che le veniva offerta.

Per come stanno le cose adesso, le relazioni proseguiranno nella stessa direzione, come dimostrano le dichiarazioni dell’ambasciatore Čepurin e anche solo l'ipotesi che venga realizzata una base militare russa a Niš. La coalizione di governo sembra essere alquanto allarmata da come si stanno sviluppando le cose e il premier Ivica Dačić ha iniziato ad addossare la responsabilità all’UE, accusandola di non aiutare abbastanza la Serbia che per questo si trova a dover rinforzare la collaborazione con la Russia e altri paesi dell’Est. Un argomento analogo è stato usato dal governo ucraino, come spiegazione del motivo per cui, dopo le minacce di Mosca, ha rinunciato alla firma dell’accordo di associazione con l’UE.

Lavori

Il gasdotto “South stream” a dire il vero non è russo-serbo, bensì è un progetto russo-europeo. E' stato lanciato nel 2008, quando la congiuntura economica sembrava nettamente favorevole a questo tipo di progetti. Poi è arrivata la crisi e le cose sono cambiate. La prima stima dei costi della realizzazione dell’intero gasdotto era di circa 10 miliardi di euro, oggi però sarebbero lievitati sino a non meno di 19 miliardi di euro. Inoltre i paesi coinvolti nel progetto sono più poveri di cinque anni fa, motivo per cui potrebbero rivedere il proprio impegno economico nel progetto.

Per il momento in Serbia l'unica cosa concreta sono due tubi saldati, mentre tutto il resto relativo al gasdotto è ancora solo un progetto. La domanda cruciale che in questo momento non ha una risposta è la seguente: in Italia, Svizzera, Austria e negli altri paesi europei vi è una domanda sufficientemente alta da poter motivare una rapida realizzazione di questo costoso progetto? Perché la richiesta del gas russo in Europa è scesa di circa un quinto, mettendo così in discussione la posizione dominante della Russia come unico fornitore di gas.

I paesi europei, scottati dalla cosiddetta crisi del gas tra Russia e Ucraina e altri paesi attraverso i quali passano i gasdotti già realizzati, hanno infatti iniziato a fornirsi di gas liquido. Si sta inoltre progettando un potenziamento del “North stream” che, evitando l’Ucraina e altri paesi di transito, aumenterebbe il trasporto potenziale di gas russo verso l'Europa.

Infine l'incognita Mar Nero: la Russia ha iniziato a costruire il gasdotto partendo dai giacimenti dai quali il “South stream” dovrà approvvigionarsi e a posizionare le tubature nel Mar Nero. Ma non si sa con precisione quanto il lavoro stia procedendo e se sono stati risolti tutti i problemi tecnici legati al passaggio in acque molto profonde e poco adatte.


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