Freedom (gonzalo_ar/flickr.com)

Andare a bersi un caffè a Szeged, Salonicco, Trieste. Senza visto. Dal 19 dicembre sarà possibile per i cittadini della Serbia. C'è felicità. Ma non per tutti. I più disincantati sono gli adolescenti, nati e cresciuti durante le sanzioni. Un commento

18/12/2009 -  Danijela Nenadić Belgrado

30 novembre 2009. Belgrado. Verso mezzogiorno. Sono al lavoro. Il cellulare squilla insistentemente. Nella valanga di messaggi che ricevo, uno mi sorprende. "Viva la libertà" indicano le lettere sul display. Chi scrive è mia madre sessantenne. Di primo acchito non capisco, ma come, non abbiamo già conquistato la libertà nel lontano 2000? Mi chiedo velocemente, ma poi capisco che, finalmente, da Bruxelles è giunta la notizia a lungo attesa.

Il comunicato ufficiale dice quanto segue. I ministri degli Interni e della Giustizia dell'Unione europea hanno adottato l'emendamento alla Normativa 539/2001 con la quale si inseriscono sulla lista bianca di Schengen i cittadini di Serbia, Montenegro e Macedonia, ciò vale a dire che saranno assolti dagli obblighi relativi ai visti per i paesi Ue, eccetto per la Gran Bretagna e l'Irlanda. La decisione si riferisce ai cittadini della Serbia che possiedono il passaporto biometrico, eccetto i cittadini che risiedono in Kosovo.

19 dicembre 2009. Belgrado, Serbia, Europa. Mi chiamo Danijela Nenadić. Cittadina della Serbia. Da oggi posso viaggiare liberamente per la mia Europa. Non ci sono più visti, non ci sono più umilianti code agli sportelli, non c'è più la raccolta di milioni di documenti, richieste di appuntamenti alle ambasciate, sguardi di sbieco agli sportelli degli uffici consolari, non c'è più il timore di riuscire o meno a far visita agli amici che vivono nel resto d'Europa.

Sono felice. Credo profondamente che ciò sia di importanza capitale per tutti i cittadini della Serbia. So, senza ombra di dubbio, che il mondo a cui apparteniamo sarà più vicino, che i giovani usciranno finalmente dal ghetto in cui li abbiamo tenuti prigionieri, che cominceremo tutti di nuovo, venti anni dopo, a viaggiare con soddisfazione, col desiderio di sapere qualcosa di nuovo e di conoscerlo, che crescerà una generazione per la quale la parola visto sarà aliena e che potrà, come facevo io in passato, prendere il proprio passaporto rosso e viaggiare dove vuole e quando vuole.

Sono triste. O forse molto arrabbiata. Siamo stati isolati per quasi venti anni. Sono trascorsi nove anni dai cambiamenti in Serbia. Avrei di che essere felice? Quante sono le generazioni perdute? Guardo i commenti alla televisione e sui forum. Chi ha più di trent'anni, quelli che ricordano "i bei tempi", afferma che la notizia da Bruxelles li ha resi felici. Molti hanno detto che adesso chiederanno il passaporto biometrico e andranno a fare un salto a Lubiana a bere un caffè oppure proseguiranno fino a Trieste e Venezia, alcuni dicono invece che a tutta velocità andranno fino a Salonicco.

I miei genitori si preparano per andare a bere un caffè a Szeged (Ungheria). Dicono: "Non è tanto per il caffè, è solo che vogliamo sentire ancora che possiamo farlo. Proprio come un tempo, quando avevamo il passaporto rosso, quello 'titino', e potevano viaggiare in libertà".

È facile per noi che sappiamo cosa vuol dire, e quindi ci viene normale volerlo rifare. Come se per molto tempo non avessimo guidato la bicicletta, e ci bastano pochi minuti per sapere come si fa. Ma che ne è delle generazioni che non ricordano altro che le sanzioni, l'embargo, le guerre, i visti, che ne è di chi è nato e cresciuto in un ghetto?

I loro commenti, benché attesi, mi rattristano. Ve ne riporto alcuni: "Cosa ci faccio nell'Unione europea, là è tutto senza senso, loro non sanno vivere come noi"; "Non voglio certo andare in paesi nemici, in paesi che hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo"; "Come faccio a viaggiare se i miei genitori non hanno soldi a sufficienza nemmeno per vivere!"; "In Serbia si sta meglio, non mi viene proprio in mente di viaggiare"; "Bravi, non ci hanno lasciato andare fino a ieri, adesso sono io che non voglio andare, proprio per ripicca".

Questi sono i commenti dei teenager di oggi. Quelli nati sotto le bombe. Quelli i cui genitori sono i cosiddetti perdenti della transizione. Quelli che non sanno come costruire la propria identità. Questi sono i pensieri di quei giovani che esclamano "Kosovo è Serbia" e che vivono infarciti di retorica sulla terra santa serba. Svogliati. Aggressivi. Delusi. Credono solo alla legge del denaro. Non sono mai potuti andare da nessuna parte e la Serbia è spesso un luogo piuttosto cupo dove vivere. Qualcuno dice che la Serbia non riuscirà a stabilizzarsi in breve tempo proprio a causa della sua generazione X. Altri invece dicono che, lavorando intensamente coi giovani, è possibile dissipare i pregiudizi e gli stereotipi e avvicinare la Serbia al mondo e il mondo alla Serbia.

Ora e sempre credo che non abbiamo il diritto di stare a guardare e aspettare che il domani sia migliore. Lo so, sarebbe meglio se la liberalizzazione dei visti l'avessimo raggiunta molti anni fa, so bene che tutto arriva lentamente e a piccole dosi, so anche che in buona parte siamo noi stessi i responsabili, sono passati molti anni, lo so, molto probabilmente saranno pochi i cittadini serbi che il 19 dicembre si sentiranno diversi rispetto a qualsiasi altro giorno, so anche che sono poche le persone che potranno permettersi di uscire dal paese, ma so che siamo un passo più vicini alla vita normale. Ecco perché a San Nicola mi sentirò orgogliosa quando guarderò i cinquanta cittadini della Serbia, che grazie al programma del governo "Europa per tutti", per la prima volta viaggeranno nei paesi dell'Unione europea. In tasca avranno solo il loro passaporto rosso biometrico. Senza visto


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