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Alla fine Gregor Virant e la sua Lista civica hanno deciso di uscire dal governo. E lo hanno fatto proprio il giorno dello sciopero generale del pubblico impiego. Ora Janez Janša si trova a guidare un governo di minoranza

24/01/2013 -  Stefano Lusa Capodistria

La Lista civica, capeggiata dal presidente del parlamento Gregor Virant, è uscita dalla coalizione di governo. L’annuncio è arrivato alla scadenza dell’ultimatum posto al premier Janez Janša dal piccolo partito. La coalizione di centrodestra ora non ha più la maggioranza in parlamento: presto se se ne andranno anche pensionati e popolari e la poltrona del primo ministro è sempre più traballante. Ma la soluzione della crisi potrebbe non avvenire in tempi rapidi.

Lo strappo

A provocare lo strappo il rapporto della Commissione anticorruzione sui leader dei partiti, pubblicato agli inizi di gennaio. A finire nel mirino dell'organismo, per una serie di introiti sospetti, i presidenti delle due principali formazioni politiche: il capo del governo, nonché leader dei democratici Janez Janša e il suo principale antagonista, il sindaco di Lubiana e presidente di Slovenia positiva Zoran Janković.

Hanno subito ricevuto fiducia incondizionata dai propri partiti. Janković, però, ha congelato quasi immediatamente la sua funzione di presidente della compagine politica, restando comunque saldamente avvinghiato alla poltrona di sindaco di Lubiana; Janša invece è rimasto al suo posto ed i suoi uomini hanno gridato platealmente alla congiura dei comunisti e dei loro eredi.

Per Virant la soluzione ideale sarebbe stata quella di proseguire con la stessa maggioranza e con un altro capo del governo indicato dai democratici, ma il partito del premier ha subito detto chiaramente che non esiste altro capo del governo all’infuori di Janša.

Ultimatum e sciopero pubblico impiego

In una Slovenia in subbuglio l’infido Virant non ha lasciato nulla al caso ed ha fatto scadere il suo ultimatum alla vigilia dello sciopero generale del pubblico impiego. Motivo del contendere, il taglio, per il 2013, del 5% degli stanziamenti per i salari. E’ la seconda volta, in un anno, che il comparto pubblico si ferma per protestare contro le misure di contenimento della spesa. Significativamente i più ferventi sostenitori di questi provvedimenti, ed anche della necessità di introdurre riforme d’impronta liberista, sono proprio gli esponenti della Lista civica di Virant.

Sta di fatto che lo sciopero di ieri è stato una vittoria per i sindacati. Scuole, asili e altri uffici sono rimasti chiusi, con un’adesione di 100.000 dipendenti pubblici e manifestazioni che sono andate in scena in ben 13 città. A scendere in piazza circa 20.000 persone, che non hanno risparmiato slogan irriverenti all’indirizzo del governo e del premier.

Si salvi chi può

L'esecutivo, del resto, è in caduta libera nei sondaggi. L'indice di gradimento è sceso al 16%. Ieri il primo ad abbandonare la nave che sta affondando è stato il segretario generale del partito dei pensionati (Desus), Ljubo Jasnič. Battendo sul tempo la Lista civica ed anche il suo stesso partito, ha rassegnato le dimissioni irrevocabili dalla carica di segretario di stato presso l’ufficio del capo del governo.

Jasnič, del resto, al prossimo congresso della sua compagine appare il più accreditato avversario dell'attuale presidente Karl Erjavec, che all’epoca aveva incassato non poche critiche per la decisione di entrare a far parte della coalizione di centrodestra. In ogni modo anche il Desus si sta apprestando ad abbandonare l’esecutivo. Formalmente la decisione dovrebbe venir resa il prossimo 4 febbraio ed entro marzo dovrebbero andarsene anche i popolari.

Governo di minoranza

A rimanere fedeli a Janša, anche se con qualche malcelato dubbio, per ora solo i democristiani di Nuova Slovenia. Sta di fatto che, comunque, le redini del gioco sono ancora in mano al premier che per il momento sembra intenzionato a rimanere al suo posto. L’ordinamento costituzionale sloveno, del resto, gli consente di andare avanti abbastanza tranquillamente con un governo di minoranza. Se non sarà lui a chiedere la fiducia o a dimettersi l’unico modo per farlo saltare è quello della sfiducia costruttiva, eleggendo cioè il suo successore.

Ciò significa che sarebbe necessario trovare un nuovo nome ed anche un'altra maggioranza. Ad una simile ipotesi si starebbe già lavorando, ma nessuna nuova coalizione è possibile senza i voti dei democratici o di Slovenia positiva, ovvero dei partiti sui cui leader aleggiano sospetti di corruzione.

Per allearsi con Slovenia positiva a Virant, che sembra portarsi a traino anche popolari e forse anche il partito dei pensionati, non basta che Janković abbia congelato la sua carica, ma vorrebbe le sue dimissioni vere e proprie dalla presidenza del partito. Il leader della Lista civica - che non ebbe remore ad entrare in coalizione con Janša, anche se il premier aveva un procedimento giudiziario per la vicenda delle presunte tangenti per la fornitura dei blindati finlandesi all’esercito sloveno - ora sta giocando la carta del moralizzatore della politica slovena.

Che futuro politico?

A scanso di improbabili miracoli, comunque, anche questa legislatura sembra destinata ad andare verso nuove elezioni anticipate e le incognite sono molte. Rimane da vedere se il governo Janša avrà i numeri per chiudere almeno le riforme più importanti prima di andare al voto. Su molte questioni la vecchia maggioranza potrebbe, comunque, essere molto compatta.

Un'altra soluzione potrebbe essere quella di formare una nuova coalizione con un premier più o meno tecnico, che potrebbe lasciare all’opposizione i piccati democratici, probabilmente Nuova Slovenia e, forse, anche i socialdemocratici, che vorrebbero elezioni in tempi brevi, visto che volano negli inaffidabili sondaggi sloveni.

L’ipotesi più improbabile, appare quella di un’alleanza di larghe intese tra Slovenia positiva e democratici, per fare le riforme, liberi dai condizionamenti dei piccoli partiti, per poi andare al voto con calma e in una situazione economicamente migliore per il paese. Al momento, però, pare esserci troppa acredine tra i due poli per immaginare possibile uno scenario simile.

Sta di fatto che indipendentemente dagli interessi dei singoli partiti, per molti analisti, prima di correre alle urne, sarebbe utile approvare la riforma del mercato del lavoro, su cui è in pieno corso la concertazione. Parrebbe inoltre necessario modificare la legislazione referendaria, per non lasciare il paese in balia di continue consultazioni popolari che rischiano di minare qualsiasi riforma. Infine rimarrebbe da ratificare il Trattato di adesione della Croazia all’Unione europea: un nodo, quest’ultimo, di non facile soluzione, visto che i tempi stringono e che la Slovenia condiziona la sua ratifica alla soluzione della vertenza legata alla Ljubljanska banka.


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