Skopje

Skopje - Andrzej Wójtowicz/flickr

Una nuova intesa rilancia il processo elettorale in Macedonia, ma la cautela è d'obbligo e il paese resta a rischio destabilizzazione. Un'analisi in collaborazione con l'Istituto Affari Internazionali

10/08/2016 -  Francesco Martino

Riparte l'ennesimo, fragile accordo, il tentativo di tirare fuori la Macedonia dalla crisi politica ed istituzionale in cui il paese balcanico è precipitato dal febbraio 2015. 

A sottoscriverlo, sul finire di luglio, i principali partiti macedoni, tra cui il movimento conservatore della Vmro dell'ex premier Nikola Gruevski - al governo ininterrottamente da un decennio - e i socialdemocratici di Zoran Zaev - Sdsm, principale forza di opposizione -, sotto il patronato di Unione europea e Stati Uniti.

L'obiettivo dell'intesa è portare finalmente il paese alle urne per restituire stabilità e legittimità ad un sistema politico profondamente scosso da scandali e bloccato da veti incrociati, dopo due tentativi abortiti di organizzare elezioni sia ad aprile che a giugno scorso. 
Per il momento date e scadenze per nuove consultazioni anticipate non sono state fissate: l'impegno è incontrarsi ancora a fine agosto per valutare la presenza delle condizioni minime necessarie ad elezioni libere e democratiche.

L’intesa fra governo e opposizione

Tre i nodi fondamentali ancora da sciogliere: una politica di riequilibrio dei media, considerati da osservatori locali e internazionali poco liberi, dipendenti e nettamente sbilanciati a favore della compagine governativa; il vaglio delle liste elettorali obsolete e piene di nominativi fittizi, facilmente utilizzabili dal governo per pilotare i risultati del voto; l'accordo sulla composizione e le competenze del governo ad interim che dovrebbe guidare la Macedonia durante la campagna elettorale.

Le reazioni all'intesa raggiunta a fine luglio sono state molto caute, visti i ripetuti fallimenti registrati nei mesi passati, e da parte delle associazioni dei giornalisti è già arrivata una sonora bocciatura dei meccanismi proposti al fine di creare un ambiente più libero e disteso per i media macedoni, giudicati del tutto insufficienti. Al momento, però, la strada del compromesso sembra restare l'unica percorribile per tentare di sbloccare lo stallo.

La crisi era letteralmente esplosa ad inizio 2015, quando il leader socialdemocratico Zaev aveva reso pubbliche scandalose registrazioni di intercettazioni ambientali e telefoniche (ottenute da fonti mai chiarite). 

Nelle registrazioni - messe a disposizione del pubblico ad intervalli regolari -, secondo Zaev c'erano prove inconfutabili del fatto che il governo Gruevski si sarebbe macchiato di brogli elettorali, corruzione, arresti e detenzioni illegali e, soprattutto, dello spionaggio arbitrario di almeno ventimila cittadini macedoni.

Per Gruevski, però, quelle che sono presto diventate note come “notizie bomba” non rappresentano altro che un tentativo di colpo di stato, ordito dall’opposizione ai danni dell'esecutivo con l’aiuto di mai precisati “servizi segreti stranieri”. 

Accordi di Pržino e proteste di piazza

In un clima politico sempre più rovente - culminato a inizio maggio in scontri di piazza tra manifestanti anti-Gruevski e polizia -, Unione europea e Stati Uniti sono riusciti a portare i contendenti al tavolo delle trattative, arrivando nell'estate 2015 ai cosiddetti “accordi di Pržino”.

L’intesa prevedeva due punti fondamentali: una road-map per portare la Macedonia ad elezioni anticipate (inizialmente fissate per il 24 aprile 2016), con le dimissioni di Gruevski e la nascita di un governo di transizione aperto ai socialdemocratici, e la creazione di una procura speciale per indagare sulle accuse di corruzione e abusi nei confronti dell'esecutivo.

L'implementazione degli accordi di Pržino si è però rivelata molto più difficile del previsto: nonostante le dimissioni di Gruevski, per l'opposizione (e per gli attori internazionali, Ue in testa) il governo non si è impegnato a sufficienza ad assicurare elezioni free and fair, e le consultazioni sono state spostate prima al 5 giugno per essere rimandate poi sine diedopo il boicottaggio di tutti i partiti coinvolti (tranne la stessa Vmro).

Anche il lavoro della procura speciale - affidata all’ex procuratore della città di Gevgelija Katica Janeva - è partito in salita e in ritardo sui tempi previsti. Il senso stesso dell'indagine è stato poi messo in discussione nell'aprile 2016 dalla decisione del presidente Gjorge Ivanov (Vmro) di concedere l’amnistia ai politici coinvolti negli scandali di competenza della procura, provvedimento ritirato dopo l'esplodere di nuove violente proteste di piazza.

Il sostanziale fallimento di una soluzione concordata ha messo in evidenza la capacità del governo della Vmro di resistere alle pressioni provenienti dalla piazza, ma anche alle critiche della comunità internazionale che accusa apertamente Gruevski di aver imposto un regime sempre più illiberale. 

Nel frattempo si approfondiscono le spaccature che segnano la società macedone, con l'opposizione politica incapace di imporre una direzione diversa alla crisi e con una società civile ancora in cerca di nuovi ed efficaci strumenti di partecipazione.

Bruxelles sempre più lontana

Anche il peso politico dell'Unione europea esce ridimensionato dalla vicenda: preoccupata dalle numerose crisi che ne scuotono il centro, l'Ue appare oggi piuttosto distratta rispetto alle vicende che interessano la propria periferia vicina e quindi poco capace di influenzarne i destini.

Nel caso della Macedonia - candidato membro dal lontano 2005 - pesa poi anche lo storico veto della Grecia all'apertura dei negoziati (Atene considera il nome “Macedonia” parte inalienabile del patrimonio culturale e storico ellenico, e chiede al vicino settentrionale di modificare il proprio nome costituzionale). Una mossa che priva l'Unione della sua “carota” più appetibile nei confronti della leadership politica locale, ovvero l’avanzamento nel processo di integrazione.

L'accordo di fine luglio segna un passo interlocutorio che lascia le porte aperte a futuri negoziati. Resta però estremamente difficile prevedere uno sbocco della crisi. Nella migliore delle ipotesi, la Macedonia potrebbe arrivare a nuove elezioni nel dicembre 2016: nel frattempo il paese - che alla crisi politica affianca una situazione economica tutt'altro che rosea - resta una realtà a forte rischio di destabilizzazione.

 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato col titolo "Macedonia, un compromesso nazionale per tornare al voto" sulla rivista Affari Internazionali, edita dall'Istituto Affari Internazionali.


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