In Turchia il whistleblowing e la sua resa in forma di notizia giornalistica vengono criminalizzati, come dimostrano bene i due casi di Reyhanlı e dei TIR del MIT, l’intelligence turca

13/12/2017 -  Emre Tansu Keten Istanbul

(Originariamente pubblicato da Bianet , nostro media partner nel progetto ECPMF)

Secondo il pensiero liberale-pluralista il giornalismo ricopre un ruolo vitale nell’esercizio della democrazia. Le persone, che scelgono i propri governanti per mezzo delle elezioni hanno bisogno di essere informati per poter fare una scelta razionale. I media informano la popolazione riguardo alle azioni del governo, e mentre includono nel dibattito pubblico anche i cittadini, svolgono al contempo una funzione di controllo sul governo.1

Tuttavia al giorno d’oggi i poteri che vanno controllati non sono rappresentati solo dagli Stati. Anche le grosse compagnie, come già raccontato nel film The Insider del 1999, tratto da una storia vera, vorrebbero evitare di attirare l’attenzione dei media.

Il film racconta la storia di Jeffrey Wigard, impiegato in una compagnia di tabacco, che subisce numerose ripercussioni per aver denunciato ad un giornale i propri dirigenti che manipolavano i valori della nicotina per creare maggiore dipendenza dal fumo.

L’azione di Wigard è definita dalla letteratura come “whistleblowing”. Il termine, utilizzato per la prima volta nel 1971 dall’attivista statunitense Ralph Rader, significa che un membro di un'istituzione informa un’altra istituzione, il pubblico o i media, di atti illegali, abuso di potere, corruzione o ingiustizie che avvengono all’interno della propria istituzione.2

Secondo Wim Vandekerckhove, dal punto di vista motivazionale, il whistleblowing potrebbe avvenire senza che il whistleblower si aspetti di trarne un vantaggio e unicamente come atto di sostegno dell’utilità pubblica. Allo stesso modo potrebbe anche verificarsi senza che vi siano considerazioni sull’utilità pubblica, bensì per ottenere un vantaggio personale.3

Fino ad oggi diverse azioni di whistleblowing hanno influito fortemente sulla politica, sia a livello nazionale che mondiale. Per esempio, nel 1967 Daniel Ellsberg ha condiviso con il New York Times e il Washington Post 7mila documenti strettamente riservati sulla guerra del Vietnam, ricoprendo così un importante ruolo di trasformazione dell’atteggiamento della popolazione sulla guerra.

Tra il 1972 e il 1974 il vice presidente dell’FBI William Mark Felt Sr. noto con il nickname “Gola Profonda” (Deep Throat), informando i giornalisti fece chiarezza sul cosiddetto scandalo Watergate, che si concluse con le dimissioni del presidente USA Nixon. Nel 2013 Edward Snowden ha reso noto che la NSA (Agenzia di sicurezza nazionale), dove prestava servizio, aveva spiato e registrato le comunicazioni di milioni di persone.

Whistleblowers e media

Ciò che possiamo osservare da tutte queste pratiche di whistleblowing è che i media vi giocano un ruolo centrale. Il potere dei media è di importanza cruciale per fare in modo che la diffusione di documenti riservati specifici e di portata minore attirino l’attenzione dell’opinione pubblica e, allo stesso tempo, per influenzare chi ha potere decisionale. Come si è visto nell’esempio di Wigard, tanto la diffusione dei materiali riservati quanto la loro pubblicazione su un colosso dei media come la CBS, sono stati determinanti nel far venire alla luce un’irregolarità che minacciava la salute delle persone.

Allo stesso modo, nei casi che Kwoka definisce “deluge leak4 (“fuga a cascata”) in cui vengono diffusi un numero elevato di documenti, spetta sempre ai giornalisti estrapolare delle storie significative e comprensibili e fare in modo che le persone citate nei documenti malgrado non siano implicati nei fatti non vengano danneggiati.5

Nel caso della NSA, Edward Snowden spiega di aver preferito non pubblicare per conto proprio le informazioni trafugate, perché queste erano state diffuse per rappresentare nel migliore dei modi l’utilità pubblica, escludendo nell’operazione la propria educazione, le idee e i preconcetti personali. Per questo motivo afferma di non aver voluto decidere quale documento dovesse essere condiviso con il pubblico o meno.6

Il “giornalismo del whistleblowing” fondato sulla collaborazione tra whistleblower amatoriali e giornalisti professionisti, ha aggiunto nuovi interrogativi alle questioni della privacy, della priorità dell’utilità pubblica e della segretezza delle fonti nell’ambito dell’etica giornalistica.

La normativa prevista dalla legge è alquanto importante per il whistleblowing. È possibile notare che nei paesi dove i whistleblower sono protetti dalla legge viene pubblicato un numero maggiore di notizie riservate, mentre in quelli dove la tutela legale è carente si osserva la preferenza per un whistleblowing interno [all’istituzione o all’azienda in questione].7

La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha emesso una sentenza sulla tutela delle fonti dove giunge alla seguente conclusione: “In assenza di una simile tutela, le fonti di informazione potrebbero rinunciare ad aiutare le persone sulle questioni di utilità pubblica”.8 

La sentenza più celebre della CEDU sulla protezione delle fonti è quella del processo Guja. In Moldavia, due politici di alto livello inviarono al procuratore generale, che aveva avviato una causa contro quattro agenti di polizia, una lettera per convincerlo a non dare seguito alla pratica. Guja, un impiegato della procura, inviò la lettera ad un giornale e fu licenziato per questo motivo. Fece dunque ricorso alla CEDU e fu stabilito che agì correttamente perché era stato osservata l’utilità pubblica.

I casi di Reyhanlı e dei TIR dell’Intelligence turca (MIT)

L’11 maggio 2013 a Reyhanlı, provincia turca vicina al confine con la Siria, l’esplosione di due autobombe ha causato la morte di 52 persone, ferendone altre 146. Quattro mesi dopo, il massacro è stato rivendicato dall’ISIS, ma le forze di sicurezza turche hanno dichiarato che l’attacco era stato effettuato su ordine dell’amministrazione siriana da un’altra organizzazione.9

Questo articolo è parte di un dossier tematico realizzato dalla rete dei mediapartner di OBCT: 14 testate giornalistiche con sede in altrettanti paesi. Il dossier completo è disponibile qui.

Il 22 maggio, Redhack, gruppo hacker turco di sinistra, ha diffuso su Twitter rapporti appartenenti all’Ufficio di presidenza dell’intelligence della gendarmeria che indicavano come da molto prima si fosse a conoscenza dell’attentato che ci sarebbe stato a Reyhanlı. Nei documenti veniva dato spazio a dettagli su mezzi di trasporto carichi di ordigni esplosivi e materiali per la costruzione di bombe, ricercati dalla Siria e che presumibilmente erano destinati a gruppi pro-al Qaida.

Inoltre, sempre nei documenti riservati diffusi, veniva affermato che militanti di Al Nusra “il 23 aprile avevano caricato ordigni esplosivi su tre mezzi”, che tali bombe sarebbero state utilizzate in un’azione mirata a colpire la Turchia e che questo “mostrava un parallelismo con l’azione della nota informativa”.

Due giorni dopo la pubblicazione dei documenti, il soldato Utku Kalı, in servizio ad Amasya, è stato arrestato con l’accusa di aver inviato questi documenti a Redhack. Il fatto che i documenti diffusi fossero comparsi nel sistema informativo nelle ore in cui Kalı era di turno costituiva l’unica prova a riguardo.

Hüseyin Çelik, vice presidente dell’AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo) del periodo, sostenendo che Kalı “aveva legami con un’altra organizzazione terroristica” dichiarò che questi aveva inoltrato i documenti fotografandoli con il cellulare.10

Processato con richiesta di pena carceraria fino a 25 anni per le accuse di “aver reperito documenti riguardanti la sicurezza dello Stato” e di aver “resi pubblici documenti relativi alla sicurezza dello Stato e all’utilità politica”, definiti nella sezione “Reati contro lo Stato” del codice penale turco, Utku Kalı è stato rilasciato dalla prima corte che ha valutato il suo caso.

Tuttavia ci sono state altre persone che sono state arrestate o fermate con l’accusa far parte di Redhack, dichiarata nel corso di questo processo un’“organizzazione terroristica”. Non è stata invece avviata alcuna indagine per sapere se si fosse al corrente dell’attentato di Reyhanlı, prima che questo avvenisse e se i funzionari pubblici avessero qualche colpa in merito.

Il gruppo Redhack, che precedentemente aveva diffuso sulla rete le mail di denuncia della Direzione della Polizia e le comunicazioni interne dell’Ente Superiore per l’Istruzione, il 6 dicembre 2016 ha messo in circolazione le email personali del ministro dell’Energia Berat Albayrak, genero del presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Le 57mila e 900 email hanno esplicitato i numerosi rapporti commerciali, politici ed accademici del ministro. L’atteggiamento del governo non è stato diverso nemmeno in questo caso. E’ stato avviato un processo contro 6 giornalisti che avevano fatto delle email materiale per i loro articoli e tre di questi sono stati arrestati.

Tunca Öğreten, uno dei giornalisti imprigionati, in una lettera inviata dal carcere, scriveva così: “Chiederò al giudice se ciò che sanno 7 milioni di persone è un segreto. Per i giornalisti che rincorrono la verità lavorare in questo Paese è diventato molto pericoloso. È un lavoro così rischioso e pericoloso che può essere paragonato a quello dell’artificiere. Essere rinchiusi, da questo punto di vista, significa anche stare lontani da questo pericolo. Auguro perciò ai colleghi che sono fuori di poter fare il proprio lavoro.11

Un altro recente episodio di diffusione di documenti riservati che ha suscitato ampio dibattito riguarda la diffusione delle immagini dei TIR dell’intelligence turca (MIT) che si presume fossero carichi di armi destinati ai jihadisti in Siria. Le foto ritraenti bombe da mortaio e diverse tipologie di munizioni sono state pubblicate sul quotidiano Cumhuriyet il 29 maggio 2015.

Due giorni dopo la pubblicazione il presidente Recep Tayyip Erdoğan, in diretta televisiva sulla rete statale TRT, ha definito la notizia di Cumhuriyet un’“attività di spionaggio” aggiungendo che i TIR stavano trasportando aiuti umanitari ai Turcomanni di Bayirbucak. Poi, riferendosi al direttore del giornale Can Dündar, ha detto che “il loro unico obiettivo è quello di gettare ombra sull’immagine della Turchia. La persona che ha fatto di questa storia uno scoop ne pagherà caro il prezzo, io non lo lascerò stare”.12

Una denuncia nell’ambito della legge antiterrorismo è stata presentata a carico di Can Dündar e di Erdem Gül, quest’ultimo corrispondente da Ankara di Cumhuriyet. I due sono stati arrestati il 27 novembre 2015 con le accuse di aver “reperito informazioni sulla sicurezza dello Stato”, “effettuato spionaggio politico e militare”, “resi pubblici documenti che sarebbero dovuti restare segreti” e di fare “propaganda per un’organizzazione terroristica”.

Sono poi stati rilasciati il 26 febbraio 2016. Il 4 novembre 2016, altri 9 dirigenti del quotidiano sono stati arrestati con l’accusa di “aiutare l’organizzazione terroristica fetullahista (FETÖ) [che secondo il governo turco ha organizzato il golpe fallito del 15 luglio 2016, ndt] pur non facendone parte”. Il deputato CHP Enis Berberoğlu è stato arrestato perché accusato di aver consegnato a Can Dündar “i documenti sui TIR del MIT” ed è stato condannato a 25 anni di carcere. La corte di primo appello ha ribaltato la condanna. E come già nel caso di Reyhanlı non ci sono state indagini [sui presunti assunti dei video].

Gli esempi di Reyhanlı e dei TIR del MIT sono importanti per evidenziare l’atteggiamento della Turchia sul whistleblowing e i whistleblower. In entrambi i casi, dei documenti in grado di mutare la politica estera del Paese non sono stati discussi. Al contrario, il whistleblowing e la sua resa in forma di notizia giornalistica sono stati criminalizzati. Fin dall’inizio gli organi dei media vicini al governo hanno trattato questi casi di whistleblowing come un “tradimento della patria”, mentre i media mainstream, sebbene in un primo momento abbiano seguito la pista dei documenti, col tempo hanno preferito l’autocensura. Invece i media ed i giornalisti d’opposizione hanno pagato il prezzo delle notizie che hanno pubblicato.

Ciò che emerge da questi esempi è che per trasformare un whistleblowing in cosa utile per il pubblico non solo i whistleblower devono essere protetti dalla legge ma i media devono anche essere liberi. In un contesto dove sia i whistleblower che i giornalisti vengono arrestati con l’accusa di far parte di un’organizzazione terroristica diventa difficile poter diffondere documenti riguardanti l’utilità pubblica e, di conseguenza, l’amministrazione politica riesce ad evitare il controllo.

Al giorno d’oggi, dove la rete amplifica l’osservazione panottica del potere, l’azione di whistleblowing ha anche un altro significato, ossia che gli oggetti dell’osservazione hanno anche la possibilità di capovolgerla.13

Per far sì che la democrazia diventi operativa, è necessario da una parte che le leggi a tutela dei whistleblower vengano estese, dall’altra che vengano ampliate le libertà dei media che trasformano queste informazioni in notizie.

 

1 Brian McNair, News and Journalism in UK, Routledge, 2009, p.22

2 Einar Thorsen , Chindu Sreedharan e Stuart Allan, “WikiLeaks and Whistle-blowing: The Framing of Bradley Manning”, in Beyond WikiLeaks: Implications for the Future of Communications, Journalism and Society, Palgrave Macmillan, 2013, p.102

3   Wim Vandekerckhove, Whistleblowing and Organizational Social Responsibility: A Global Assessment, Ashgate, 2006, p.24

4 Margaret B. Kwoka, “Leaking and Legitimacy”, Law Review , 48 (4), 2015, p.1413

5 Wikileaks, che ha pubblicato i documenti di cui è entrato in possesso senza un processo editoriale preliminare affermando di avere l’obiettivo di riferire al pubblico l’informazione allo stato puro, è stato spesso criticato per questo. Ad esempio, nelle circa 300mila e-mail pubblicate da Wikileaks sotto il titolo “Le email di Erdoğan” sono state esplicitate le informazioni di identità di migliaia di persone. https://www.huffingtonpost.com/zeynep-tufekci/wikileaks-erdogan-emails_b_11158792.html

6 Behlül Çalışkan, “Kitlesel Gözetime Karşı Kolektif Bir Üretim Biçimi Olarak Sızıntı Gazeteciliği”, İletişim, N: 25, 2016, p.139

7 Apaza ve Chang, ibidem., p.81

8 Dirk Voorhoof, “AİHM’nin 10. Maddesi ile Avrupa Konseyi Standartları Kapsamında Gazetecilerin Haber Toplama ve Bilgiye Erişim Özgürlüğü ve Bilgi Uçuranların Korunması”, in Tehlike Altında Gazetecilik: Tehditler, Mücadele Alanları, Yaklaşımlar, İstanbul Bilgi Üniversitesi Yayınları, 2016, p.145

9 Mehveş Evin, “9 Soruda Reyhanlı Katliamı, Diken, http://www.diken.com.tr/9-soruda-reyhanli-katliami/

10 “Çelik'ten Redhack ve Reyhanlı belgesi açıklaması: 1 er gözaltında”, Akşam, http://www.aksam.com.tr/siyaset/celikten-redhack-ve-reyhanli-belgesi-aciklamasi-1-er-gozaltinda/haber-208880

11 Tutuklu gazeteci Tunca Öğreten: 7 milyar insanın bildiği sır mıdır?, Diken, http://www.diken.com.tr/tutuklu-gazeteci-tunca-ogreten-7-milyar-insanin-bildigi-sir-midir/

12  Erdoğan'dan canlı yayında Can Dündar'a tehdit, Cumhuriyet, http://www.cumhuriyet.com.tr/haber/turkiye/288885/Erdogan_dan_canli_yayinda_Can_Dundar_a_tehdit.html

13 Christian Fuchs, Sosyal Medya: Eleştirel Bir Giriş, trad. Diyar Saraçoğlu, İlker Kalaycı, NotaBene Yayınları, 2016, p.300

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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