I giornalisti albanesi manifestano in centro a Tirana - Louis Seillier

Giornalisti licenziati, trasmissioni vietate, tentativi di limitare il diritto all'informazione. In Albania la libertà di stampa è sempre più spesso messa in discussione. Reportage

07/02/2017 -  Louis Seillier

(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 20 gennaio 2017)

"Democrazia in pericolo!", "I media non sono fabbriche", "L'AMA (Autorità dei media audiovisivi – NdR) deve essere chiusa!...". Riunitisi davanti al municipio di Tirana, un centinaio di persone tentano di far sentire la propria voce e il proprio malcontento.

Qualche giorno fa, alcuni dei principali giornalisti del giornale Mapo e dell'emittente televisiva ABC, reputata vicina all'opposizione, hanno annunciato che gli non verranno rinnovati i contratti.

Segno dell'indebolimento del pluralismo mediatico nel paese, questi eventi non sono fatti isolati. Si inseriscono in una continuità di avvenimenti inquietanti: a qualche mese dalle elezioni legislative, c'è una brutta atmosfera che circonda la stampa albanese.

Con un cartello rosso in mano, Nertila Marku è una delle organizzatrici del raduno. Si presenta come un'attivista ed è molto critica contro i media che "invitano nelle loro trasmissioni solo degli pseudo-analisti che non fanno altro che vantare i successi del governo poiché lavorano fianco a fianco dei politici che lodano! Non ospitano mai dei veri esperti che potrebbero spiegare questioni politiche o sociali del paese. Abbiamo bisogno di verità e non vogliamo più queste bugie reiterate".

"Edi Rama ed Erion Veliaj sono i veri registi dell'informazione"

In Albania i canali d'informazione 24 ore su 24 sono numerosi e si sono imposti negli ultimi anni come strumenti essenziali della vita politica. Nei caffè, nei ristoranti e nei negozi sono onnipresenti e molto visti. Ma in questo flusso incessante di immagini e argomenti, è difficile trovare voci obiettive e non faziose.

La stragrande maggioranza dei media privati sono infatti di proprietà di affaristi influenti. E negli ultimi tempi, in molti iniziano a preoccuparsi della nuova sintonia di questi "oligarchi" con i dirigenti politici attuali. Nerita, che militava già contro il precedente governo, né è certa: "E' peggio dell'era di Berisha. Quello che era solo un batterio adesso è diventato un vero virus. Ci dobbiamo opporre!"

Il potere socialista sospetta del lavoro dei giornalisti? Dalla fine del 2015 va constatato come si sia lanciato un vero e proprio assalto legislativo per "inquadrare meglio" la libertà d'informazione e d'espressione: tentativi di criminalizzazione delle affermazioni diffamatorie nei confronti dei funzionari pubblici; sanzioni pesanti per l'autore come per il fornitore di hosting dei commenti online; limiti al lavoro dei giornalisti d'inchiesta; siti d'informazione che devono sottostare a un'autorizzazione obbligatoria. Tutte queste proposte non sono mai arrivate ad essere realizzate a causa delle critiche che hanno sollevato. E a fronte di queste batoste sul piano legislativo, il governo socialdemocratico si volge ora verso altri mezzi, usando la propria influenza presso i proprietari di diversi media.

Sazan Guri, che da molto tempo è impegnato nei movimenti sociali albanesi, chiarisce la situazione: "Il primo ministro e il sindaco di Tirana intervengono regolarmente nel funzionamento dei media. Ultimamente hanno fatto pressione sull'AMA affinché dei giornalisti perdessero il proprio posto. Essi esercitano un'influenza diretta sul contenuto e l'organizzazione delle trasmissioni".

Non lontano da lì, davanti alle porte dell'AMA, Aulon Kalaja, giornalista per una televisione privata, è particolarmente arrabbiato: "Dal 2013 una ventina di trasmissioni e diversi canali sono stati soppressi, e numerosi giornalisti, riconosciuti e rispettati per la loro professionalità, hanno perso il proprio impiego. Noi vogliamo solo che altri giornalisti non subiscano la medesima sorte." Per Aulon, la democrazia albanese è in pericolo perché "due dei principali mezzi d'informazione nel paese hanno visto il proprio direttore nominato da Edi Rama ed Erion Veliaj", che sono rispettivamente primo ministro dell'Albania e sindaco di Tirana.

"L'informazione libera è solo un'illusione"

Lo scorso settembre, il giornalista Artan Rama ha fatto le spese di questo nuovo approccio editoriale. Il suo torto è stato quello di aver svolto un'inchiesta sulla discarica di Tirana dopo la morte, avvenuta quest'estate, di un giovane di 17 anni. Dopo l'interruzione della sua trasmissione, i proprietari della rete televisiva Vizion Plus, che sono anche proprietari di un'azienda con numerose commesse pubbliche, sono stati ricompensati ottenendo un contratto importante relativo ad un edificio pubblico della capitale.

Licenziato, Artan Rama ha denunciato il funzionamento del sistema mediatico albanese: "La mancanza di trasparenza e la corruzione delle élite politiche [fanno il gioco] degli oligarchi che usano i media per difendere i loro interessi." Per lui, "l'informazione libera è solo un illusione". L'informazione è ora strumento "di una nuova demagogia".

Più che la censura in sé, è la crescita dell'autocensura quella che preoccupa. "La libertà d'espressione sta morendo in Albania", constata amaramente Sazan Guri.

Vittime di questa autocensura galoppante e della competizione tra loro, molti giornalisti oggi si sentono sminuiti. Sono state intentate decine di cause per licenziamento abusivo, ma poche hanno avuto esito positivo. Certo, esistono anche le associazioni di categoria, ma i manifestanti ritengono che abbiano perduto la loro credibilità. Più che proteggere le libertà d'informazione e di espressione, sarebbero associazioni corporative che difendono solo i posti di lavoro di alcuni.

Gli organizzatori della manifestazione riflettono poi su nuove possibili modalità per difendere il pluralismo e la libertà dei giornalisti. Non vi è ad esempio alcuna associazione che si batta nello specifico contro la censura. Sarebbe in grado di opporsi alle pressioni politiche degli oligarchi albanesi? A giudicare dalla distanza che li separa oggi dai manifestanti, sembrano lontani i tempi in cui Edi Rama ed Erion Veiaj militavano assieme alla società civile per ottenere una società più trasparente e democratica.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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