Mafie

American Tragedy - Impact on Serbia

18/09/2001 -  Mihailo Antović Nis

The horrendous terrorist attacks in the USA have made their impact on the situation in Serbia, as well.
- There has been no information so far on any panic among American citizens or overt fear for the American objects on the Serbian territory. There was a meeting of the highest Yugoslav officials Tuesday evening local time, after which Federal Interior Minister Zoran Zivkovic stated Yugoslav authorities were on a state of alert, and additional security forces would start protecting the American Embassy and all the American officials in Yugoslavia immediately. Precaution measures included private objects of American citizens currently in Yugoslavia, and embassies of other Western countries, as well. In Kosovo, too, American citizens and especially soldiers have been warned of possible terrorist attacks, and most have been ordered to return to secure locations, including bases such as Bondsteel. Yugoslav Deputy Ambassador to the US, Ivan Zivkovic, stated that, according to his information, no Yugoslav citizens or officials currently in the US had been hurt in the attacks. He also said the Embassy issued an official warning to Yugoslav citizens to avoid any federal buildings in the American capital for fear of new attacks. Zivkovic confirmed many Yugoslavs from the United States had called the Embassy to express their disgust at the event.

The local reactions are, however, mixed. Politicians, including president Kostunica and Serbian prime minister Djindjic were unanimous in condemning the act of violence and offering words of comfort to the American people. Premier Djindjic also warned of the "alarming globalization of conflicts, in which events in distant countries, such as the Middle East, can bring about disaster practically in any part of the world in no time." Yugoslav Foreign Minister Goran Svilanovic cut short his visit to Tunisia to return to Belgrade and meet President Kostunica. He warned the Serbian population to "try to calm their emotions and share the sorrow with the American nation and the entire world today." The hint was at the 'it-serves-them-right' or 'let-them-have-some-of-their-own-medicine' attitude to America, still present in many locals. The virus did not miss some opposition officials, either. Milosevic's Socialist Party representatives condemned the act, adding, however, "this was partly a consequence of America's turning a blind eye to terrorism all over the world, and sometimes its open support to terrorists, including places such as Kosovo and Macedonia". Hardline Serbian Radicals gave no official reactions, apart from their leader's occasional hints on the local Nis TV Belle Amie last night that 'America is the one to really blame, due to its constant policy of bullying around all over the world.'

The reactions on the street were similar, at least in the beginning. At first, although many people felt pangs of consciousness, knowing that those who got killed were nothing more but innocent civilians, not in the least responsible for America's global policies, many felt this was necessary to bring America back to earth, and to show its citizens "what it is like to see the symbols of your country being torn down by madmen." The common comparison was the one with the TV tower on the Avala mountain, on the outskirts of Belgrade, once the prime symbol of the Serbian capital, destroyed by NATO bombs in 1999. Some claimed no one expected America would be humiliated as much as Serbia was just two years ago. However, after the initial urge for retaliation, Serbs calmed down (as usual). The images of innocent people killed or hurt downtown New York, with the stories of people jumping out through the windows in panic, made them really sympathize with ordinary Americans this time, although there is still no love lost of official American policy.
Any analyses offered so far aimed at global consequences. Possible American reactions have been examined, and there have also been hints this would be 'a landmark in international relations unseen in the last 100 years.' As for Yugoslavia's position, the only reaction was given by Serbian Finance Minister Bozidar Djelic, who claimed this would open up a way to a "visible recession" in the United States, which would then influence US's partners, including Europe, and therefore even we here might feel some economic consequences of this act. Other politicians, however, only gave general anti-terrorism statements, rarely failing to remind the public of the problems with Albanian terrorism in Serbia.

Bosnia: scoperte piantagioni con 700 piante di marijuana

17/09/2001 -  Anonymous User

La polizia del Cantone Herzegovina Neretva in Bosnia ha sequestrato la settimana scorsa nel villaggio di Seselji (comune di Ravno, vicino a Trebinje) una grande quantità di marijuana. Lo ha dichiarato a "TV Mreza" Sead Brankovic, portavoce della polizia cantonale. Sono state scoperte due piantagioni con 700 piante di marijuana alte dai due ai tre metri, mentre in una vicina struttura sono stati rinvenuti 106 chili di foglie secche il cui valore commerciale ammonta a circa 250.000 marchi tedeschi. Nello stesso edificio la polizia ha trovato anche molte armi, 85 grammi di hascisc (ed è la prima volta che la sostanza viene rinvenuto in questa zona), 14.500 marchi in contanti e quattro autovetture rubate. L'origine di queste ultime è sconosciuta, eccetto per una golf che si sa essere stata rubata in Croazia. "Questa è la prima volta - ha affermato Brankovic - che abbiamo trovato una base dedicata all'intero circuito della droga: produzione, essiccamento ed esportazione, cosa quest'ultima svolta con le vetture rubate che avevano tutte speciali nascondigli per il suo trasporto".

L'analisi: 11 settembre e Balcani

17/09/2001 -  Anonymous User

Stefano Bianchini, profondo conoscitore della realtà balcanica, commenta gli attentati terroristici ed i loro possibili effetti nei Balcani.

Macedonia: reportage dell'IWPR sui 'Leoni' di Boskovski

14/09/2001 -  Anonymous User

Il Ministro degli Interni della Macedonia Ljubo Boskovski ha dichiarato che "il 26 settembre le forze della Nato devono lasciare il paese, perché hanno concluso la loro missione''. ''Per la sicurezza degli osservatori civili dell'Osce e dell'Ue che dovranno monitorare il processo di pace - ha infatti aggiunto - le forze macedoni possono bastare". Ma di quali forze macedoni parla il ministro? Sempre più nel paese si discute sulla comparsa di forze paramilitari macedoni, i cosiddetti "Leoni", dietro i quali ci sarebbe proprio Boskovski. Sul tema è da poco on line anche un reportage dell'Institute for War and Peace Reporting. Lo stesso Craig Johns, capo della missione di OSCE a Skopje, ha riconosciuto la presenza di queste forze paramilitari, che sollevano critiche e sospetti dalla stessa opposizione macedone. Si teme infatti che il governo possa usare i "Leoni" non solo contro la guerriglia albanese, ma anche per intimidire gli avversari politici in vista delle prossime elezioni di gennaio. Nel maggiore italiano dei carabinieri Francesco Atzeni ha annunciato ufficialmente la conclusione della seconda fase della missione Nato in Macedonia, con la raccolta di oltre il 66 per cento dell'arsenale concordato con la guerriglia albanese (che però molti analisti stimano alquanto inferiore all'arsenale complessivo a sua disposizione). Adesso inizieranno i lavori della Commissione affari costituzionali del parlamento macedone per l'approvazione dei testi degli emendamenti costituzionali contenuti nel piano di pace. Nel frattempo, la Nato non potrà riprendere il disarmo dell'ex-UCK.

Croazia: l'Aja al centro del dibattito politico

13/09/2001 -  Anonymous User

Come per tutta l'estate appena trascorsa, l'attenzione principale in Croazia è sempre centrata sulla questione dei criminali di guerra e sugli arresti eccellenti che si susseguono. Cosa che ha non solo una ricaduta sulla lettura storica del recente passato tudjmaniano del paese, ma anche influssi diretti sulla stabilità del governo e sulle dinamiche politiche odierne nel paese. Il 5 settembre sono stati arrestati a Sebenico ed in altre città dalmate quattro ex-ufficiali o semplici militari croati colpevoli di una serie di omicidi nelle località di Varivode e Gosici, presso Knin. In particolare, secondo Slobodna Bosna (7.9) sarebbero accusati per l'omicidio di tre civili e un prigioniero di guerra, tutti croati di nazionalità serba, commessi nell'autunno del 1995. Altri sei accusati si trovano già nel carcere giudiziario a Sebenico.
I processi continuano

Nel frattempo prosegue a Fiume un altro importante processo molto discusso, quello contro l'ex-generale Mirko Norac, contro Tihomir Oreskovic ed altri imputati. L'accusa è in questo caso quella massima, ossia di genocidio per le stragi avvenute a Gospic nell'autunno del 1991. La prossima udienza del processo - scrive Novi List (4.9) - si terrà il 17 settembre.Il Procuratore della Repubblica croato Radovan Ortynski ha riassunto l'insieme dei procedimenti penali attualmente in corso per crimini di guerra commessi da croati, presentando un apposito rapporto al governo. Finora sono state incriminate 26 persone, e 13 sono state condannate; i processi però hanno riguardato solo casi di omicidi, stupri o incendi, mentre nessuno è stato ancora condannato per genocidio o crimini contro l'umanità. Come spiega Silvana Perica su Vecernji list (6.9), il problema giuridico è se sia possibile qualificare dei crimini commessi dopo gli eventi bellici veri e propri come crimini di guerra.
La lista dei possibili incriminati non è comunque certamente chiusa. E' di pochi giorni fa la notizia che il governo australiano ha negato il visto d'ingresso ad Andrija Hebrang, ex-ministro della sanità e della difesa nell'era Tudjman, perché possibile imputato davanti al Tribunale dell'Aja. Hebrang, che ora è funzionario del HDZ oltre che leader dell'organizzazione nongovernativa Identita' e prosperita' croata - HIP, ha dichiarato che questo rifiuto corrisponde ad una criminalizzazione dell'intero governo croato del periodo bellico.
Le pressioni di Carla Del Ponte

Sempre la settimana scorsa è rientrato dalla sua visita a L'Aja il vicepresidente del Consiglio Goran Granic, che in Olanda ha incontrato la procuratrice del Tribunale Penale Internazionale Carla Del Ponte. Secondo fonti anonime citate da Slobodna Dalmacija (2.9), la Del Ponte insiste per l'arresto dell'ex-generale croato Ante Gotovina, tuttora latitante. In caso contrario, la Croazia potrebbe essere accusata davanti al Consiglio di sicurezza dell'ONU per mancanza di cooperazione con il Tribunale. Granic ha poi avuto un incontro con i difensori dello stesso Gotovina, che chiedono di essere informati sui documenti relativi all'operazione Tempesta consegnati al Tribunale dal governo croato. Secondo uno degli avvocati, Ante Vukorepa, non si sarebbe invece parlato della possibile consegna spontanea alle autorità giudiziarie di Gotovina, del quale i difensori dichiarano di ignorare l'attuale rifugio. Ma il governo ha dichiarato di non essere disposto ad accetare la richiesta dei difensori di Gotovina, perché ciò potrebbe significare che la Croazia collabora con un imputato latitante. Dal 21 agosto inoltre è in vigore nei confronti di Gotovina un mandato di cattura internazionale emesso dalle stesse autorità croate, sulla base di una richiesta del Tribunale de L'Aja. Sicuramente però la vicenda Gotovina, e in generale la questione dei criminali di guerra, continuerà ad animare il dibattito politico interno al paese ancora per molto tempo.

Reazioni da Serbia e Montenegro sugli attentati negli USA

12/09/2001 -  Anonymous User

In Serbia e Montenegro sdegno e solidarietà agli USA. Ma si ricordano anche i bombardamenti della Nato...

Svilanovic: 'la Jugoslavia è uno stato semi-mafioso'

11/09/2001 -  Anonymous User

In Serbia e Montenegro fanno discutere le recenti dichiarazioni del ministro degli esteri federale Goran Svilanovic: durante una conferenza tenutasi ad Alpbach il 27 agosto scorso, Svilanovic ha descritto il suo paese come uno "stato semi-mafioso", dove sono ancora presenti tutte le vecchie strutture di potere. In questa fase anzi si stanno confrontando tre forze di governo parallele e interconnesse: quelle facenti capo al passato regime di Milosevic, quelle del nuovo corso politico e quelle del crimine organizzato. "Queste tre forze - ha aggiunto il ministro - sono così interrelate tra loro, che a volte non sai bene con quale stai trattando". Svilanovic ha poi affermato che la lotta contro il crimine organizzato ha un'importanza vitale per la Jugoslavia, paese che deve passare attraverso un profondo processo di transizione. In ciò dovrebbe essere aiutata dalla comunità internazionale, ma - ha osservato ancora il ministro degli esteri jugoslavo - l'impressione è che in Europa e negli Stati Uniti manchi completamente un pensiero strategico sul futuro dei Balcani.

Revocato l'embargo armi alla Yugoslavia

11/09/2001 -  Anonymous User

Il consiglio di sicurezza dell'Onu ha revocato alla Jugoslavia l'embargo sulle armi che durava da tre anni. Con questa risoluzione l'Onu ha preso atto delle aperture al dialogo mostrate dal governo di Belgrado verso la comunità kossovara albanese, concretizzatesi con il ritiro delle unità speciali di polizia e la conclusione delle attività di polizia contro i civili. La risoluzione richiede alla Yugoslavia di permettere l'accesso al Kossovo ai gruppi umanitari e alle rappresentanze diplomatiche. Inoltre la Yugoslavia dovrà accettare e facilitare le missioni dell'OSCE e dell'Acnur. Si terrà in questi giorni in Ungheria un convegno sul traffico di armi leggere nelle regioni del sud-est Europa a cui parteciperà anche l'Osservatorio sui Balcani.

Montenegro: militari e politici sulla vicenda di Cakor

06/09/2001 -  Luka Zanoni Kotor

Sono giunte anche da ambienti militari reazioni alla vicenda di Cakor, in cui un boscaiolo di 20 anni è rimasto ucciso e il suo compagno gravemente ferito. Il quotidiano montenegrino DAN del 30 agosto scorso ha riportato le dichiarazioni del Generale Maggiore Momcilo Radevic, aiuto comandante della Seconda Armata dell'Esercito jugoslavo. Durante una pubblica assemblea tenutasi nel villaggio di Ubli, Radevic ha dichiarato ai 400 partecipanti che "nei pressi di Plav e Gusinj si combatte contro i terroristi ogni giorno", ma ha anche precisato che l'incidente avvenuto il 24 agosto a Cakor è dovuto ad una rapina e non ha nulla a che vedere con attività terroristiche. Per cui, secondo la dichiarazione di Radevic, nella zona che non viene chiamata frontiera ma bensì "linea amministrativa" tra Kosovo e Montenegro, i casi di incidenti tra l'Esercito Jugoslavo e i cosiddetti terroristi albanesi sarebbero all'ordine del giorno. Radevic però è stato immediatamente smentito l'indomani - 31 agosto - dal portavoce dei Servizi di Informazione del Comando della Seconda Armata dell'Esercito Jugoslavo, il quale ha dichiarato che "non esistono indizi circa la presenza di gruppi terroristici nella zona della linea amministrativa col Kosovo, nei pressi di Plav e Gusinj". Il dibattito rimane comunque aperto, visto anche il rifiuto dei membri del MUP (Ministero degli Interni) a fornire qualsiasi altra informazione ai giornalisti di Vrijeme che hanno scritto della vicenda sul numero uscito il 31 agosto.
La smentita ufficiale del Comando militare viene riportata anche dal quotidiano Dan in un brevissimo articolo del 31 agosto, mentre invece viene dedicato un ampio spazio alla polemica riguardante la possibilità che venga eliminato il punto di controllo - situato a Karaula - alla "frontiera" col Kosovo. La questione pare preoccupare in particolar modo i cittadini della zona, che hanno inscenato una protesta contro lo smantellamento del punto di controllo, perché questo li diminuirebbe il livello di sicurezza dei residenti nell'area circostante esponendoli agli attacchi dei "terroristi". La questione relativa alla presunta poca sicurezza dei punti di frontiera, ha avuto una certa eco anche in ambienti politici. Secondo quanto ha riportato il 30 agosto il quotidiano Danas, il presidente del Montenegro Milo Djukanovic si è incontrato il giorno precedente con il presidente dell'Unione democratica albanese - Fuad Nimani - e col presidente del Partito popolare serbo (SNS) Bozidar Bojovic, Da quanto è stato riportato dal gabinetto del DPS (partito di Djukanovic) i partecipanti all'incontro hanno riconosciuto la necessità di intensificare il dialogo tra tutti i soggetti politici del Montenegro, nell'ottica del mantenimento della stabilità interna e quindi perseguendo accordi multietnici che coinvolga tutta la repubblica montenegrina. Nimani ha voluto anche rispondere alle precedenti dichiarazioni di Dragan Koprivica - portavoce del Partito Socialista Popolare SNP - secondo il quale il Montenegro potrebbe rischiare lo stesso destino della Macedonia, asserendo che "spaventarsi di 42.000 albanesi, quanti sono appunto in Montenegro, è assurdo". Sempre riferendosi a Koprivica, ha inoltre ribadito che dietro ad affermazioni come le sue si cela l'intenzione di creare nella comunità internazionale l'impressione che in Montenegro esiste già una "situazione difficile", e che quindi organizzare il referendum abbia perso di senso.

Croazia: crimini di guerra

07/08/2001 -  Anonymous User

Il generale Ademi va all'Aja

Come informa il quotidiano Vecernji list del 25 luglio scorso, il Presidente della Repubblica - Stipe Mesic, ha liberato il Generale Ademi dall'obbligo del segreto militare, e gli ha imposto la partenza per il TPI con indosso la divisa militare. Egli è convinto che il Generale Ademi sarà in grado di dimostrare la suo innocenza. Sullo stesso quotidiano, il giorno successivo si scrive che prima di partire per l'Olanda, Ademi ha dichiarato di essere vittima di un complotto ideato da generali vicini a Tudjman e che Janko Bobetko, già capo di Stato maggiore, è il maggior responsabile della sua partenza per il Tribunale de L'Aja.
Ma considera maggiormente colpevole lo stesso Tudjman, personaggio freddo e calcolatore, totalmente indifferente alla sorte di semplici vite umane, incluso quelle dei propri soldati. Secondo la confessione rilasciata ai giornalisti - Zvonimir Despot e Sasa Zinaja - durante il suo viaggio in aereo verso L'Aja, Ademi si è dichiarato vittima di azioni estorsive ad opera dei generali vicini a Tudjman (Bobetko e colleghi). Sempre sullo stesso quotidiano, Bobetko ribatte invece che è il Ministro degli interni Sime Lucin ad aver messo sotto controllo le linee telefoniche per impedire i contatti con Ademi, che secondo Bobetko sarebbe invece vittima di del Presidente Mesic e di altri "amici" del Tribunale. Anche Nenad Ivankovic, presidente dell'HONOS (Associazione per la difesa dei valori della Guerra patriottica) considera le dichiarazioni di Ademi vere e proprie falsità.
Su Vjesnik del 30 luglio scorso, il difensore legale di Ademi - Cedo Prodanovic - ha detto in un'intervista rilasciata a Biljana Basic, che la strategia di difesa del suo cliente (nel frattempo dichiaratosi innocente di fronte alla Corte de L'Aja) è in fase preparatoria. Nella sua intervista, Prodanovic (di nazionalità serba) ha inoltre attaccato severamente il presidente dell'associazione "Veritas" di Banja Luka - Savo Strbac - per aver diffuso notizie false (come quella secondo la quale Carla del Ponte stia preparando un'indagine a carico di Stipe Mesic) le cui conseguenze ricadono poi anche sui serbi.

Gotovina ancora latitante

Ante Gotovina l'ex Generale di cui è stato emesso un mandato di cattura lo scorso 26 luglio, e' ancora latitante. Le informazioni sui luoghi in cui pare oggi trovarsi, vanno dall'Erzegovina al Sud America - dove ha vissuto un decennio facendo il mercenario - anche se pare più verosimile che si trovi ancora in Croazia.. In una dichiarazione rilasciata il 25 luglio da Nenad Ivankovic a Davor Krile di Slobodna Dalmacija, Gotovina non è latitante ma si trova semplicemente in ferie, e non si è ancora presentato perché nessuno gli ha consegnato il mandato d'accusa. Secondo Ivankovic, Gotovina si trova tra gli accusati perché è in atto un processo di criminalizzazione della maggior parte dei comandanti croati che hanno fatto la guerra. E in questo disegno c'è la pressione fatta sugli ufficiali a dichiararsi pentiti e a testimoniare contro i propri comandanti.
Nel frattempo, come emerge dall'informazione rilasciata a Vecernji list del 27 luglio dalla portavoce del Ministero degli interni - Zinka Bardic, la polizia ha già avviato l'operazione di ricerca del Generale Ante Gotovina, anche se è probabile che essa non verrà portata a termine prima della fine dell'estate. Zinka Bardic non è in grado di confermare le notizie secondo le quali Gotovina si troverebbe in Dalmazia settentrionale dove possiede una villa a Pakistane, presso Zara. Il sindaco di Pakostane - Milivoj Kurtov (HDZ) - ha dichiarato al corrispondente locale del Vecernji list che "Anche nel caso in cui questo dovesse essere vero, noi non parleremo. La polizia può cercare quanto vuole, dico solo che ogni Croato che non aiuterà Gotovina sarà maledetto". Una simile dichiarazione è stata rilasciata anche dal Conte spalatino Branimir Luksic, il quale ha oltretutto negato alcuna informazione sull'incontro avvenuto alcuni giorni fa a Pakostane tra i tre Conti dalmati (tutti tre dell'HDZ), dichiarando che si è trattato di un incontro privato.
Su Novi list del 27 luglio si dà per certa la presenza del generale ricercato su di una nave che naviga nei dintorni di Zara e Sebenico. E intanto nella regione la gente inneggia a Gotovina con slogan "Lui è un eroe, non è un delinquente" e nei ristoranti viene messa in mostra la sua foto, accanto a quella di Tudjman e di Jure Francetic, famoso boia ustascia della seconda guerra mondiale.

L'Aja pende sulle teste di tutti

Si intensificano le discussioni relative alla collaborazione con il Tribunale Internazionale de L'Aja. Il vescovo di Gospic e di Senj - Mile Bogovic (anche professore di storia ecclesiastica presso la scuola superiore di Teologia di Fiume) - ha rilasciato un'intervista a Darko Pavicic (Vecernji list, 26 luglio) in cui ha duramente criticato la decisione del governo attuale di collaborare con il TPI, mettendo così rischio a la stabilità dello Stato. Bogovic continua ribadendo che i "vicini" vogliono mettere in ginocchio la Croazia, sia come stato che come comunità,. Perciò è assolutamente necessario cessare le divisioni e le polemiche nazionali e lavorare tutti insieme verso l'integrazione europea e la globalizzazione. Ma l'arcivescovo di Zagabria - Josip Bozanic (anche lui docente di diritto canonico nella stessa istituzione scolastica) - nega il diritto ai vescovi di intervenire nelle quotidiane bagarre politiche, e insiste sulla necessità di limitare la confusione che già esiste nel mondo ecclesiastico (e di cui si parla in maniera estesa sull'ultimo numero del settimanale Nacional).
Commentando le ultime polemiche Milan Ivkosic (Vecernji list, 27 luglio) delinea tre aree di polarizzazione dell'opinione pubblica: verso il governo che dimostra la volontà di cooperare con il Tribunale, verso l'opposizione che critica il governo di minacciare gli interessi nazionali e la Chiesa che vacilla tra governo e opposizione, anche se con posizioni più prossime all'opposizione nazionalista. E queste continue polemiche e lotte politiche interne instillano nella popolazione timori e insicurezze.
Su Jutarnji list del 28 luglio viene scritto d'altra parte che le accuse contro Gotovina sono legittime, perché durante le azioni militari avvenute il Croazia nel 1995 egli ha partecipato al progetto di pulizia etnica ideato da Tudjman, ed esse smentiscono il tentativo di difesa dell' "azione Tempesta" fatta dal Primo ministro Ivica Racan, secondo il quale non è stata un'azione genocidi ma dove ad opera di alcuni sono stati perpetrati crimini di guerra nei confronti della popolazione civile.
Il presidente della Commissione parlamentare per gli Affari esteri - Zdravko Tomac (SDP) a seguito del colloquio avvenuto con il sottosegretario tedesco Cristoph Zopel, ha dichiarato che definire la "guerra patriottica" con l'epiteto di genocidio può peggiorare la situazione politica nel paese, perché esistono forze politiche che puntano sull'emotività della gente per rovesciare il governo. Perciò il Tribunale de L'Aja non dovrebbe mostrarsi così intransigente rispetto ai protagonisti croati della guerra, anche quindi nei confronti dell'ex Presidente Tudjman (Slobodna Dalmacija, 31 luglio). Su Vjesnik uscito lo stesso giorno, appare invece un articolo a firma di Davor Genero, in cui si insiste sulla necessità sfruttare i processi del Tribunale Internazionale per confrontarsi con la storia recente, e liberarsi definitivamente dall'eredità politica di Tudjman. Secondo Gjenero non esiste altra alternativa, se non quella di arrivare all'isolamento e divenire una società chiusa, basata sulla xenofobia e sulla menzogna.

Co-operation with the ICTY: the question is still open

07/08/2001 -  Anonymous User

More than a month after Milosevic was extradited to The Hague ICTY, and the question of co-operation with The ICTY still remains open and undefined. The citizens of Serbia, occupied with everyday existence and survival, begin step by step to forget about the recent president detained in Scheweningen , while the politicians remain the ones who are certainly occupied with the question of "who will the next traveller to The Hague be" among the other four accused together with Milosevic in spring 1999. They are: the current Serbian president, Milan Milutinovic; the member of the main body of Socialist Party of Serbia (SPS), Nikola Sainovic; SPS MP Vlajko Stojiljkovic (former Serbian Interior Minister); and lastly as the columnist of Daily Danas, Jasmina Lukac, names him "forgotten" office commander of Yugoslav Army (VJ), Dragoljub Ojdanic.
In the article, written by Jasmina Lukac, published in Danas, July 28- 29, the present situation and behaviour of this four previously mentioned is described. For instance, of the four, the person in the worst situation is probably Sainovic who himself constantly rejects any kind of statements to the press and never leaves house without his bodyguard. Whereas, on the other hand Milutinovic, it is presumed, will be called as a witness, instead of being the indictee. This is due to his "good behaviour" in the period after the fall of Milosevic' s regime (as it is well known Milutinovic refused to block some decisions of the DOS coalition as Milosevic family and SPS were asking him, Milutinovic as a Serbian president was in a position to do such a thing, however he did not), the fact is that he was an ambassador in Greece until 1995, so therefore he could not have been involved in the Bosnian war, as Sainovic is presumed to be. After Milosevic was arrested he resigned from all his SPS functions, etc. (Danas, July 28- 29)
In his interview to magazine "Vreme" (No 551) Serbian Prime Minister, Zoran Djindjic, stated that Democratic Opposition of Serbia (DOS) has some time to prepare and define a concept of co-operation with The ICTY. Djindjic stated that one might say that with having Milosevic in The Hague, about 50 per cent of the obligations of Serbia, concerning the topic of extradition of the FRY citizens, have been fulfilled.He then explained that now two strategic plans are in front of DOS. The first would be that the list of FRY citizens to be extradited to the Hague finishes here, or the second that a part of those be put under the trial in FRY if that is possible and also if The ICTY accepts that...

Supporters of Milosevic and legalists

The best example on which the fractions in Serbia, FRY, formed on the different opinion about The ICTY itself and co-operation with it, is certainly the case of extradition of the former President, mister Slobodan Milosevic.First, there is a fraction that consists of relatively small number of Milosevic supporters, the majority of which come from the Socialist Party of Serbia (SPS), and Serbian Radical Party (SRS). This fraction is against any co-operation with The ICTY, their politics do not differ at all from Milosevic' s in the last 10 years. Secondly one can find a fraction, whose best representative would surely be FRY president Kostunica. To define this group, the simplest way would be just to refresh in one' s memory the statements of Kostunica, related to Milosevic' s extradition. He condemned extradition and said that it is not in accordance to the FRY Constitutional Law. People sharing this kind of opinion in Serbia, FRY are called Legalists.
Here it will be also good to cite Belgrade's famous law expert and president of the Belgrade Centre for Human Rights, Vojin Dimitrijevic. In his interview for the magazine "Reporter" (No 169, year V, July 18) he said that among Serbian citizens it is still not rare to hear that Milosevic has made Serbian people suffer the most, and therefore he must be put on trial in Yugoslavia and not somewhere else. Dimitrijevic in his interview later explains that people saying this, however right they might be in a moral way, are as well trying to avoid the fact that Milosevic committed crimes against humanity and war crimes towards other nations and that by trying to trial Milosevic here they want to escape that part of his responsibility.

The third fraction

Besides the fraction of Milosevic supporters, and fraction of legalist, there is also another fraction. To explain this one it would be best to write how executive director of Yugoslav Lawyers Committee for Human Rights commented Milosevic's extradition. It is a fact that according to FRY Constitutional Law it is not permitted to extradite FRY citizens to another foreign country. However, the Executive director of Yugoslav Lawyers` Committee for Human Rights, Dusan Ignjatovic pointed out that in the case of Mister Milosevic one could not speak of extradition, in its classical interpretation. He stated that Yugoslav Lawyers` Committee for Human Rights finds that ICTY is not the court, nor body of any foreign country, but the body established by the United Nations. It is therefore important, he added, to comprehend that it is a duty for all countries, whether they are members of the UN or not, to respect the main UN documents like for instance Universal declaration for Human Rights. Today, stressed Ignjatovic, this kind of documents are in the field of common law. Ignjatovic also commented on the atmosphere during the rule of the previous regime, by saying that there were some signs and attempts of collaboration with the ICTY during Milosevic` s reign. As an example for that he cited former commanding officer of the Yugoslav Army VJ, Momcilo Perisic who said that Milosevic ordered him to surrender to the ICTY. However Perisic refused this.Ignjatovic also reminded us that since spring 1999, from the time when ICTY charged Milosevic with war crimes on Kosovo, any kind of co-operation was stopped, by Milosevic` s regime of course. Dusan Ignjatovic concluded that Yugoslav Lawyers` Committee for Human Rights finds that it is not possible to define cases such as Milosevic`s as an extradition, but simple transfer and a sort of collaboration with the ICTY, which is the court of FRY itself.

Citizens' opinion

Finally, it would be good to mention how citizens of Serbia see The ICTY. An opinion poll conducted by the weekly NIN in July 2001, which shows that a slightly over than a third of the citizens of Serbia, about 36.5 per cent think that the Serbian government was right to have extradited Milosevic to The ICTY, whereas about 56. 5 percent find that this was not the right move. That ICTY does not enjoy the support of the majority of the Serbian citizens upholds the fact that 61 per cent of those polled do not consider this court legitimate. Only 28 per cent approves of it. One third of the polled citizens think that Milosevic will have a fair trial in The Hague, whereas on the other hand, about 58. 5 per cent think the opposite.

Iniziato il processo al generale Norac

29/06/2001 -  Anonymous User

Il tema centrale di cui scrivono i quotidiani del 26 giugno, è l'inizio del processo contro l'ex-generale Mirko Norac e quattro suoi collaboratori, accusati dell'omicidio di decine di civili, per lo più appartenenti alla nazionalità serba - perpetrati nell'autunno del 1991 a Gospic.
Il processo è stato aperto nella mattinata di lunedì scorso, davanti alla Corte regionale di Rijeka, ma è stato sospeso subito dopo l'inizio, a seguito della richiesta dei difensori legali (tra i quali due ex-procuratori della Repubblica del governo di Tudjman) di escludere dal processo il Presidente della Corte e di trasferire il processo stesso a Gospic. Esso si riaprirà quindi solo dopo il 3 luglio, entro la cui data la Corte Suprema dovrà esprimersi rispetto alla richiesta di trasferimento.
Contemporaneamente, nella piazza centrale di Rijeka, si è svolta una protesta contro quella che viene considerata dai partecipanti alla dimostrazione come "l'ingiusta oppressione delle vere vittime, cioè gli eroi della Guerra patriottica" organizzata dal "Comitato per la difesa della Guerra patriottica" capeggiato dall'invalido di guerra Mirko Condic. Nonostante il Comitato avesse invitato tutti i seguaci della destra croata a manifestare in piazza e a partecipare al comizio di Rijeka, il numero dei presenti era di sole duemila persone. Che si tratti di un altro fiasco della destra croata?
Nel frattempo, pare si stiano aggiungendo alla lista dei criminali da processare altri due nomi. Sui quotidiani dello stesso giorno, è stata pubblicata la notizia - basata su di un'informazione fornita dall'ONG serba "Veritas" - dell'imminente arresto e invio a L'Aja di altri due generali dell'esercito croato.
In base ad accuse di cui viene tenuta segreta l'origine, i due generali sarebbero accusati di crimini di guerra commessi a danno della popolazione civile, durante le azioni militari avvenute a Medacki Dzep (Lika) nel 1992.

Articolo

28/06/2001 -  Anonymous User

29 MAGGIO 1993 GORNJI VAKUF:
un piccolo convoglio pacifista transitava sulla "strada dei Diamanti" a Gornji Vakuf. I
componenti di quella missione avevano un preciso compito: portare aiuti alle popolazioni
bosniache di Vitez e Zavidovici e a completare il progetto di accoglienza attraverso
il quale sessantadue persone, donne vedove di guerra con i loro figli, sarebbero state
accolte in Italia grazie all'impegno di cittadini e amministrazioni animate dal Coordinamento
Bresciano Iniziative di Solidarietà. A Gornji Vakuf il convoglio veniva fermato
da un gruppo di armati agli ordini di un ufficiale bosniaco: il comandante Hanefija
Prijc detto Paraga. Dopo aver requisito il carico, due soldati ricevono l'ordine di sparare
sui pacifisti. Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni cadono sotto i colpi di fucile
mentre Agostino Zanotti e Christian Penocchio fortunatamente si salvano, ciascuno
all'insaputa dell'altro, vagando tra i boschi della zona.

OTTOBRE 2000: Hanefija Prijc detto Paraga viene arrestato, accusato di aver
ordinato quel vigliacco eccidio, grazie ai sette anni di lavoro e di costante impegno da
parte di Agostino, Christian, dei famigliari di Guido Puletti, dell'avvocato Trucco e di un
gruppo di amici e compagni del Coordinamento e della Penna per la Pace. Questi sette
anni, animati da una precisa e comune richiesta di giustizia e verità, cominciano a dare
i loro primi frutti, grazie anche all'interessamento diretto di politici e amministratori
convinti dell'importanza di non lasciare impunite quelle morti.

26 APRILE 2001: inizia a Travnik, in Bosnia centrale, il processo contro il
responsabile dell'eccidio del 29 maggio 1993. I due sopravvissuti, Agostino Zanotti
e Christian Penocchio, sono chiamati a testimoniare contro gli imputati, e a rivivere quei
drammatici giorni. La loro deposizione è molto importante per l¹accertamento della
verità. Il dibattimento che inizia in Bosnia è il primo processo relativo ai fatti del 29
maggio 1993, ed è la prima occasione di possibile giustizia per i familiari delle vittime,
i sopravvissuti e per tutto il movimento pacifista. Lasciare impuniti i responsabili di
crimini di guerra significa minare le basi della convivenza e della riconciliazione tra le
vittime dei conflitti.

Questo crimine è ancora più odioso perché è stato compiuto verso persone che,
inermi, volevano affermare il diritto all'ingerenza umanitaria e nonviolenta, come semplici
cittadini, in mezzo ad una tragedia, nel cuore del conflitto, e a testimoniare la volontà
che nulla è perduto finché anche poche persone s'impegnano per il bene di tante altre.
fonte: Agostino Zanotti

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28/06/2001 -  Anonymous User

L'Associazione Guido Puletti esprime la propria soddisfazione
per la sentenza di primo grado di condanna di Hanefija Prijic
detto "Paraga". Dopo più di sette anni di impunità il Tribunale di
Travnik ha condannato a 15 anni "Paraga" per l'uccisione di
Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni. La nostra
soddisfazione è ancora maggiore considerando che questa
sentenza apre anche le porte a una serie di investigazioni e
processi per tutti gli altri crimini di guerra commessi in Bosnia
centrale.

Riteniamo che questa sentenza non debba chiudere la vicenda
giudiziaria relativa all'eccidio del 29 maggio 1993, ma che
debba essere il punto d'avvio per arrivare a chiarire
completamente quanto avvenne otto anni or sono. Eravamo e
siamo interessati ad una condanna di "Paraga" nel quadro del
raggiungimento della verità su quello che avvenne. E dobbiamo
ammettere che, nonostante la condanna di "Paraga", il processo
celebrato a Travnik è arrivato a determinare solo una parte della
verità sulla morte di Guido, Fabio e Sergio.

Molti importanti testimoni non sono stati chiamati a deporre, e
non sono state poste domande importanti a molti testimoni che
hanno deposto in aula. Gli esecutori materiali non sono stati
identificati, come non sono stati identificati i mandanti di
quell'eccidio - l'accusa stessa contro "Paraga" escludeva a
priori che vi potessero essere mandanti oltre allo stesso Hanefija
Prijic.


Riteniamo che l'autorità giudiziaria che debba assumersi questo
compito sia quella italiana. Per questo è necessaria una
collaborazione effettiva da parte delle autorità centrali italiane,
che finora si sono distinte invece per il disinteresse e gli ostacoli
che hanno posto, fino a queste ultime settimane, quando
l'autorità diplomatica italiana in Bosnia è stata totalmente assente
dal processo in corso (se si eccettua una sola udienza), e ha
rifiutato un minimo di supporto all'avvocato delle parti lese alla
conclusione del processo.
Il Ministero degli Esteri italiano può e deve acquisire nuova
documentazione decisiva su questo caso. Il Ministero di Grazia e
Giustizia italiano, che riconobbe nel settembre 1998 questo
eccidio come "delitto politico", può e deve richiedere il
rinnovamento del giudizio di "Paraga" in Italia perché si arrivi
all'identificazione degli esecutori e dei mandanti. Richiediamo
quindi che l'inchiesta avviata a Brescia continui in modo da
arrivare ad un processo in Italia che porti a conclusione il
percorso giudiziario iniziato a Travnik.

Brescia, 28 giugno 2001



© Associazione Guido Puletti

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28/06/2001 -  Anonymous User

Oggi, 28 giugno, la corte del Tribunale di Travnik ha condannato a 15 anni di prigione Hanefija Prijic - detto "Paraga" - per crimini di guerra, ed esattamente per aver ordinato
l'eccidio di tre volontari bresciani, morti nel 1993 in un agguato in Bosnia.

Era il 29 maggio del 1993. Nel Canion di Opara, tra Gornji Vakuf
e Novi Travnik, sulla pista Diamond Route utilizzata dai convogli
che trasportavano aiuti alla popolazione bosniaca, venne teso un agguato
a cinque volontari italiani. Trasportavano aiuti umanitari verso la
città di Travnik, e al ritorno dalla missione avrebbero dovuto
tornare in Italia, accompagnati da 40 vedove di guerra alle quali il Comune di Brescia
aveva offerto accoglienza.

L'agguato fu mortale per tre di loro: Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni. Gli altri due volontari - Agostino Zanotti e Christian Penocchio - riuscirono a fuggire e sopravvivere.
E' grazie alla loro tenacia nella ricerca della verità,
che si è ottenuta l'apertura del processo ad Hanefija Prijic, il 26 aprile scorso.
L'ennesima testimonianza rilasciata da Agostino e Christian di fronte al tribunale di Travnik, ha contribuito a rendere definitivamente giustizia a Guido, Fabio e Sergio.

La Macedonia preoccupa l'Europa e la NATO

28/06/2001 -  Anonymous User

Dopo i gravi incidenti accaduti lunedì scorso alla sede del Parlamento di Skopje la situazione ha raggiunto una tensione altissima. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno autorizzato il personale non essenziale delle ambasciate ad abbandonare il paese. Ieri le forze di sicurezza macedoni sono entrate nel villaggio di Aracinovo, dopo che i guerriglieri albanesi l'avevano abbandonato nei giorni scorsi. Le truppe macedoni sono state seguite da osservatori internazionali e alcuni reporter, come previsto dagli accordi sulla smilitarizzazione di Aracinovo. Il villaggio dopo tre giorni di intensi bombardamenti è ridotto piuttosto male. Case sventrate e animali morti per le strade. Immagini dei combattimenti vengono trasmesse dalle televisioni che, dopo mesi di silenzio e dopo gli incidenti al Parlamento di Skopje, finalmente si sono accorte che è in atto (già dalla fine del mese di gennaio) una guerra.Le possibilità di soluzione sono legate ad un filo. Nella giornata di oggi è atteso a Skopje il neo eletto rappresentate europeo, l'ex ministro francese della difesa Francois Leotard.
Tuttavia l'uscita in pubblico di Leotard, come riferisce l'Ansa, è già stata macchiata da una sorta di equivoco. Leotard avrebbe dichiarato in un primo momento di considerare la partecipazione dell'Esercito di Liberazione albanese alle trattative, però il governo di Skopje aveva replicato immediatamente che se tali dichiarazioni fossero confermate, "Leotard non sarebbe ben visto". Ciò probabilmente ha indotto l'ex ministro francese a rimangiarsi qualche ora dopo quanto aveva detto escludendo qualsiasi dialogo politico con l'UCK e ad affermare che "i guerriglieri albanesi non avranno posto al tavolo della trattativa, che dovrà invece essere portata avanti solo con i legittimi rappresentanti dei partiti".
Una accordo sulla soluzione della crisi è atteso anche dalla NATO per poter far intervenire una task force di 3.000 uomini chiesta dal presidente Trajkovski per il disarmo dei guerriglieri. L'operazione della NATO, denominata "Essential harvest", secondo quanto dichiarato, non avrà compiti di interposizione, ma solo di raccolta delle armi dei guerriglieri, ed entrerà in azione solo se, e quando, verrà raggiunto un accordo tra il governo di Skopje e i leader degli estremisti albanesi. Il presidente americano George Bush, dopo aver approvato un decreto che impedisce a cittadini americani di finanziare gli attivisti albanesi di Macedonia e pone delle restrizioni alle visite degli stessi negli USA, ha dichiarato che non esclude un invio di truppe americane nella ex Repubblica jugoslava.
È scaduta, nel frattempo, alla mezzanotte di ieri sera la tregua che l'UCK aveva dichiarato il 15 giugno scorso al fine di facilitare il dialogo tra le parti in conflitto. Anche se l'impressione è che la tregua sia stata violata più volte, l'Esercito di Liberazione Nazionale ha dichiarato di aver aperto il fuoco "per autodifesa".
Sono in molti a temere un attacco diretto alla capitale Skopje. L'UCK, tramite colui che viene chiamato comandante Hoxha, ha fatto sapere di essere già all'interno della città con due battaglioni di civili che sono "pronti a compiere azioni per difendere la nostra gente". Lo scoppio di una guerra civile in Macedonia è - come ha affermato il coordinatore del Patto di Stabilità, Bodo Hombach - "sospeso a un filo".

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27/06/2001 -  Anonymous User

VOA: allora cominciamo. Buonasera sig. Nano, buonasera sig. Berisha.
Nano: Buonasera sig. Elez, buonasera dottore.
Berisha: Buonasera.
VOA: Sig. Nano, in quanto partito al potere, ritenete di aver adottato tutti i provvedimenti necessari ad un corretto processo elettorale? Avete creato per gli altri partiti politici le condizioni per una concorrenza uguale?
Nano: penso che questo problema sia stato risolto. Abbiamo dato a tutti un'opportunità per un libero, corretto processo elettorale. Questa volta abbiamo il vantaggio del Codice Elettorale che si adegua agli standard europei. Abbiamo delle istituzioni e una credibile gestione delle elezioni, che non sono oggetto di contestazioni, abbiamo un registro con le liste degli elettori, realizzato con il contributo di tutti, inclusa l'opposizione, e penso che avremo un normale e tranquillo processo elettorale.
VOA: Dottor Berisha, quale sono le sue preoccupazioni per il processo elettorale e qual è il suo ruolo per garantire un normale processo elettorale? Siete stati accusati di voler creare problemi?
Berisha: i maggiori problemi delle elezioni di oggi sono: innanzi tutto, l'articolo 66 del codice elettorale, (denunciato anche dagli osservatori internazionali e da 10 partiti politici); stilato e difeso solo dai socialisti, che vogliono rubare il voto dei candidati indipendenti e turbare la rappresentatività dei voti dei cittadini albanesi, violando un principio molto importante. Mi auguro che la Commissione Elettorale trovi la forza per decidere oggi e per salvare il processo elettorale. Secondo, le liste sono un vero caos, e voglio ripetere quanto ho già detto alla comunità internazionale: nella circoscrizione 84, a Pogradec sono state registrate dodicimila persone, che non risiedono in questa zona, ma per la maggior parte sono militanti del PS. Io vi assicuro che stiamo facendo di tutto per risolvere questa anomalia, in modo che gli albanesi abbiano un corretto e libero processo elettorale.
VOA: sig. Nano, se confrontata al '97, l'Albania ha fatto dei progressi ma affronta ancora seri problemi, che secondo i vostri avversari, sono il risultato del mal governo socialista. La trasparenza con il pubblico non è stata assoluta e qualificante. Perché pensate che gli albanesi debbano darvi un secondo mandato di quattro anni?
Nano: Io penso che la trasparenza sia sempre esistita, non soltanto adesso in campagna elettorale. Dovunque vada, prima o dopo il dottore, i cittadini comprendono che noi abbiamo trovato un'inflazione al 43% e l'abbiamo ridotta al 4%. Abbiamo aumentato gli stipendi del 100% e le pensioni del 60%. Abbiamo assunto circa 150mila persone, abbiamo speso circa 1.5 miliardi di dollari per coprire il debito pubblico lasciatoci da Berisha, abbiamo costruito 150 km di autostrade e superstrade e abbiamo riparato 1500 km di strade rurali. Il problema è che, per quanto dice Berisha, vedo che è preparato a perdere le elezioni.
VOA: sig. Berisha, l'Albania sta affrontando ancora i problemi della crisi del '97. Come potete convincere gli elettori che il PD merita di ritornare al potere? Perché pensate che la vostra alternativa e quella di "Unione per la Vittoria" siano le migliori?
Berisha: penso che la nostra alternativa sia senz'altro la migliore. Oggi la disoccupazione in Albania è del 50%, su due albanesi uno è disoccupato: noi abbiamo un piano straordinario per l'occupazione degli albanesi. Penso che la riduzione delle tasse, che sono state raddoppiate, darà maggiore spazio e incentivi alla libera impresa in Albania. Noi abbiamo un programma che mira alla lotta alla povertà. Oggi l'Albania è uno tra i tre o quattro paesi più poveri del mondo, il cui reddito è un dollaro pro-capite, secondo la Banca Mondiale. Pretendere di aver aumentato gli stipendi e le pensioni è soltanto un' illusione. Per la verità i prezzi sono aumentati del 150%. Il nostro programma garantisce agli agricoltori l'esenzione dalle tasse, e i prodotti agricoli saranno protetti dal contrabbando. Nel nostro programma economico prevediamo la ristrutturazione dello Stato, degli investimenti stranieri. Noi non arricchiremo gli albanesi, saranno loro da soli ad arricchirsi, se noi riusciremo a lottare contro la povertà. Essi stanno aspettando con ansia il 24 giugno per esprimere il loro verdetto.
VOA: sig. Nano, lei e il sig. Berisha siete le due figure principali della politica albanese. I vostri avversari vi accusano di essere i fautori della tensione politica. Come si difende lei personalmente da queste accuse?
Nano: io non credo che a me sia rimasto altro da aggiungere sul mio ruolo di moderatore della politica albanese, sul mio ruolo nella moderazione delle tensioni tra la maggioranza e l'opposizione, anche quando ero in prigione a causa di Berisha, sul mio ruolo nella democratizzazione del PS e nella costruzione di una coalizione progressista orientata ai valori euroatlantici, a ciò che l'opinione pubblica dei Balcani e internazionale riconosce. I miei inviti e le possibilità di collaborazione non hanno ricevuto risposta, infatti i posti dell'opposizione nelle tavole di lavoro nazionali per l'integrazione euroatlantica sono rimasti vacanti fino ad oggi. Siamo decisi, anche dopo il 24 giugno quando Berisha sarà di nuovo all'opposizione, a continuare a lavorare con lui perché è veramente una delle maggiori personalità del paese.
VOA: Proseguiamo con la stessa domanda sig. Berisha, si dice che lei e Nano stiate tenendo in ostaggio l'Albania essendo il maggiore ostacolo ad una svolta. Di lei personalmente si dice che siate un politico che ama le proteste estreme e non accetta oppure non rispetta le forme istituzionali? Come risponde alle accuse e come dobbiamo intendere l'appello ad un "nuovo inizio"?
Berisha: sarò molto breve poiché ho stabilito una regola, una mia decisione, in questa campagna: di occuparmi del mio programma e non dei miei avversari. Nel caso in cui essi vogliano leggere in stile cinese dieci oppure quindici punti contro Berisha, io rido nel sentirli e mi occupo del mio programma. Per quanto riguarda la questione che Nano ha menzionato, non ha fatto bene a ricordare la prigione perché il perdono è sacro. Io ho perdonato il compagno Fatos Nano e l'ho perdonato davvero....
Nano: dopo quattro anni, compagno Sali
VOA: Proseguiamo con un'altra domanda. Sig. Nano, l'Albania è considerato un paese ad alto rischio per gli investimenti stranieri. Addirittura si dice che diversi clan e gruppi del crimine organizzato siano riusciti a controllare diversi settori dell'economia e più del 60% delle attività economiche sono illegali e irregolari. Come pensate di risolvere questi problemi?
Nano: ho capito. Noi siamo impegnati a collaborare con le istituzioni finanziarie internazionali e con le istituzioni specializzate dell'UE, dei governi occidentali che operano in Albania, al fine di realizzare quei programmi che permettano al paese, all'economia, alle istituzioni, all'amministrazione pubblica, di raggiungere i criteri richiesti per l'adesione all'Accordo dell'Associazione-Stabilizzazione e poi per realizzare le condizioni per l'integrazione europea. Queste attività sono pubbliche, trasparenti ed efficaci, tanto che sono aumentati gli investimenti stranieri. Solo nel corso del 2000 sono stati investiti 200 milioni di dollari. Per il 2001 si prevedono circa 240 milioni di dollari in investimenti stranieri, e circa un miliardo di dollari sono stati stanziati per interventi sulle finanze pubbliche nei prossimi quattro anni. Da questo punto di vista la guerra contro la corruzione sta dando dei risultati, la guerra contro i traffici illegali altrettanto. Ormai il progresso in tutti i campi ha indotto l'UE al Consiglio di Goteborg a sostenere l'avvio dei negoziati per l'Accordo dell'Associazione e Stabilizzazione.
VOA: le leggi per la lotta al crimine organizzato e la corruzione ormai esistono. Se il suo partito prende il potere quali sono i provvedimenti che intraprendete? Pensate che avrete la volontà di risolvere questi problemi?
Berisha: senza dubbio che la corruzione è il cancro vero di una società. La guerra contro la corruzione è una delle nostre priorità. Durante i quattro anni del nostro governo abbiamo lottato contro la corruzione, una guerra forte, abbiamo condannato i colpevoli, licenziato ministri e vice ministri, governatori e deputati del PD. Il Partito socialista ha sfruttato le privatizzazioni per pagare i debiti dei suoi governanti, e non c'è stato nessun investimento straniero. Il dicastero che affideremmo all'opposizione è il controllo dello stato.
VOA: sig. Nano, le previsioni indicano che i piccoli partiti non riusciranno ad ottenere buone percentuali nelle elezioni del 24 giugno. Quindi o il PS o il PD domineranno. Se il suo partito vince che cosa farete per intraprendere e per assicurare un nuovo inizio, perché anche l'opposizione sia inclusa nel governo del paese e non ne rimanga esclusa?
Nano: io riinvito Berisha, che se dopo il 24 giugno continuerà ad essere all'opposizione, continuerà lo stesso ad avere il Controllo sullo Stato, a collaborare con più amor patrio alla realizzazione di una strategia nazionale di alternanza, che permetta il passaggio di potere senza grosse fratture, per il progresso del paese.
VOA: sig. Berisha, la stessa domanda anche per lei?
Berisha: prima di tutto ci sarà un governo di dieci partiti. Oggi ho dichiarato che nel governo ci saranno anche il PAD, il PDU, e il partito democristiano. Questa divisione del potere implicherà un ridimensionamento della posizione dell'opposizione. Dai contatti con Bruxelles e Goteborg io ho constatato che loro non hanno dato a questo governo il privilegio della firma per tre motivi principali: il traffico degli schiavi del sesso, nel quale sono implicati direttamente dei governanti albanesi, la corruzione e le elezioni amministrative. Siccome in quattro anni questi compagni non ne hanno realizzato le condizioni, le speranze sono davvero poche, ma io non voglio occuparmi di questo, loro se ne stanno andando via...Io garantisco ai cittadini albanesi che noi realizzeremo tutte le condizioni e che il due gennaio l'Albania firmerà l'apertura dei negoziati.

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27/06/2001 -  Anonymous User

Pubblichiamo la versione integrale in lingua inglese del Decreto approvato il 25 giugno scorso dalla RFY riguardante la collaborazione con il Tribunale Internazionale dell'Aja per i crimini di guerra.Il testo è stato distribuito dall'ufficio ICS di Belgra

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27/06/2001 -  Anonymous User

Il rapporto analizza l'Esercito di Liberazione Nazionale, i guerriglieri albanesi che combattono in Macedonia contro l'esercito regolare. In esso, secondo il rapporto, starebbero almeno cinque tipi di combattenti: ex-combattenti dell'UCK, gia' veterani delle guerre in ex-Jugoslavia contro i Serbi in Croazia e Bosnia, opportunisti che puntano a raggiungere posizioni di potere tramite la guerriglia, albanesi kosovari e macedoni che perseguono tramite la guerra la loro visione panalbanese, giovani albanesi ingenui e romantici che considerano giustificato combattere dato il fallimento del governo nell'affrontare qualsiasi politica di riforma per il progresso della minoranza albanese, mercenari stranieri. L'Esercito di Liberazione Nazionale sarebbe, proprio come i suoi componenti dimostrano, un misto di interessi mafiosi e di potere, ingenuo romanticismo nazionalista e violento irredentismo panalbanese.

Il governo di unita' nazionale e' il secondo focus del rapporto dell'ICG. Tale governo si dibatte nella contraddizione fra la dura risposta militare e la necessita' di essere prudenti per non creare martiri civili a tutto favore della guerriglia, la quale comunque continua a guadagnare consensi nella pericolosa situazione di stallo politico e militare.

La proposta del mediatore dell'OSCE, l'ambasciatore americano Frowick, e' ampiamente analizzata dal rapporto e viene considerata un'ottima base di partenza da parte dei ricercatori dell'ICG. Essa si articola nei seguenti punti: immediata cessazione del fuoco e amnistia per i combattenti dell'NLA, alcune misure di confidence-building volte al riconoscimento dell'albanese come lingua ufficiale della Repubblica, accesso all'istruzione superiore e una maggiore rappresentanza albanese nelle istituzioni dello stato. Alla fine di questo processo i maggiori leader dell'NLA, pur non riconosciuti all'inizio delle trattative come interlocutori ufficiali, sarebbero integrati con piena dignita' nella vita politca del paese. La proposta di Frowick e' stata spazzata via dalle polemiche seguite alla pubblicazione di una foto fra il 23 e il 25 maggio su tutti i maggiori media macedoni, che ritraeva i due leader albanesi del DPA e del PDP Xhaferri e Imeri (i due maggiori partiti albanesi ora insieme nel governo di unita' nazionale) assieme al leader politico dell'NLA Ahmeti a Prizren in Kosovo, nell'atto di firmare una Dichiarazione dei leader albanesi di Macedonia per la pace e i processi di riforma nella Repubblica di Macedonia, che riprendeva i punti principali del piano Frowick. Le polemiche scatenate dai leader macedoni slavi che hanno accusato Xhaferri e Imeri di attentare all'integrita' territoriale del paese dal momento che si erano incontrati con uno dei leader dell'NLA, hanno destituito di valore la proposta Frowick, che a quel punto non ha piu' avuto nemmeno il supporto degli USA e dell'Europa, che secondo ICG non avrebbero il coraggio di prendersi le proprie responsabilita' in Macedonia.
A complicare la situazione ci sarebbe anche una "Hidden Agenda", del primo ministro Georgievski, il quale non avrebbe nessuna intenzione di arrivare a riforme costituzionali per accordare maggiori diritti agli Albanesi e starebbe aspettando solo nuove elezioni da indire nel settembre di quest'anno. Alcune dichiarazioni di Georgievski sono state molto ambigue fra maggio e giugno. Egli infatti si e' dichiarato risolutamente contrario al progetto dell'Accademia delle Scienze di Skopje che riguarderebbe uno scambio di territori e popolazione tra l'Albania e la Macedonia, in modo che vengano cedute all'Albania alcune aeree della Macedonia abitate dalla popolazione albanese e viceversa. Nello stesso tempo pero' lo stesso Georgievski non avrebbe lesinato commenti molto approfonditi in varie interviste sul piano stesso ed in piu' occasioni, tramite varie dichiarazioni, avrebbe fatto intendere di essere d'accordo col principio della spartizione etnica del paese. Secondo l'ICG avrebbe "suggerito pubblicamente per la prima volta che la popolazione albanese e' piu' di un terzo di quella totale piuttosto che il quarto stabilito dal censimento del 1994. Egli ha fatto cosi' leva sulla molto profonda paura dei macedoni slavi per la quale gli Albanesi li starebbero sopravanzando in termini di natalita' facendoli diventare la nuova minoranza del paese". Per l'ICG non c'e' dubbio che il gioco di Georgievski sia quello di incolpare i socialdemocratici - anch'essi al governo e favorevoli alle riforme - di ogni cedimento nei confronti degli Albanesi; ed e' chiaro che per cedimento intende le riforme costituzionali previste come punto principale di ogni processo di pace. Ormai si puo' quindi definire senza speranza l'esperimento del governo di unita' nazionale dal momento che ogni partito ha idee completamente diverse sul significato di processo di pace ed ognuno pensa a come meglio attrezzarsi per le nuove elezioni politiche.

Il rapporto si sofferma anche sulla dimensione regionale del conflitto macedone. I recenti avvenimenti hanno visto un sempre piu' stretto rapporto di allenanza fra Serbia e Macedonia, unite dal problema dell'irredentismo albanese nella valle di Presevo e nel nord della Macedonia. Tale alleanza sta preoccupando non poco la Bulgaria che storicamente era sempre stato l'alleato dei Macedoni in chiave anti-serba a partire dalle Guerre Balcaniche del 1912-1913. La Grecia invece e' preoccupata per il prolungarsi della crisi che metterebbe a rischio i cospicui investimenti fatti per la costruzione del Corridoio 10 da Salonicco a Belgrado. Inoltre la Grecia ha sempre aperto con la Macedonia il contenzioso sul nome, che ancora sembra non arrivato a soluzione. ICG sottolinea inoltre come il non ancora definito status del Kosovo sia la causa principale dell'instabilita' in tutta l'area balcanica e quindi invita la comunita' internazionale, in particolare il G8, a trovare un accordo politico finale sulla provincia.

Riportiamo per intero le conclusioni del rapporto:

The country faces an insurgency that is largely domestic, which means that thefighters know the terrain, are committed to their cause and, without a political solution, are likely to fight on despite losses. The Macedonian military andmuch of the public believe a victory was won in Tetovo at the end of March 2001. Yet the guerrillas were undefeated. Without a political solution, the NLAcan reprise the Tetovo or Kumanovo scenario elsewhere in the western part of the country.
The international community wants to avoid establishing another protectorate.They want to see reform but are unwilling to accept full responsibility for the problem. The international troika of Patten, Solana and Robertson rightlypushed the Macedonians and Albanians to form a national unity government; but the political momentum has stopped. The Macedonians could not get to the negotiating table by themselves, and itappears unlikely that they will be able to shape the reform agenda on their own. The shortsighted approach to reform means that the EU and NATO will haveexpended all their political muscle for an inert national unity government that accomplishes little else than holding early elections. As seen from Macedonia,the United States has been absent from the high level political negotiations. The Bush Administration¹s avoidance of new U.S. commitments in the Balkans has left the Europeans in charge of negotiations. Ethnic Macedonians and Albanians both fear that the Europeans are incapable of delivering any sustained political, economic and military assistance. The European Union and the United States must undertake much strongeraction to prevent the destruction of Macedonia. Macedonians and Albanians alike have exercised enormous restraint in ignoring the calls for war. The smalland inadequate Macedonian Army cannot defeat well-supported and well-funded guerrilla insurgents who are bent on destroying the country. Indeed, itsclumsy operations are more likely to recruit new members to the NLA than the opposite, while also incurring losses among its own ranks that will raise ethnictensions, as has happened three times already in Bitola. At time of writing, NATO has ruled out direct military intervention in Macedonia to stabilise the situation, at least in the absence of a political settlement, butpressure is rising - which ICG strongly supports - for NATO assistance at least in monitoring the disarmament of the NLA guerrillas as part of such anagreement. NATO teams have been shuttling in and out of the capital for the past two weeks. Both neighbouring Greece and nearby Turkey have called onallied governments to consider immediately deploying international peacekeeping troops inside Macedonia. Whatever its present reluctance, only NATO can guarantee Macedonia¹s securityafter a political settlement is achieved, as it also does that of Bosnia and Kosovo. NATO should stand prepared to play an active military role in support ofthe Macedonian security forces against further rebel activity, if the situation so demands and the Macedonian government so requests. Even before a political settlement is reached, NATO must prevent the NLA andother ethnic Albanian extremists from operating freely in Kosovo, and it must provide better training assistance if the Macedonian army is to be more effectivein preventing the NLA from operating freely inside Macedonia. The Macedonian army and police have received training, intelligence information and weaponsfrom Alliance members. This assistance should be systemised as part of a
longer-term guarantee. NATO has set up a new structure (NATO Coordination and Cooperation Centreor NCCO) in the region to better facilitate the exchange of information and coordinate military and bilateral support to Macedonia. KFOR troops havetightened border security between Macedonia and Kosovo but the long porous border with Kosovo has not been sealed airtight. Many Macedonians and Albanians (and probably a few Europeans) believe thatU.S. disengagement from the region has contributed to the crisis. As one Macedonian leader put it, ³The United States always has a black and whiteapproach, but it is so much easier to deal with them after they have made a decision. The Europeans are too flexible this is the Balkans, we know how toplay with them and use their national interests to our advantage. The NLA has put key Albanian grievances front and centre on the agenda. They have stimulated serious engagement by the international community to resolveissues that had been previously rhetorical and passive. The NLA in absolute political terms may achieve in a few months what the two Albanian parties could not deliver in ten years. Their goal, however, appears to be ethnic separationwithin Macedonia. The importance of implementing critical reforms is to dissuade the Albanians in Macedonia from joining the NLA and to stop themfrom dreaming about a new Greater Western Macedonia. The NLA will not disappear, and the only way to stop them from gaining a permanent foothold in the country is stop them from setting the country¹spolitical agenda. This does not require the unity government to make a place for
the rebels at the table. But it does mean that the elected Albanian leaders in thegovernment must be able to have contact with the rebels and represent their concerns. It will also mean NATO contact with the NLA. When the military crisis ends, important changes will have occurred inMacedonia. It is important to remember that all the citizens of Macedonia must be involved in the radical political changes that will be necessary to preserve theunique and multiethnic character of the country. Many of the reforms, such as amending the constitution, decentralising the government and officialrecognition of the Albanian language can be achieved. The way in which these changes are introduced will determine their acceptance.
Skopje/Brussels, 20 June 2001

Vedi anche:

Diachiarazione politica e ultimatum militare

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27/06/2001 -  Anonymous User

Il rapporto descrive la situazione attuale dell'Albania, con particolare attenzione alle relazioni con i paesi vicini dei Balcani: Kosovo, Montenegro, Macedonia e Grecia. La recente ondata di combattimenti nella Valle di Presevo e in Macedonia ha danneggiato la reputazione di tutti gli Albanesi ed ha ancora una volta alimentato lo spettro della Grande Albania. Conseguentemente il governo albanese si e' impegnato con ogni mezzo nel sottolineare di non appoggiare assolutamente i ribelli albanesi e di desiderare il mantenimento dell'integrita' territoriale della Macedonia. A questo proposito Tirana ha richiesto l'assistenza della NATO per il controllo del confine fra Albania e Macedonia, e ha rivolto un appello per una soluzione politica, tramite il dialogo, della crisi.
Il governo di Tirana a guida socialista ha il difficile compito di convincere la comunita' internazionale di non alimentare in nessun modo l'irredentismo panalbanese e nello stesso tempo di non essere visto dagli stessi Albanesi come un governo che mette a rischio gli interessi nazionali nell'area balcanica. Alla fine del 2000 il premier Ilir Meta ha condotto una storica visita in Kosovo per promuovere lo sviluppo degli interessi socio-economici nella provincia e per rafforzare i legami fra Tirana e la leadership albanese del Kosovo. Nel Gennaio 2001 sono state inoltre ripristinate le relazioni diplomatiche fra l'Albania e la Repubblica Federale di Jugoslavia. Questa mossa e' stata criticata da molti albanesi kosovari come prematura; infatti ha rafforzato la loro percezione secondo la quale l'impegno del governo di Tirana per la cosiddetta "questione nazionale" sia debole.

Questo rapporto si concentra in particolare sulle relazioni con la Grecia e sulla delicata posizione della minoranza greca - l'unica minoranza sinigificativa in Albania. I tentativi della Grecia di disegnare un ruolo di ponte fra i due paesi per la minoranza greca si stanno dimostrando molto problematici. Alcuni albanesi sono preoccupati che la Grecia utilizzi la minoranza per dare incremento all'ellenizzazione del sud dell'Albania, mentre alcuni elementi all'interno della minoranza accusano Tirana di ignorare le istanze della minoranza, cercando di appropriarsi delle terre della minoranza, e tentando di forzarle a diventare albanesi.
La politica interna e' dominata dai preparativi per le imminenti elezioni del 24 giugno. Il Partito Socialista al governo si trova ad affrontare le pericolose lacerazioni all'interno della sua coalizione, e il maggiore partito di opposizione, il Partito Democratico, sta cercando di reinventare se stesso per sopravvivere. Mentre la sicurezza interna e' stata notevolmente migliorata, il crimine organizzato internazionale e' notevolmente peggiorato negli ultimi anni. E' diventato infatti molto piu' sofisticato e difficile da identificare, e dunque l'Albania ha bisogno di una maggiore assistenza internazionale per combatterlo.


a cura di Claudio Bazzocchi
© ICS - Osservatorio sui Balcani

L'esercito macedone scatena l'offensiva

23/06/2001 -  Anonymous User

In Macedonia è in atto una pesante azione militare da parte delle forze di sicurezza macedoni. L'azione iniziata ieri mattina alle ore 4.00 dalle forze congiunte di polizia ed esercito macedoni, ha visto l'impiego di artiglieria, carri armati ed elicotteri Mi24. L'intento dichiarato è quello di liberare la zona del villaggio di Aracinovo, circa 10 km da Skopje, nei pressi del quale è stanziato da circa due settimane l'Esercito di Liberazione Nazionale (UCK), che aveva dichiarato l'intera zona "territorio liberato". L'azione delle forze macedoni - come afferma il portavoce del ministero della difesa macedone Georgi Trendafilov - è rivolta "all'eliminazione dei terroristi da Aracinovo".
Va notato, inoltre, che in questi giorni ci sono stati alcuni cambi nei vertici dei comandi militari. In particolare è stata formata una nuova forza macedone con l'unione dell'esercito e delle forze di polizia antisommossa e antisabotaggio, (tra cui i famosi reparti "Tigri" e "Lupi" , ovvero di nuclei specializzati della polizia macedone) comandata dal generale Miroslav Stojanovski.
L'UCK, secondo quanto riportato dalla televisione in lingua albanese A1, avrebbe risposto all'attacco, lanciando colpi di mortaio da 120mm su una raffineria di Skopje, tuttavia senza colpirla. A quanto pare la gittata delle armi a disposizione dei guerriglieri non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi strategici della capitale, già minacciata nelle scorse settimane dal comandante Hoxha, il quale ha precisato che se il governo macedone "vuole la guerra, l'avrà".
Fortunatamente sembra che la popolazione civile abbia, nei giorni scorsi, evacuato la zona di Aracinovo, dove sono tuttora in atto gli scontri. Tuttavia alcune case sono state distrutte e altre incendiate, mentre alcuni poliziotti e militari dell'esercito macedone sono stati ricoverati nella serata di ieri, a seguito delle sparatorie con l'UCK, sia presso l'ospedale militare che quello civile di Skopje.

La pressione internazionale riattiva il dialogo

22/06/2001 -  Anonymous User

Sono ripresi a fatica i colloqui tra i partiti macedoni e quelli albanesi, dopo la brusca interruzione causata dalle forti divergenze interne. La fugace visita di Solana a Skopje, sembra aver riaperto la possibilità di una speranza d'intesa tra le due parti in conflitto. Solana ha fatto sapere che ritornerà nel fine settimana a Skopje e che entro il prossimo lunedì dovranno esserci dei "risultati concreti".
Su informazioni dell'agenzia Sense, Solana ha informato il consiglio dei ministri degli esteri del Parlamento europeo, circa le possibilità di cambiamento della costituzione macedone. L'Alto rappresentante europeo ha detto che "Il sentimento tra gli appartenenti alla minoranza albanese della FYROM è quello di appartenenza a questo paese. Non desiderano essere cacciati, ma desiderano esserne parte. Per ciò è così importante considerare un cambio della Costituzione. In tutti le costituzioni della regione è mantenuta la filosofia dell'inizio degli anni '90. Il cambiamento dei preamboli della Costituzione è, in questo senso, la base perché lo stato sia non solo degli Slavi, ma formato anche dai cittadini albanesi". " Per questo - prosegue Solana - siamo così interessati al cambiamento della Costituzione, in modo che gli uni e gli altri possano sentirsi bene nel paese, ciò è particolarmente importante con una Costituzione che riconosca che gli elementi fondatori del paese, siano sia gli uni che gli altri e non solo gli uni" (Sense).
Tuttavia le pressioni internazionali non sono gradite al premier macedone Georgievski che ha detto di non poter accettare "pressioni dalla comunità internazionale per cedere alle richieste degli albanesi e non devono porci limiti di tempo perché sono in discussione questioni di eccezionale importanza" (Ansa). Georgievski si riferisce alla data entro la quale dovranno essere presentate le decisioni che usciranno dai colloqui di questi giorni, ovvero lunedì 25 giugno presso la riunione europea in Lussemburgo. Il leader del PDP (Partito per la prosperità democratica albanese) Imer Imeri ha fatto sapere che i colloqui riprenderanno dalle questioni meno difficili per poi proseguire sui punti dove c'è maggior divergenza (AP).
In questo bailamme generale di accuse reciproche, tra albanesi e macedoni, circa il fallimento dei negoziati, si fa sentire anche la voce della NATO, pronta per un intervento di breve durata e con una forza minima necessaria a garantire il disarmo dei guerriglieri, ma tuttavia in attesa di un esito positivo delle trattative. A proposito dell'incontro tra Powell e Robertson - scrive la Reuters - il segretario di stato americano ha dichiarato: "abbiamo parlato della Macedonia. Siamo speranzosi che il processo politico ripartirà velocemente e che avrà una spinta in avanti". Ma - ha aggiunto Powell - non abbiamo fatto il punto sulla partecipazione degli USA. Ci sono molti modi in cui possiamo contribuire" (Reuters, Ansa).
Nel frattempo alcuni scontri tra le forze macedoni e i guerriglieri albanesi si sono verificati la notte scorsa nei presi dei villaggi di Rasce e Radusa, quest'ultima localizzata tra Blace e Jezince, punto di attraversamento della frontiera verso il Kosovo, dove mercoledì sono transitate circa mille profughi. L'UNCHR fa sapere, inoltre, che il numero dei rifugiati macedoni è salito a circa 50.000 persone. Sembra che i macedoni si siano rifugiati in Serbia e in Kosovo, mentre gli abitanti albano-macedoni lasciano il paese per dirigersi in Turchia, in Albania o in altri paesi occidentali (Tanjug).

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22/06/2001 -  Anonymous User

L'Alto rappresentante dell'ONU per la Bosnia ed Erzegovina, l'austriaco Wolgang Petritsch rimarrà nella regione ancora per un anno. La decisione è stata presa ieri a Stoccolma durante l'Assemblea del Consiglio per l'implementazione della pace (PIC) in Bosnia ed Erzegovina.
Secondo quanto avevano riportato alcuni organi di stampa, tempo fa, Petritsch avrebbe dovuto lasciare l'incarico quest'anno. "Questo è un lavoro molto pesante, ma credo che si tratti di una sfida importante. Ad ogni modo ciò significa che il Consiglio ha espresso la sua fiducia e ha riconosciuto il progresso che è stato ottenuto" ha detto Petritsch.

Il "paraesercito macedone" intima agli albanesi di andarsene

20/06/2001 -  Anonymous User

Il "paraesercito macedone 2000", fino ad ora sconosciuto al pubblico, ha emesso un comunicato con il quale richiede che"tutti gli albanesi (shiptari) che hanno avuto la cittadinanza macedone nel 1994 devono lasciare il paese entro il 25 giugno 2001".
Nel comunicato dell'organizzazione, pubblicato dal giornale di Skopje "Vest", si dice che il "paraesercito macedone", inizierà la "pulizia dei loro villaggi" se gli albanesi non lasceranno il paese, e saranno risparmiati soltanto "quegli albanesi che prenderanno le distanze dai terroristi".
La minaccia è stata rivolta anche ai macedoni che hanno "avuto a che fare con alcuni albanesi", e al governo è stato richiesto di effettuare la revisione delle cittadinanze date agli albanesi in quell'anno, prima che vengano attivate tutte le "forze a disposizione e le armi sofisticate".
Il paraesercito macedone, come organizzazione cospirativa, è stato formato dieci anni fa da un gruppo di macedoni che erano al potere. Fra di loro c'era anche l'ex ministro degli affari interni Jordan Mijalkov, e ora dispongono di circa 2000 membri. Nell'organizzazione c'è anche un gran numero di appartenenti alle unità d'elite dell'esercito e della polizia, le "Tigri", i "Lupi" e gli "Scorpioni", si dice nel comunicato. Gli appartenenti al paraesercito sono anche, come dice sempre il comunicato, "pulitori a pagamento" che saranno attivati e che riceveranno uno stipendio mensile di diecimila marchi per la liberazione dai balisti albanesi che non hanno la cittadinanza oppure l'hanno ottenuta nel 1994. Questa organizzazione fino ad ora non si è mai fatta sentire. Nel 1994 la cittadinanza macedone è stata data, prima del censimento, come si scriveva sui media di Skopje, a circa 120.000 albanesi.

» Fonte: © Tanjug

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19/06/2001 -  Anonymous User

Si è svolto sabato scorso presso la sala Piamarta di Brescia, un'incontro organizzato dall'Associazione Guido Puletti dal titolo: "L'eccidio dei tre volontari italiani e i crimini di guerra in Bosnia. Tra memoria, ricerca della verità e giustizia".
L'incontro ha voluto commemorare la morte dei tre volontari bresciani, uccisi tra Gorni Vakuf e Travnik il 29 maggio del 1993, mentre il processo che si è recentemente aperto a Travnik è tuttora in corso.

I relatori della serata sono stati: il sindaco di Brescia, Paolo Corsini; Esad Hecimovic, redattore del settimanale bosniaco "Dani" e Ilario Salucci dell'Associazione Guido Puletti.
Non molto il pubblico presente in sala, onorato tuttavia dalla presenza di Paolo Di Giannantonio, giornalista della RAI.
Il sindaco Corsini - che personalmente ha seguito parte della vicenda giudiziaria relativa all'eccidio dei tre giovani di Brescia e che si è preso a cuore la battaglia condotta dalle associazioni nella difficile ricerca della verità - ha aperto la serata. "A Travnik e Sarajevo - dice il sindaco Brescia - ho avuto modo di vedere la tenacia di questa città nel non lasciarsi prendere dall'amnesia o dalla smemoratezza di ciò che è accaduto tempo fa". Inoltre grazie all'Associazione "ho avuto modo di avere una chiave di lettura di tutta la questione, mi sono reso conto, infatti, che non si trattava solo di un eccidio, ma piuttosto l'espressione di qualcosa che fa paura, un'azione della criminalità politica e militare, ovvero di qualcosa di più grave".
Queste parole vengono completate dalla competenza e dalla preparazione di Esad Hecimovic, che da anni si occupa dei crimini commessi in Bosnia. "Dal '97 mi sono occupato dei crimini commessi ai croati, sia civili che militari. Il problema è stato quando ho iniziato a scrivere di Paraga, allora sono iniziate le minacce". Paraga è il responsabile della morte dei tre volontari ed è anche una persona piuttosto influente nella città di Travnik e in buona parte della Bosnia. Nonostante il pericolo corso, Hecimovic è riuscito ad intervistare Paraga e secondo le sue parole "quella fu proprio la sua prima uscita in pubblico dal '93". Nella intervista, Paraga sostenne di non essere mai stato sul luogo dei fatti, mentre recentemente ha ammesso di essersi trovato sul luogo, ma di non aver commesso egli stesso l'omicidio e che erano stati i suoi soldati. "La cosa peggiore - aggiunge Hecimovic - è che la vittima deve difendersi dalle accuse di chi è accusato".
Ad Ilario Salucci spetta di fare il quadro sulla situazione italiana relativa al processo in corso. "8 anni fa i giornali descrissero i tre volontari come incoscienti, per aver partecipato come civili ad una guerra", ma si chiede Ilario forse che è "una cosa morire da civili e un'altra morire da militari?". Il fatto è che in questo processo manca tutta una documentazione essenziale, quella dell'ONU che era presente in loco". In conclusione Salucci avanza alcune domande: "perché il 31 maggio'93 era a tutti noto che il responsabile dell'eccidio fosse Paraga, mentre dopo nessuno ammise il fatto? Perché le autorità centrali non riconobbero l'eccidio come una decisione politica?". Anche le autorità italiane sembrano ostacolare il legittimo emergere della verità.
"Ma chi è in realtà questo Paraga?" chiede in sala il giornalista della RAI, Di Giannantonio. Il redattore di Dani risponde in modo modesto che "Paraga viene descritto come un contadino. Fu un comandante dei Berretti Verdi, ovvero l'esercito della difesa di Alija Izetbegovic. Questo gruppo nacque in seguito ad altre forze armate provenienti dall'SDA (il partito di Izetbegovic). All'inizio adottavano una serie di simboli islamici". Sono tuttora piuttosto influenti, "il Partito per la Bosnia e l'Erzegovina (SBiH) ha relazioni con alcuni di questi dei Berretti Verdi" e se Paraga non avesse avuto questo processo - continua Hecimovic - ora sarebbe sicuramente ai vertici della politica". Eppure "Paraga è un contadino che può permettersi uno dei migliori avvocati della BiH" avanza Di Giannantonio. In questo caso ci sono due risposte - dice il giornalista di Dani - "una è che il padre ha chiesto di persona a Sarajevo il miglior avvocato per suo figlio", ma è anche vero che "ci sono persone che durante la guerra si sono arricchite enormemente, persone che sono passate dall'SDA alla SBiH e che sono politicamente importanti". "In BiH c'è la stampa nazionale che vincola a scrivere solo sui crimini commessi dagli altri popoli, ma se scrivi sui crimini commessi dagli appartenenti al tuo popolo, allora su di te si riversano tutte le accuse". Inoltre "occorre sempre pensare alla situazione reale, ovvero collocarsi nella realtà di Gorni Vakuf, dove le frontiere etniche che c'erano durante la guerra sono ancora ben salde" "Io non credo - conclude Hecimovic - che esista un crimine di mio interesse nazionale e per questo motivo scrivo sui crimini commessi dal mio popolo".
Congedano l'incontro le parole dei responsabili dell'Associazione Guido Puletti, i quali affermano che "l'Associazione stessa continuerà a cercare il senso di queste morti aldilà del verdetto del processo", che con buone probabilità si concluderà con l'assoluzione del comandante Paraga.

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18/06/2001 -  Anonymous User

L'8 giugno, mentre a Valona si stava svolgendo una conferenza importante con un nome altrettanto significativo, "Valona, la porta dei Balcani", organizzata dall'Associazione degli imprenditori italiani in Albania, dalla magistratura italiana viene emesso un ordine internazionale d'arresto per la presidentessa di questa associazione, Cristina Busi. La Busi, oltre ad avere questo incarico, e' anche la principale azionista di Coca Cola Bottling Enterprise Tirana, uno dei primi investimenti stranieri in Albania. Lei viene accusata di evasione fiscale tramite l'emissione di fatture false di un valore estimabile in circa 40 miliardi di lire, fatta ad aziende di Catania. Alla conferenza partecipava tra gli altri anche l'Ambasciatore italiano in Albania, Mario Bova. Dopo essere stati informati sull'ordine d'arresto, l'Ambasciatore e i rappresentanti della Guardia di Finanza Italiana in Albania si sono allontanati dalla Conferenza. L'imprenditrice Busi ha rilasciato una dichiarazione pubblica, nella quale affermava che si sarebbe presentata al tribunale di Catania il giorno dopo. Invece e' stata arrestata l'indomani dalla polizia Albanese mentre stava cercando di andare in Montenegro.
Se questo avvenimento sta creando notevoli problemi ai latitanti italiani che non vedono più l'Albania come un rifugio sicuro, andando quindi a spostare le proprie basi verso il Montenegro, c'e' anche il rovescio della medaglia, ovvero il fatto che 3 milioni di albanesi hanno visto crollare davanti ai loro occhi il mito della Coca Cola e quello dell'imprenditoria italiana. Ora c'e' quindi il rischio che, con Cristina Busi, si impersonifichino tutti gli investitori stranieri che intervengono in Albania e tra gli albanesi tira aria di sfiducia. Questo sconforto e' stato accelerato anche dal fatto che nello stesso tempo della notizia dell'arresto, il nuovo vice premier italiano, Gianfranco Fini, ha dichiarato che se non viene fermato il flusso degli scafisti, l'Italia bloccherà i rapporti diplomatici con l'Albania, e che solo due giorni dopo sono stati espulsi 60 immigranti clandestini albanesi residenti in Italia. E' risaputo che le rimesse degli emigranti e purtroppo anche i traffici illeciti sono le maggiori voci di entrata dell'economia nazionale, per cui gli albanesi vivono con una certa apprensione il nuovo corso delle vicende italiane.

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15/06/2001 -  Anonymous User

Come riporta l'Ansa, l'associazione Ya Basta di Trieste ha contestato la decisione delle autorità slovene di blindare le frontiere con l'Italia per evitare contestazioni al presidente degli Stati Uniti, George Bush, che sabato a Ljubljana si incontrerà con il presidente russo Vladimir Putin. Sabato mattina da Trieste è infatti prevista la partenza di numerosi manifestanti italiani, che parteciperanno al "Festival of resistance", una giornata di mobilitazione e spettacolo organizzato da una rete transnazionale di associazioni (slovene, austriache, italiane e croate). Come commenta una nota dell'associazione:" l' iniziativa ha carattere assolutamente pacifico ed è la prima tappa di un percorso che ci porterà a luglio a partecipare assieme alla mobilitazione contro il G8 di Genova".

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15/06/2001 -  Anonymous User

L'Associazione Guido Puletti, con il patrocinio del Comune di Brescia, organizza sabato 16 giugno ore 18.00, presso la Sala Piamarta, via San Faustino 70, Brescia, un incontro dal titolo: "L'eccidio dei tre volontari italiani e i crimini di guerra in Bosnia. Tra memoria, ricerca della verità e giustizia". Interverranno all'incontro: Paolo Corsini, sindaco di Brescia; Esad Hecimovic, redattore del settimanale bosniaco Dani; Ilario Salucci, Associazione Guido Puletti.
L'evento intende commemorare l'uccisione di Guido Puletti, Fabio Moreno, Sergio Lana, uccisi in Bosnia il 29 maggio 1993. Il processo ai responsabili dell'uccisione dei tre volontari è tuttora in corso.


» Fonte: © Associazione Guido Puletti

Il panico a Skopje

13/06/2001 -  Anonymous User

Come probabile conseguenza alla dichiarazione dell'Esercito di Liberazione Nazionale circa la possibilità di poter colpire la città, anche tra gli abitanti di Skopje iniziano i primi sintomi di una psicosi da guerra imminente.
In questo momento la cosa più ricercata nella capitale macedone sembra essere la benzina, ai distributori si attende oltre un'ora. I benzinai riferiscono che una situazione simile è accaduta due anni fa, quando ci sono stati i bombardamenti della NATO sulla Jugolsavia.
Nonostante i commercianti cerchino di tranquillizzare i cittadini di Skopje circa la non scarsità dei generi, i cittadini della capitale orientano i loro acquisti su grandi quantità di zucchero, farina, olio, scatolame e medicine.

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12/06/2001 -  Anonymous User

L'Osservatorio sui Balcani pubblica oggi due approfondimenti sulle malversazioni nei Balcani. Si tratta di un'inchiesta di Lino Veljak, corrispondente da Zagabria per l'Osservatorio, nel quale viene focalizzata la polemica scatenata dal settimanale di Zagabria "Nacional" circa le collusioni da parte del presidente montenegrino Milo Djukanovic e la malavita balcanica. La conclusione critica di Velijak mira infine a porre l'accento sul futuro degli interi Balcani e sui giochi internazionali. L'altro approfondimento è, invece, un lungo articolo del ricercatore Emilio Cocco, riguardante la gestione delle privatizzazioni in Croazia. In particolare, viene fatto cenno al più che probabile acquisto della Zagrebacka Banka da parte del consorzio italo-tedesco Unicredito-Allianz, inoltre, e più estesamente, vengono analizzate le dubbie operazioni dei magnati dell'economia croata durante il processo di privatizzazione in relazione alle difficoltà della coalizione di centro sinistra, attualmente al governo, nel gestire la difficile eredità della gestione di Tudjman e del suo partito (HDZ).

» Approfondimento: © Il caso "Nacional"

» Approfondimento: © "La rapina del secolo"