La grave crisi politica che ha recentemente investito il Kosovo è stata risolta al di fuori delle istituzioni elette democraticamente. Ma quale allora il ruolo del Parlamento nella vita politica kosovara? Un commento

03/12/2014 -  Andrea Lorenzo Capussela

I problemi del sistema di governance del Kosovo sono, e sono sempre stati, ben evidenti anche perché non possono essere nascosti. E’ chiaro, in particolare, che il Parlamento conta molto poco nel sistema istituzionale kosovaro. Questo è quanto testimoniato da due dichiarazioni ufficiali della Presidente stessa del paese. Può sembrare sorprendente che un presidente muova accuse simili alla qualità della democrazia del paese che rappresenta, che sarebbe suo dovere proteggere, ma questo è esattamente quello che è successo in due occasioni pubbliche da parte della Presidente Atifete Jahjaga.

Una prima dichiarazione è stata rilasciata il 19 novembre scorso, per annunciare che era stata trovata una soluzione politica alla crisi kosovara. Secondo le parole della Presidente Jahjaga, Hashim Thaçi e Isa Mustafa, si sono incontrati “nell’ufficio del Presidente” per “un accordo in via di principio circa la creazione di una coalizione di partiti (ovvero il PDK e il LDK, ndr) per la formazione del governo”, e che l’ambasciatore degli Stati uniti ha partecipato all’incontro “su invito del Presidente Jahjaga”.

In una seconda dichiarazione, resa il 25 novembre, si diceva che Thaçi e Mustafa si erano incontrati una seconda volta “nell’ufficio del Presidente” e l’avevamo informata che i due partiti, il PDK e il LDK, “si dicevano pronti a convocare per l'8 dicembre 2014 una seduta del Parlamento kosovaro per eleggere gli organi parlamentari e votare il governo e il programma di governo”.

Dal latino parlo

In inglese, francese, tedesco, italiano e spagnolo, le parole usate per indicare l'organo legislativo di uno stato - parliament, parlement, parlamento, parlament, parlamento, rispettivamente - hanno tutte la stessa origine: derivano dal verbo tardo-latino parlo, che significa “parlare” (in latino classico loqui). Il parlamento non è dunque soltanto un’assemblea dove i rappresentanti eletti dei cittadini sono chiamati a votare: ma è un’assemblea dove essi sono chiamati a “parlare”. E il dibattito è pubblico in modo che gli elettori possano assistere al modo i cui i propri rappresentanti si comportano rispetto alla res pubblica, letteralmente la cosa pubblica, e agli "affari pubblici", ovvero lo “stato”, e, su questa base, giudicare la loro performance. Per cui il dibattito trasparente sugli affari e la cosa pubblica è elemento essenziale della democrazia, e una condizione necessaria per la verifica dell'azione politica da parte dei cittadini.

Nonostante questo, la più grave crisi politica che ha investito il Kosovo è stata risolta in incontri non pubblici. Le elezioni parlamentari si sono tenute l’8 giugno scorso. Il Parlamento non ha ancora completato la sua sessione “inaugurale”, e solo due tentativi sono stati fatti per avviare la legislatura. Per cui non c'è traccia, nei procedimenti parlamentari, della più grave crisi politica del paese. Inoltre, l’8 dicembre il Parlamento kosovaro dovrebbe sia eleggere il suo presidente sia votare per il governo e dunque il programma di governo per i prossimi quattro anni. L'accordo raggiunto tra i partiti nell'ufficio del Presidente significa che il Parlamento kosovaro dovrebbe (presumibilmente) dare il via all’insediamento del governo e leggere, discutere e votare il programma di governo senza alcun significativo dibattito e nel giro di poche ore.

Qual è, dunque, il vero ruolo del Parlamento nel sistema politico kosovaro? E la risposta è: votare le decisioni che sono già state prese. La vera vita politica in Kosovo avviene e prende forma fuori dal sistema istituzionale - incluso l’ufficio del Presidente - e riemerge nell’assemblea legislativa soltanto quando la questione in gioco richiede una ratifica formale. Mettiamo a confronto questo caso con quello del Parlamento inglese che ha, per esempio, negato al governo l’autorizzazione ad intervenire in Siria. Qual è, dunque, l'importanza di avere dei parlamentari eletti? Perché, allora, ci si sorprende del fatto che l’affluenza elettorale è bassa e in declino?

Fuori dai canali formali

Il coinvolgimento diretto di un diplomatico straniero – un'umiliazione maggiore della sovranità del Kosovo che non le parole volgari che ha recentemente indirizzato la Presidente ai leader politici kosovari o, ad esempio, di qualsiasi gioco di protocollo fatto dai serbi su bandiere o insegne – è un problema secondario. Ciò che è rilevante è che ai cittadini del Kosovo non si sia detto perché la crisi si è risolta, che accordo è stato fatto e chi l'ha proposto a chi. Se la crisi è stata risolta da Thaçi o Mustafa, dal Presidente o dall'ambasciatore, o da loro tutti assieme, può essere oggetto di contesa: è certo però che la crisi non è stata risolta in un dibattito alla luce del sole tra i rappresentanti legittimamente eletti dai cittadini.

Infine due note sul candore della Presidente Jahjaga. Che il Parlamento sia un'istituzione al cuore di un sistema democratico non è parte delle esperienze del suo bagaglio personale, anche perché lei stessa è stata scelta da un ambasciatore Usa e non dal Parlamento kosovaro. Ed è così immersa in un sistema politico in cui le regole formali – e l'incarnazione formale del potere legislativo – contano così poco che non si è nemmeno resa conto che le sue dichiarazioni pubbliche tradivano queste distorsioni: lei, prodotto di questo sistema, le trovava normali.

Allo stesso modo l'invito all'ambasciatore Usa a quell'incontro cruciale tradisce la sua vera lealtà. Assumiamo che sia vero, come affermano i circoli ufficiali e diplomatici, che l'ambasciatore Usa non ha giocato alcun ruolo nel negoziare l'accordo che ha risolto la crisi: in ogni caso, che sia stato invitato, dimostra, perlomeno, che l'attuale Presidente del Kosovo e il futuro Primo ministro lo ritenessero necessario per certificare il loro accordo, avvenuto sotto gli occhi del rappresentante di Washington. Questo avviene perché questi politici non si fidano l'uno dell'altro o non si fidano delle regole formali all'interno delle quali operano: quindi fanno ricorso ad un'istanza superiore per garantire validità ed effettività all'accordo.

Quest'accordo può avere ricomposto il patto tra élite sotto il quale il Kosovo è stato governato negli ultimi anni. Ciononostante il sistema di governance che riflette, e che tenta di preservare, ne è stato forse indebolito: la crisi non è passata senza che questa élite abbia subito dei danni.

La costruzione dello stato in Kosovo è stata una questione “dall'alto in basso”, anche perché quelli “in basso” erano in particolare interessati alla questione dell'indipendenza. Quelli “sopra” - l'élite e i suoi interlocutori internazionali – hanno rapidamente messo in piedi le istituzioni, senza consultare la società ed altrettanto rapidamente le hanno svuotate del loro contenuto politico, come questa crisi ha ampiamente dimostrato. Spetta ora a quelli “sotto” trasformare queste istituzioni in veri strumenti di sovranità politica. E dato che il vuoto delle istituzioni politiche luccica ormai al sole, è più probabile che ora rispetto al passato una reazione avvenga. La legislatura che si è avviata in modo così incerto, potrebbe dunque portare con sé delle sorprese.


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