Minoranze

La questione del bilinguismo in Istria e i rapporti con la Croazia

02/07/2001 -  Anonymous User

Il bilinguismo che caratterizzava i ceti borghesi di Zagabria e Osijek, dove le nonne parlavano regolarmente con i nipoti in tedesco, è praticamente scomparso. Ma in Croazia è storicamente presente, e molto vivace, anche un altro bilinguismo: il bilinguismo croato-italiano, nelle regioni dell'Adriatico settentrionale (Istria e Quarnaro). Si tratta di un fenomeno numericamente più vasto dell'entità della comunità italiana: quest'ultima, nel censimento del 1991, conta poco più di ventimila abitanti (i risultati del nuovo censimento saranno pubblicati in autunno); da una ricerca effettuata nel 1996 dal docente di Sociologia dell'Università di Fiume Boris Banovac, risulta che il 7% della popolazione istriana si definisce etnicamente italiana, il 65% si sente croata e circa il 20% si definisce istriana o croato- istriana e sceglie, dunque, un'identità regionale.
In Istria e Quarnaro il bilinguismo è quasi totale.
Nell'ex-Jugoslavia, specialmente nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale, c'era una forte pressione sulla minoranza italiana, il cui esito evidente fu l'esodo della maggior parte del gruppo etnico italiano, tra il 1948 e il 1955. Il bilinguismo era emarginato, ma questa operazione non ha avuto successo: Istria e Quarnaro hanno infatti mantenuto carattere bilingue (a differenza di Fiume, dove a seguito della vasta immigrazione il bilinguismo si è perso). Negli anni Settanta e Ottanta non si sono infine più registrati tentativi di emarginazione o abolizione.
Negli anni Novanta, nel periodo della Croazia indipendente governata dall'HDZ (Unione Democratica Croata), in Istria e Quarnaro c'è stato il rifiuto dell'omogeneizzazione nazionale croata: il numero dei voti per l'HDZ corrispondeva più o meno al numero degli immigrati di nazionalità croata. Ma neanche altri partiti con l'aggettivo 'croato' nella denominazione hanno ottenuto un successo di rilievo. L'IDS (Dieta Democratica Istriana), diventato un movimento regionalista, con mutati orientamenti politici e ideali (il presidente Ivan Jakovcic nel 1994 ha definito la linea politica del partito come democratico-cristiana, provocando molti dissensi, specialmente tra coloro che percepivano la propria collocazione a sinistra), deteneva il monopolio quasi assoluto nelle città e nei comuni istriani, così come nella parte quarnerina (Liburnia e isole apsartide) della Contea di Fiume (Contea litorale-goraniana). Molte assemblee comunali erano monopartitiche. Le giunte locali hanno introdotto il bilinguismo ufficiale nelle città dove era presente una minoranza italiana. L'Istria, in termini di popolazione e di strutture politiche dominanti, stava diventando per questo oggetto di attacchi durissimi da parte dell'HDZ (accuse di separatismo, irredentismo, e così via), ma l'IDS ha trovato tra i partiti croati d'opposizione alcuni alleati, in primo luogo l'HSS (Partito Contadino della Croazia), l'HNS (Partito Popolare Croato) e il LS ( Partito Liberale), ed è così diventata nel 2000 una delle componenti della nuova coalizione governativa.
Partecipando al potere centrale, l'IDS si è assunta la responsabilità per l'impotenza (o la lentezza) del nuovo governo, riguardo al superamento della crisi sociale ed economica e, più in generale, riguardo alla mancata modernizzazione del paese e abolizione dell'eredità negativa del periodo precedente. Nel periodo del governo HDZ era relativamente semplice ottenere l'appoggio dell'elettorato: era impossibile per l'autogoverno locale cambiare qualcosa di sostanziale perché tutto (o quasi tutto) dipendeva dalle autorità centrali. Dopo il 3 gennaio (data del crollo dell'HDZ), la situazione è cambiata, ma nella vita quotidiana non c'è traccia di superamento del passato. D'altra parte, alcuni casi di corruzione a livello locale (in primo luogo, il caso Quaranta a Pola) hanno aggravato la posizione dell'IDS. Forse proprio questo spiega non soltanto la decisione dell'IDS di passare all'opposizione, ma anche la decisione di approvare uno Statuto regionale istriano, che producesse dissensi a livello nazionale e mostrasse il vero stato d'animo dominante nel resto del paese. L'intento dell'IDS, con questa mossa, era quello di suscitare appoggio per il partito in difficoltà.
Uno tra gli elementi problematici nello Statuto istriano (su cui si attende la decisione della Corte Costituzionale) riguarda il bilinguismo ufficiale. Secondo lo Statuto, la lingua croata ed italiana sono definite lingue ufficiali, equiparate a livello regionale. Questo significherebbe che l'amministrazione pubblica dovrebbe svolgersi obbligatoriamente in entrambe le lingue. Chi non fosse in grado di scrivere un atto pubblico in italiano, non sarebbe quindi più idoneo a svolgere un servizio pubblico. La verità è che questo colpirebbe soltanto pochissimo personale amministrativo o più precisamente soltanto i nuovi immigrati. C'é un documentario famoso dagli anni Ottanta circolato a Degnano, presso Pola, con il titolo (anche in versione croata!) "Buon giorno, Mujo!" (Mujo è un tipico nome musulmano bosniaco, derivato da Muhamed). Questo mostra che anche gli immigrati bosniaci, macedoni, albanesi, ecc. sono nel corso degli anni diventati bilingue. Una dalle conseguenze dello Statuto sarebbe l'obbligo per la maggioranza croata di imparare l'italiano (attualmente non c'e nessun obbligo e vige la prassi di conoscere o imparare la lingua italiana, non tanto per ragioni di convivenza o intercultura, ma per i contatti commerciali, turistici e professionali (spesso per il lavoro nero oltre frontiera, a Trieste e in Friuli). Anche gli analisti molto favorevoli al regionalismo istriano, come lo scienziato politico Damir Grubisa (Novi list dell'8 giugno) sostengono che l'obbligo sarebbe contestabile. Secondo un funzionario istriano dell'SDP (Partito Social Democratico), Livio Bolkovic, l'applicazione dello Statuto produrrebbe diseguaglianza e discriminazione linguistica tra coloro che soni bilingue e coloro che parlano soltanto croato (in Istria non ci sono italiani, eccetto alcuni anziani, che non siano impadroniti della lingua croata).
Il vertice dell'IDS ha annunciato che nella seduta costituente dell'Assemblea istriana (dove, dopo le elezioni dal 20 maggio, l'IDS ha di nuovo la maggioranza assoluta) saranno precisati alcuni articoli dello Statuto, riguardanti proprio la questione della lingua ufficiale, secondo cui il bilinguismo ufficiale non sarà obbligatorio per le comunità senza minoranza italiana.
In ogni caso, l'intento provocatorio dell'IDS di mettere in luce lo stato d'animo dominante in Croazia ha avuto un successo enorme. Non soltanto la destra radicale (membri e funzionari dell'HDZ e partiti vicini), ma anche personaggi come il centrista Drazen Budisa (HSLS Partito Social Liberale) hanno dimostrato un livello altissimo d'intolleranza. Dice Budisa: "Noi non dobbiamo e non possiamo tollerare la de-croatizzazione dell'Istria. L'Istria non deve continuare ad essere un punto nevralgico del paese. Tutti insieme dobbiamo gridare: basta!" (Feral Tribune del 9 giugno; il cronista Ivica Djikic, che cita Budisa, interpreta la sua affermazione come espressione della paura che tramite il bilinguismo e la demilitarizzazione, l'IDS voglia cedere l'Istria ai "fascisti italiani". Nello stesso senso si esprime anche la presidentessa dell' HSLS in Istria, Jadranka Katarincic Skrlj, deputata in Sabor (Parlamento) grazie alla coalizione governativa, più che al sostegno elettorale istriano. Alcuni politici rilevanti croati non la pensano però così. Il presidente dell'LS e Sindaco di Osijek, Zlatko Kramaric, ha ripetutamente deplorato i metodi usati da Budisa (e anche dal presidente dell'HSS Zlatko Tomcic, ex-alleato dell'IDS) riguardo al bilinguismo e generalmente alla questione istriana. Ha poi dimostrato chiaramente il suo dissenso da Budisa anche Vesna Pusic, leader dell'HNS.
Il nuovo sindaco polese Luciano Delbianco, dissidente dall'IDS e Presidente del partito alternativo regionale IDF, sostiene che, benché non sia d'accordo con la formalizzazione del bilinguismo ufficiale tramite lo Statuto regionale, il bilinguismo è in Istria una cosa quasi naturale e che nessuno deve sentirsi minacciato se parla un'altra lingua. Un altro dissidente dell'IDS, Ivan Pauletta, fondatore storico del partito, pensa però che le vicende concernenti lo Statuto istriano mettano in evidenza un'ignoranza del pubblico politico ed intellettuale croato: secondo lui l'Istria non era italianizzata, ma slavizzata, così come la Dalmazia. La Croazia dovrebbe, secondo Pauletta, seguire alcuni esempi italiani: in Molise la lingua croata, parlata da 2500 persone, è legalmente definita una lingua protetta (intervista speciale sul Feral Tribune del 9 giugno). A Pauletta risponde nel numero seguente del Feral, Nela Rubic, dichiarando la sua approvazione dell'Istria bilingue ("L'Istria parla tutte le lingue, in Istria ciò è naturale e perciò ammirevole"), ma anche un dissenso rispetto al metodo con cui Pauletta legittimerebbe un primato linguistico.
Una reazione tipica arriva dalla caporedattrice del Glas Istre, Eni Ambrozic. Secondo lei le reazioni contro il bilinguismo istriano producono la diffusione d'una opinione maggioritaria in Istria molto sfavorevole a Zagabria, che non è in grado di capire la realtà istriana e di accoglierla. Eni Ambrozic ritiene che nulla sia cambiato nella posizione della maggioranza croata nei confronti dell'Istria, rispetto ai tempi dell'HDZ. Ma ci sono anche voci simili da parte di non-istriani. Due partiti croati (il LS e l'HNS già menzionati) hanno dimostrato che non condividono l'isterismo contro l'Istria in corso nel paese. Ma forse ancora più preziose sono le analisi fatte da alcuni intellettuali di rilievo. Oltre a Grubisa, già citato, vale non dimenticare Nenad Miscevic, filosofo fiumano (ex-professore a Zara, ora ordinario alla Università di Maribor, in Slovenia). Secondo Miscevic (Novi list, del 10 giugno), il problema del bilinguismo è da interpretare come assenza di volontà politica e culturale da parte della Croazia di seguire l'Istria nel processo di europeizzazione. Lo stesso atteggiamento che durante gli anni Ottanta la Jugoslavia aveva nei confronti della Slovenia è ora manifesto nell'atteggiamento della Croazia verso l'Istria. Il modello da seguire consisterebbe invece nell'esempio dell'Alto Adige. Senza una svolta in tale direzione, la Croazia sarebbe come la Romania rispetto al problema della Transilvania.
Ma chi rappresenta la Croazia maggioritaria riguardo al "problema istriano"? Budisa e Tomcic o Kramaric e Miscevic? Non ci sono ricerche empiriche valide. Ma sembra che la maggioranza croata sia assolutamente o quasi assolutamente indifferente e che l'isterismo di Budisa, così come l'europeismo di Miscevic, siano soltanto due opinioni minoritarie, la prima diffusa a misura del nazionalismo croato, la seconda a misura dell'affermazione del valore della multiculturalità nella società e nell'opinione pubblica croata. I futuri sviluppi dipendono dal tipo di contesto culturale, ideologico, politico e sociale che si costituirà nel paese nei prossimi anni.

I Rom tra Albanesi e Macedoni

30/06/2001 -  Anonymous User

Lo scontro tra le due principali comunità nazionali schiaccia, e quasi fa sparire, così come era accaduto già due anni fa in Kosovo, gli altri gruppi etnici presenti sul territorio. Tra questi i Rom. La loro presenza nella regione è antica e, preciso onde evitare equivoci e romanticismi nomadici, stanziale. Salvo ovviamente gli spostamenti legati a conflitti, persecuzioni e ricerca di lavoro. Le statistiche ufficiali non offrono dati attendibili sulla consistenza numerica di questo gruppo etnico.

Fonte: Nando Sigona © KATER;

Crisi in Macedonia: l'etnia non c'entra

28/06/2001 -  Anonymous User

Non sono conflitti etnici quelli che scuotono la Macedonia e l'Albania e che presto potrebbero lacerare il Montenegro. Sono conflitti politici ed economici. Uomini politici la cui identità etnica è posticcia legittimano politiche servili verso Fondo Monetario, Banca Mondiale e USA tramite appelli etnici. Cartelli multietnici si formano per il controllo dei flussi di risorse che traversano i Balcani, destinate ai mercati europei: i conflitti "etnici" servono solo per ampliarne lo spazio di manovra. Questi cartelli governano la transizione dei Balcani verso un'economia di mercato. Ne hanno già definito i contorni mediando i propri interessi con quelli dei poteri globali. Questi interessi si concentrano su alcuni nodi, quelli che permettono il controllo dei flussi di merci dall'Asia verso l'Europa.

Il "paraesercito macedone" intima agli albanesi di andarsene: ecco il comunicato

26/06/2001 -  Anonymous User

MACEDONIA PARAESERCITO 2000 ORDINA: Ordiniamo a tutti gli schipetari termine peggiorativo per albanese - N.d.T. che hanno oggetti in vendita-sono negozianti qui e intorno al mercato Kvantaski, di andarsene entro tre giorni, mentre per gli schipetari di Aracinovo il termine è di 24 ore. Dopo tale termine, tutti i negozi verranno bruciati e se qualcuno cercherà di proteggerli, verrà anch'egli ucciso senza preavviso. Informiamo gli schipetari della Repubblica di Macedonia che per ogni ufficiale di polizia o soldato ucciso, 100 schipetari che non hanno la cittadinanza o che hanno preso la cittadinanza dopo il 1994 verranno uccisi. Per ogni ufficiale di polizia o soldato reso disabile, verranno uccisi 50 schipetari. Per ogni ufficiale di polizia o soldato verranno uccisi 10 schipetari, senza tenere conto del loro genere o della loro età. Informiamo gli schipetari che non hanno la cittadinanza o la hanno ottenuta dopo il 1994 che devono abbandonare la Macedonia prima del 25 giugno di quest'anno, a mezzanotte. Dopo tale termine, cominceremo con la pulizia -- "La notte più lunga", offerta da Macedonia Paraesercito 2000. Ordiniamo a ogni macedone, turco, Roma, Torbes, Bosgnacco e agli altri di non effettuare compere nei negozi albanesi mentre la guerra è in corso, perché con tali azioni viene fornito direttamente supporto ai narcogangster terroristi schipetari. In caso contrario, tutti i negozi di coloro che commerciano con gli schipetari verranno bruciati. Ordiniamo a tutti di affiggere questo opuscolo sui propri negozi al fine di consentire un'informazione di massa. Le abitazioni che riceveranno questo opuscolo e non lo mostreranno in un luogo visibile saranno potenziali obiettivi, indipendentemente da chi sono i loro proprietari.
L'opuscolo recava un sigillo di gomma rossa con l'immagine di un leone e la scritta M P 2000 intorno al sigillo.

© HUMAN RIGHTS WATCH;

Articolo

25/06/2001 -  Anonymous User

In questi giorni a Bujanovac Jeton Ismail, corrispondente per Radio Deutsch Wella, ha aperto la prima radio privata in lingua albanese. Ismail crede inoltre che la collaborazione con i media in lingua serba sarà un ottima spinta verso la tolleranza reciproca. La radio inizierà col trasmettere brevi annunci informativi e musica.
Dopo due anni nelle edicole di Bujanovac arrivano anche i giornali dal Kosovo: Kosova sot, Koha Ditore, Bota sot, Rilindija, ed è aumentata la tiratura dei media locali che arrivano in questo comune plurinazionale, ma anche a Presevo e Veliki Trnovac, dove presso popolazione locale albanese negli ultimi mesi è aumentato l'interesse per la stampa in lingua serba che dedica ampio spazio alle attualità di questo territorio.A Bujanovac in breve tempo ci si aspetta che inizi a lavorare anche la televisione locale, per la quale il Governo serbo ha stanziato i mezzi.
Il programma verrà realizzato dall'equipe di Radio Bujanovac di cui fa parte pure il mensile locale "Bujanovicne novine".

La pressione internazionale riattiva il dialogo

22/06/2001 -  Anonymous User

Sono ripresi a fatica i colloqui tra i partiti macedoni e quelli albanesi, dopo la brusca interruzione causata dalle forti divergenze interne. La fugace visita di Solana a Skopje, sembra aver riaperto la possibilità di una speranza d'intesa tra le due parti in conflitto. Solana ha fatto sapere che ritornerà nel fine settimana a Skopje e che entro il prossimo lunedì dovranno esserci dei "risultati concreti".
Su informazioni dell'agenzia Sense, Solana ha informato il consiglio dei ministri degli esteri del Parlamento europeo, circa le possibilità di cambiamento della costituzione macedone. L'Alto rappresentante europeo ha detto che "Il sentimento tra gli appartenenti alla minoranza albanese della FYROM è quello di appartenenza a questo paese. Non desiderano essere cacciati, ma desiderano esserne parte. Per ciò è così importante considerare un cambio della Costituzione. In tutti le costituzioni della regione è mantenuta la filosofia dell'inizio degli anni '90. Il cambiamento dei preamboli della Costituzione è, in questo senso, la base perché lo stato sia non solo degli Slavi, ma formato anche dai cittadini albanesi". " Per questo - prosegue Solana - siamo così interessati al cambiamento della Costituzione, in modo che gli uni e gli altri possano sentirsi bene nel paese, ciò è particolarmente importante con una Costituzione che riconosca che gli elementi fondatori del paese, siano sia gli uni che gli altri e non solo gli uni" (Sense).
Tuttavia le pressioni internazionali non sono gradite al premier macedone Georgievski che ha detto di non poter accettare "pressioni dalla comunità internazionale per cedere alle richieste degli albanesi e non devono porci limiti di tempo perché sono in discussione questioni di eccezionale importanza" (Ansa). Georgievski si riferisce alla data entro la quale dovranno essere presentate le decisioni che usciranno dai colloqui di questi giorni, ovvero lunedì 25 giugno presso la riunione europea in Lussemburgo. Il leader del PDP (Partito per la prosperità democratica albanese) Imer Imeri ha fatto sapere che i colloqui riprenderanno dalle questioni meno difficili per poi proseguire sui punti dove c'è maggior divergenza (AP).
In questo bailamme generale di accuse reciproche, tra albanesi e macedoni, circa il fallimento dei negoziati, si fa sentire anche la voce della NATO, pronta per un intervento di breve durata e con una forza minima necessaria a garantire il disarmo dei guerriglieri, ma tuttavia in attesa di un esito positivo delle trattative. A proposito dell'incontro tra Powell e Robertson - scrive la Reuters - il segretario di stato americano ha dichiarato: "abbiamo parlato della Macedonia. Siamo speranzosi che il processo politico ripartirà velocemente e che avrà una spinta in avanti". Ma - ha aggiunto Powell - non abbiamo fatto il punto sulla partecipazione degli USA. Ci sono molti modi in cui possiamo contribuire" (Reuters, Ansa).
Nel frattempo alcuni scontri tra le forze macedoni e i guerriglieri albanesi si sono verificati la notte scorsa nei presi dei villaggi di Rasce e Radusa, quest'ultima localizzata tra Blace e Jezince, punto di attraversamento della frontiera verso il Kosovo, dove mercoledì sono transitate circa mille profughi. L'UNCHR fa sapere, inoltre, che il numero dei rifugiati macedoni è salito a circa 50.000 persone. Sembra che i macedoni si siano rifugiati in Serbia e in Kosovo, mentre gli abitanti albano-macedoni lasciano il paese per dirigersi in Turchia, in Albania o in altri paesi occidentali (Tanjug).

La prima fase delle trattative si conclude con un nulla di fatto

21/06/2001 -  Anonymous User

Le trattative in atto a Skopje tra i due partiti macedoni (VMRO-DPNE del premier Georgievski, il Partito socialdemocratico macedone di Cervenkovski) e i due albanesi (il Partito democratico albanese (PDA) di Xhaferri e il Partito per la prosperità democratica (PDP) di Imeri) hanno subito un arresto. Dopo sei giorni di consultazioni sotto le pressioni della comunità internazionale, il dialogo si è concluso con un nulla di fatto.
Da parte macedone si rimprovera ai partiti albanesi di essersi spinti troppo oltre nelle richieste, ovvero - secondo le parole di Trajkovski - il raggiungimento di "una federalizzazione e l'ambire ad uno stato con due nazionalità" (Politika). Inoltre è stata rifiutata la proposta, avanzata da parte albanese, di ottenere una forma di "democrazia consensuale", cioè un vicepresidente della repubblica, albanese, con diritto di veto e un ramo nuovo della camera parlamentare. Trajkovski ha infatti dichiarato che "la Macedonia non deve applicare il concetto della democrazia consensuale, perché in quel modo si approfondirebbero i conflitti interetnici e si bloccherebbe il sistema per l'emanazione delle decisioni politiche" (Politika).
Da parte albanese vengono smentite le ambizioni territoriali, ma si insiste invece sullo status di popolo costitutivo, sul riconoscimento della lingua e la scrittura in caratteri latini accanto alla lingua macedone in cirillico, e sulla figura di un vice presidente con diritto di veto.
Proverà oggi a Skopje l'Alto rappresentate europeo per la sicurezza, Javier Solana, accompagnato dall'inviato della NATO, Peter Feith, a mettere d'accordo le parti in conflitto. Solana deve cercare di far uscire un'intesa tra i partiti albanesi e quelli macedoni, di modo che la NATO possa intervenire, senza un mandato dell'ONU, dal momento che entrambe le parti richiederebbero l'intervento direttamente.
La NATO avrebbe già deciso di inviare un contingente di circa 3.000 uomini in Macedonia, tuttavia, come ha dichiarato il suo segretario generale, George Robertson, "non si tratta di un intervento armato, ma piuttosto di un offerta fatta dai paesi aderenti al Patto per prendere in consegna le armi e le uniformi di quei gruppi che si vogliono disarmare" (Finanacial Times).
L'intervento dovrà durare un mese e le truppe dovranno esser pronte nell'arco di una decina di giorni (probabilmente entro il 27 giugno, data per cui era previsto un colloquio con il premier macedone Georgievski a Bruxelles). La Gran Bretagna, la Spagna, la Francia, la Grecia, la Repubblica Ceca, la Norvegia e la Germania hanno annunciato di essere pronte ad inviare loro soldati per un contingente NATO già nominato Mfor, mentre gli USA fornirebbero il supporto logistico all'operazione (Politika, Finanacial Times). Secondo le parole di Colin Powell, sembra che gli USA stiano considerando di utilizzare alcune delle 700 truppe di supporto logistico già presenti in Macedonia, e ha concluso dicendo: "credo che siamo coinvolti militarmente, politicamente e diplomaticamente" (Finanacial Times).
Colin Powell, aveva nei giorni scorsi assicurato la lobby albanese americana che gli Stati Uniti continueranno a rimanere impegnati nello sforzo per un'equa soluzione della crisi macedone. La comunità albanese aveva, infatti, espresso preoccupazione per l'impegno russo alle operazioni di disarmo e sorveglianza della Macedonia. Il presidente del Consiglio nazionale americano albanese aveva dichiarato che "ogni volta che sentiamo nominare la Russia e i Balcani nella medesima frase ci rende nervosi" (Reuters, AFP).
Resta da vedere come si comporterà la comunità internazionale se dagli incontri diplomatici dei prossime giorni non uscirà un piano di soluzione che metta d'accordo i due schieramenti politici, albanesi e macedoni. Ci sarà comunque un intervento della NATO? e se sì, in che misura?

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21/06/2001 -  Anonymous User

"Le indagini dureranno molto tempo, ed io sono preoccupata per il destino della Hercegovacka Banka". Lo dice Toby Robinson - americana, direttrice temporanea dell'HB, imposta dall'Alto rappresentante Wolfgang Petrisch - in un'intervista rilasciata a Slobodna Bosna, il 14 giugno scorso.
Non possiamo ancora dimenticare gli incidenti alla Hercegovacka Banka
del 6 aprile scorso, quando
la signora Robinson dovette letteralmente fuggire dalla
banca, sotto le minacce e le pietre lanciate dagli
estremisti croati. In quell'occasione alcuni carabinieri italiani furono presi in ostaggio ed
alcuni di loro vennero gravemente feriti.

Dopo un periodo di silenzio, l'Alto rappresentante, con
l'aiuto dello SFOR, ha organizzato un'ulteriore incursione nella
Banka, riguadagnando il controllo della situazione E' da allora che
comincia il duro lavoro della signora Robinson, che
ha il compito di controllare la situazione nella banca e
scoprire tutti i conti irregolari.
La Robinson ha alle spalle una carriera analoga
nei Stati Uniti: "Per lungo tempo ho operato in
banche che avevano molti problemi, soprattutto in
Texas, negli anni Ottanta. Adesso vivo e lavoro tra
Sarajevo e Mostar. E' importante concludere questa fase di controllo
della contabilità il più presto possibile".

Riguardo alla collaborazione da parte degli impiegati della
Herzegovacka Banka di Mostar, la Robinson dichiara che, su 275, soltanto un paio le stanno
dando una mano, mentre gli altri sono occupati a garantire il funzionamento tecnico della banca.

I documenti da controllare sono 1,1 milione e l'operazione è soltanto all'inizio.
Una delle anomalie scoperte riguarda un
conto di 54 milioni di marchi tedeschi, denaro della Repubblica
croata. Considerando che il
capitale della Hercegovacka Banka è di 20 milioni di marchi
tedeschi, questo conto è sospettato essere una transazione illegale. E' prematuro dire se e quando vi sarà un procedimento legale.
Si tratta probabilmente di una delle ragioni per cui Petrisch ha ordinato di effettuare i controlli.

L'attuale problema è, poi, stabilire priorità nell'erogare il denaro. La
soluzione che si prospetta sembra essere quella di bloccare tutti i conti. La
Hercegovacka Banka, banca centrale della Bosnia Erzegovina, dispone infatti di 20 milioni
di marchi tedeschi: il Ministero delle Finanze ne chiede 17, al contempo il Fondo pensionati
ne chiede 14. A chi dare il denaro? Forse, una pensionata di Mostar ha bisogno davvero di poco, per sopravvivere.

Il "paraesercito macedone" intima agli albanesi di andarsene

20/06/2001 -  Anonymous User

Il "paraesercito macedone 2000", fino ad ora sconosciuto al pubblico, ha emesso un comunicato con il quale richiede che"tutti gli albanesi (shiptari) che hanno avuto la cittadinanza macedone nel 1994 devono lasciare il paese entro il 25 giugno 2001".
Nel comunicato dell'organizzazione, pubblicato dal giornale di Skopje "Vest", si dice che il "paraesercito macedone", inizierà la "pulizia dei loro villaggi" se gli albanesi non lasceranno il paese, e saranno risparmiati soltanto "quegli albanesi che prenderanno le distanze dai terroristi".
La minaccia è stata rivolta anche ai macedoni che hanno "avuto a che fare con alcuni albanesi", e al governo è stato richiesto di effettuare la revisione delle cittadinanze date agli albanesi in quell'anno, prima che vengano attivate tutte le "forze a disposizione e le armi sofisticate".
Il paraesercito macedone, come organizzazione cospirativa, è stato formato dieci anni fa da un gruppo di macedoni che erano al potere. Fra di loro c'era anche l'ex ministro degli affari interni Jordan Mijalkov, e ora dispongono di circa 2000 membri. Nell'organizzazione c'è anche un gran numero di appartenenti alle unità d'elite dell'esercito e della polizia, le "Tigri", i "Lupi" e gli "Scorpioni", si dice nel comunicato. Gli appartenenti al paraesercito sono anche, come dice sempre il comunicato, "pulitori a pagamento" che saranno attivati e che riceveranno uno stipendio mensile di diecimila marchi per la liberazione dai balisti albanesi che non hanno la cittadinanza oppure l'hanno ottenuta nel 1994. Questa organizzazione fino ad ora non si è mai fatta sentire. Nel 1994 la cittadinanza macedone è stata data, prima del censimento, come si scriveva sui media di Skopje, a circa 120.000 albanesi.

» Fonte: © Tanjug

Si dimette il Ministro degli Interni

20/06/2001 -  Anonymous User boskovski, ljuboten

Articolo

19/06/2001 -  Anonymous User

Si è svolto sabato scorso presso la sala Piamarta di Brescia, un'incontro organizzato dall'Associazione Guido Puletti dal titolo: "L'eccidio dei tre volontari italiani e i crimini di guerra in Bosnia. Tra memoria, ricerca della verità e giustizia".
L'incontro ha voluto commemorare la morte dei tre volontari bresciani, uccisi tra Gorni Vakuf e Travnik il 29 maggio del 1993, mentre il processo che si è recentemente aperto a Travnik è tuttora in corso.

I relatori della serata sono stati: il sindaco di Brescia, Paolo Corsini; Esad Hecimovic, redattore del settimanale bosniaco "Dani" e Ilario Salucci dell'Associazione Guido Puletti.
Non molto il pubblico presente in sala, onorato tuttavia dalla presenza di Paolo Di Giannantonio, giornalista della RAI.
Il sindaco Corsini - che personalmente ha seguito parte della vicenda giudiziaria relativa all'eccidio dei tre giovani di Brescia e che si è preso a cuore la battaglia condotta dalle associazioni nella difficile ricerca della verità - ha aperto la serata. "A Travnik e Sarajevo - dice il sindaco Brescia - ho avuto modo di vedere la tenacia di questa città nel non lasciarsi prendere dall'amnesia o dalla smemoratezza di ciò che è accaduto tempo fa". Inoltre grazie all'Associazione "ho avuto modo di avere una chiave di lettura di tutta la questione, mi sono reso conto, infatti, che non si trattava solo di un eccidio, ma piuttosto l'espressione di qualcosa che fa paura, un'azione della criminalità politica e militare, ovvero di qualcosa di più grave".
Queste parole vengono completate dalla competenza e dalla preparazione di Esad Hecimovic, che da anni si occupa dei crimini commessi in Bosnia. "Dal '97 mi sono occupato dei crimini commessi ai croati, sia civili che militari. Il problema è stato quando ho iniziato a scrivere di Paraga, allora sono iniziate le minacce". Paraga è il responsabile della morte dei tre volontari ed è anche una persona piuttosto influente nella città di Travnik e in buona parte della Bosnia. Nonostante il pericolo corso, Hecimovic è riuscito ad intervistare Paraga e secondo le sue parole "quella fu proprio la sua prima uscita in pubblico dal '93". Nella intervista, Paraga sostenne di non essere mai stato sul luogo dei fatti, mentre recentemente ha ammesso di essersi trovato sul luogo, ma di non aver commesso egli stesso l'omicidio e che erano stati i suoi soldati. "La cosa peggiore - aggiunge Hecimovic - è che la vittima deve difendersi dalle accuse di chi è accusato".
Ad Ilario Salucci spetta di fare il quadro sulla situazione italiana relativa al processo in corso. "8 anni fa i giornali descrissero i tre volontari come incoscienti, per aver partecipato come civili ad una guerra", ma si chiede Ilario forse che è "una cosa morire da civili e un'altra morire da militari?". Il fatto è che in questo processo manca tutta una documentazione essenziale, quella dell'ONU che era presente in loco". In conclusione Salucci avanza alcune domande: "perché il 31 maggio'93 era a tutti noto che il responsabile dell'eccidio fosse Paraga, mentre dopo nessuno ammise il fatto? Perché le autorità centrali non riconobbero l'eccidio come una decisione politica?". Anche le autorità italiane sembrano ostacolare il legittimo emergere della verità.
"Ma chi è in realtà questo Paraga?" chiede in sala il giornalista della RAI, Di Giannantonio. Il redattore di Dani risponde in modo modesto che "Paraga viene descritto come un contadino. Fu un comandante dei Berretti Verdi, ovvero l'esercito della difesa di Alija Izetbegovic. Questo gruppo nacque in seguito ad altre forze armate provenienti dall'SDA (il partito di Izetbegovic). All'inizio adottavano una serie di simboli islamici". Sono tuttora piuttosto influenti, "il Partito per la Bosnia e l'Erzegovina (SBiH) ha relazioni con alcuni di questi dei Berretti Verdi" e se Paraga non avesse avuto questo processo - continua Hecimovic - ora sarebbe sicuramente ai vertici della politica". Eppure "Paraga è un contadino che può permettersi uno dei migliori avvocati della BiH" avanza Di Giannantonio. In questo caso ci sono due risposte - dice il giornalista di Dani - "una è che il padre ha chiesto di persona a Sarajevo il miglior avvocato per suo figlio", ma è anche vero che "ci sono persone che durante la guerra si sono arricchite enormemente, persone che sono passate dall'SDA alla SBiH e che sono politicamente importanti". "In BiH c'è la stampa nazionale che vincola a scrivere solo sui crimini commessi dagli altri popoli, ma se scrivi sui crimini commessi dagli appartenenti al tuo popolo, allora su di te si riversano tutte le accuse". Inoltre "occorre sempre pensare alla situazione reale, ovvero collocarsi nella realtà di Gorni Vakuf, dove le frontiere etniche che c'erano durante la guerra sono ancora ben salde" "Io non credo - conclude Hecimovic - che esista un crimine di mio interesse nazionale e per questo motivo scrivo sui crimini commessi dal mio popolo".
Congedano l'incontro le parole dei responsabili dell'Associazione Guido Puletti, i quali affermano che "l'Associazione stessa continuerà a cercare il senso di queste morti aldilà del verdetto del processo", che con buone probabilità si concluderà con l'assoluzione del comandante Paraga.

La reazione macedone: incidenti a Bitola

07/06/2001 -  Anonymous User

Come probabile reazione all'uccisione, da parte dell'UCK, di cinque militari dell'esercito macedone, per tutta la notte scorsa si sono susseguiti gravi incidenti nella città di Bitola. Infatti, tre dei cinque soldati rimasti uccisi ieri erano di Bitola, una delle maggiori città della Macedonia meridionale, dove la presenza albanese è di circa il 10% dei complessivi 80.000 abitanti della città. Molti negozi di albanesi sono stati presi di mira da ripetuti attacchi, parecchi sono stati dati alle fiamme o colpiti alle vetrate, da parte di una folla di manifestanti macedoni. Anche l'abitazione del viceministro della sanità, Muharrem Nexhipi, è stata incendiata. Il viceministro ha detto all'Ansa che i poliziotti non sono intervenuti se non dopo le tre di notte, quando l'ondata di violenza iniziava a scemare.
Come riporta l'IWPR (su un commento di Sime Alusevski, giornalista del settimanale regionale Bitolski Vjesnik) altri incidenti a Bitola, considerata una delle città dove la convivenza tra albanesi e macedoni non ha mai incontrato difficoltà, si erano verificati durante la notte del 30 aprile scorso, a seguito dei funerali di quattro soldati dell'esercito macedone, originari della città. Anche allora i manifestanti distrussero le vetrine dei negozi dei proprietari albanesi, ricordando ad alcuni la "notte dei cristalli". La maggior parte degli esercizi colpiti dagli attacchi di violenza non è stata ancora riparata. Le assicurazioni stentano a stipulare contratti con proprietari albanesi, e solo alcuni sono stati rimborsati dopo gli incidenti.
Alcuni albanesi credono comunque che gli incidenti non siano opera degli abitanti macedoni di Bitola, piuttosto pensano si tratti di un'orchestrazione ad opera di gruppi politici macedoni con base a Skopje, altri addossano invece le responsabilità ai tifosi della squadra di calcio Ckembari. Uno dei militari uccisi ieri faceva, infatti, parte del Ckembari e, sempre secondo il giornalista Sime Alusevski, il fratello del militare ucciso, che lavora come taxista a Bitola, è riuscito ieri ad organizzare un gruppo di duecento taxi che hanno guidato attraverso il centro della città, suonando i clacson e sventolando manifesti anti-albanesi.
Questi continui scontri stanno esasperando la popolazione, che inizia seriamente a preoccuparsi per la propria incolumità e non sono pochi quelli che temono un accrescimento della violenza e delle provocazioni.
Il portavoce del governo, Antonio Milososki, ha dichiarato: ''A questo punto in Macedonia bisogna proclamare lo stato di guerra''. Una proposta apparentemente condivisa anche dal premier, Ljubco Georgievski, e invece finora respinta dal capo dello Stato Boris Trajkovski e da Branko Cernenkovski, ex primo ministro e leader dell'Unione socialdemocratica, importante formazione politica, membro della coalizione governativa in crescente conflitto con il partito del primoministro. (Ansa)
Sia il ministro dell'interno che quello della difesa si sono detti contrari alla proclamazione dello stato di guerra, promettendo "un'immediata e dura risposta delle forze di sicurezza contro i terroristi albanesi responsabili della strage di Tetovo".

Da parte occidentale, l'Alto rappresentate europeo per la politica estera e la sicurezza, Javier Solana, ha reagito negativamente alla proposta avanzata dal premier Georgievski affermando che: "ciò servirebbe solo ai terroristi e non favorirebbe la soluzione della crisi". Dello stesso parere è anche il presidente della UE, Anna Lindh, che durante un colloquio telefonico con Skopje, ha cercato di convincere il presidente Trajkovski e il ministro degli Esteri, Ilonka Mitreva, a trattenersi dal dichiarare lo stato di guerra "perché ciò favorirebbe l'aumento della violenza e fornirebbe una scusa alla continuazione delle azioni dei terroristi, così come l'uccisione di civili". (Sense)

Bosnia: la 'difesa' riunisce le etnie

22/05/2001 -  Anonymous User

Entro il 5 giugno prossimo, tutti i militari (circa 7.200) della cosiddetta componente croata dell'esercito federale, torneranno nelle file dell'Esercito. Questo è il risultato dell'accordo siglato il 16 maggio scorso, tra il Ministro della difesa federale - Mijo Anic - e il comandante della componente croata, Anto Mijo Jelic.

E' da ricordare che questa crisi militare in Bosnia dura già da due mesi e il suo inizio coincide con la proclamazione dell'Autonomia croata in Bosnia Erzegovina, avvenuta il 4 marzo scorso a Mostar. Il vertice politico del partito HDZ aveva condannato la nuova formazione governativa nata dopo le elezioni del novembre scorso, e quindi non si era nemmeno dimostrato pronto a riconoscere il nuovo Ministro della difesa Mijo Anic (essendo un croato non allineato all'HDZ).

Così, due mesi fa, la componente militare croata si era autosciolta e separata dall'esercito federale. A tutti i 7.200 soldati, nel frattempo mandati a casa, fu promessa una paga regolare di 500 DM al mese. Alcune caserme sono rimaste perciò vuote, mentre in altre i soldati e gli ufficiali hanno continuato a rispettare il comando federale (soprattutto nella regione della Bosanska Posavina). Ora, passati solo due mesi, l'Autonomia croata ha già cominciato a mostrare le sue falle. Allo stesso tempo l'HDZ, cominciando a temere le sanzioni paventate dalla comunità internazionale, si è preparato a negoziare con l'Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina, Wolfgang Petritsch, il quale nel frattempo aveva già sospeso Ante Jelavic - Presidente dell'HDZ bosniaco - da ogni incarico politico. Il 14 maggio si è saputo, con un certo scalpore, che il Ministero della difesa federale ha mosso una causa contro i politici dell'HDZ, Jelavic, Prce e Curcic. Ma due giorni dopo la situazione si è tranquillizzata con l'arrivo di un'altra notizia, sempre sorprendente: l'accordo si è raggiunto e la componente croata torna nelle fila dell'Esercito federale. "L'autonomia croata non poteva finanziare l'esercito croato fuoriuscito, perché economicamente fallita" scrive il giornale Nezavisne novine del 19 maggio scorso, citando una fonte anonima vicina al Ministero della difesa federale. Sembra che la componente militare croata fosse pronta a negoziare già da due settimane e che i tempi si siano accelerati in seguito alle tensioni nate nella caserma di Kiseljak dove, per motivi politici, i soldati croati si sarebbero scontrati tra di loro.

La versione croata sull'accordo risulta essere un po' diversa: il generale Jelic (Oslobodjenje, 18 maggio) dichiara che questo accordo firmato con Mijo Anic è espressione della volontà del popolo croato di risolvere i problemi in maniera pacifica e legale. "Con questo accordo la partecipazione della componente croata nell'esercito federale non sarà più messa in dubbio" ha detto Jelic. Ha dichiarato inoltre che tutti i 7.200 soldati della componente croata saranno registrati e torneranno nelle caserme entro venti giorni dalla firma degli accordi (quindi, entro il 5 giugno prossimo).

In questi due mesi Jelic aveva dichiarato di avere al suo comando 6.280 soldati. Lo SFOR però lo aveva smentito: le fotografie fatte dagli elicotteri di ricognizione delle Forze Internazionali di Stabilizzazione (presentate dal portavoce SFOR, Jurg Lehaman) hanno mostrato infatti un numero massimo di 2.500 soldati.

A differenza del generale Jelic, il presidente dell'HDZ Ante Jelavic dà una spiegazione un po' diversa. Ha infatti dichiarato (Dnevni Avaz, 18 maggio) che l'HDZ continuerà la sua lotta: "Per raggiungere il nostro obiettivo, che è quello di costruire una Bosnia Erzegovina sovrana e democratica in cui sia prevista l'uguaglianza costituzionale del popolo croato, continueremo a lottare con mezzi politici. Non aspettatevi da noi incidenti, violenze o azioni terroristiche". Il Ministro della difesa federale Mijo Anic pare soddisfatto, perché i suoi sforzi hanno dato buoni risultati. Secondo Anic (Dnevni Avaz, 19 maggio) i soldati croati torneranno nelle caserme anche prima della scadenza dei venti giorni. E nel frattempo, per non dimenticarsene, indosseranno nuovamente i contrassegni federali.

Croazia: la questione del bilinguismo incrina la coalizione di governo alla vigilia delle elezioni

18/05/2001 -  Anonymous User

Se la ricomposizione della coalizione governativa a seguito delleelezioni convocate per il 20 maggio prossimo, veniva considerata certa,
oggi si aggiungono note di dubbio legate alla polemica nata tra i partitidella maggioranza e l'IDS di Jakovcic.
La coalizione che oggi governa in Croazia vede tra le sue fila 6 partiti: l'SDP (Partito
Social Democratico) di Ivica Racan, l'HSLS (Partito Social Liberale), l'HNS (PartitoPopolare Croato),lo storico HSS (Partito Contadino della Croazia),
il LS (Partito Liberale) e l'IDS (Assemblea Democratica dell'Istria) di Ivan Jakovcic.
Sono proprio le insistenti spinte di quest'ultimo al riconoscimento della lingua italiana in Istria come seconda lingua ufficiale, ad aver creato
una frattura all'interno della coalizione.
A questo proposito va ricordato che il Ministro della giustizia Stjepan Ivanisevic aveva temporaneamente sospeso alcuni articoli dello Statuto istriano- tra i quali
quello sul bilinguismo - affinchè venissero discussi in sede di Corte Costituzionale.
L'IDS, che negli ultimi dieci anni era riuscito a mantenere la sua roccaforte politica in tutta l'Istria, ha reagito duramente alle decisioni
del ministro, dichiarando che l'attuale governo sta limitando libertà e dirittidelle minoranze al pari del passato regime di Tudjman.
Il Primo Ministro Ivica Racan ha giustificato la temporanea sospensione con il timore
che il riconoscimento del bilinguismo potesse "aprire il vaso di Pandora", e così incoraggiarele minoranze serba e ungherese a presentare le stesse richieste. Ma Jakovcic, unico rappresentante
dell'IDS a ricoprire un ministero (quello per l'integrazione europea) nel governo di Racan, ha dichiarato che "se la Corte Costituzionale
stabilirà che l'introduzione del bilinguismo è contraria alla Costituzione, io saròpronto a lasciare il governo".
Intanto alla campagna elettorale per le elezioni locali
i partiti di destra (HDZ - Unione Democratica Croata, HSP - Partito Comune Croato e l'HKDU) si presentano sotto
una coalizione denominata "Blocco nazionale".
Gli altri partiti maggiori - che fanno parte della coalizione governativa - si presentano con liste individuali o coalizioni minori, ma con un programma comune.
Tra le numerose liste presentate, la più singolare è forse quella di Donji Miholjac (Slavonia), che si è nominata Azione anarco-liberale e che nel suo programma
propone la liberalizzazione della produzione e dell'uso della marijuana.

Una costituzione provvisoria per il Kosovo

15/05/2001 -  Anonymous User

Sarebbe attesa a giorni la presentazione di un progetto costituzionale transitorio per il Kosovo. Lungi dall'affrontare il nodo spinoso del futuro status politico della regione, il capo della missione Onu - Hans Haekkerup - ha annunciato l'intenzione di trasferire progressivamente ad una istituzione autoctona le funzioni amministrative oggi assunte dalla comunità internazionale. Alla base del progetto di Haekkerup starebbe un'assemblea regionale eletta democraticamente e composta da circa 120 rappresentanti. Nel progetto sarebbero inoltre previste alcune norme di tutela per le minoranze: altri venti seggi sarebbero infatti riservati, di diritto, ai rappresentanti delle minoranze non albanesi della regione.