Parenti di famiglie partite per la Siria attendono il loro rientro all'aeroporto di Grozny (Rita Roytman/OC Media)

Parenti di famiglie partite per la Siria attendono il loro rientro all'aeroporto di Grozny (Rita Roytman/OC Media)

Quattro donne e otto bambini sono arrivati a Grozny la sera del 1 settembre dalla città irachena di Mosul. Rientravano dalla Siria dove erano al fianco dei mariti unitisi allo Stato Islamico, ed ora deceduti

13/09/2017 -  Aida Mirmaksumova

(Pubblicato originariamente da OC Media il 9 settembre 2017)

Sul volo proveniente da Mosul c'erano tre donne originarie dalla Russia ed una dal Kazakistan, tutte con bimbi piccoli tra gli otto mesi e i nove anni. Questo è stato il primo volo nel quale i rientranti comprendevano non solo bambini, ma anche adulti.

La cittadina russa Iman Muzayeva ha 25 anni. E' nata e cresciuta in Kazakistan, ma cinque anni fa si è sposata in Cecenia. Iman si è recata in Iraq con il marito e il figlio nel 2014. Sua madre, Roza Anayeva, ha dichiarato a OC Media che dopo il matrimonio sua figlia ha cominciato ad indossare l'hijab. Due anni dopo la partenza per l'Iraq, Iman, suo marito e il figlio di un anno sono andati in Siria.

In Siria, Iman e suo marito hanno avuto altri due figli. Lei avrebbe voluto tornare a casa, ma il marito non glielo ha permesso e le ha bruciato i documenti. Dopo la morte di suo marito, si è ritrovata in un campo nella città irachena di Tal Afar.

Un campo per le famiglie dei militanti morti

"Siamo quasi sempre rimaste in contatto. Ma un anno fa, il marito di Iman è morto, lei è stata trasferita in qualche campo e le comunicazione tra di noi sono terminate. Il 14 maggio, lei ha ripreso i contatti chiedendomi di portarla via da lì. Abbiamo immediatamente cominciato a mandare richieste a Mosca, al ministero degli Esteri, ai consoli e a Ramzan Kadyrov. Iman ha detto che non c'erano altre famiglie cecene nel campo con lei. Ma c'erano altre donne: kazake, uzbeche, tagiche", ha dichiarato sua madre Roza.

Iman ha poi dichiarato a OC Media che il campo dove era trattenuta era progettato per le vedove e i bambini dei militanti uccisi, cui era impedito di comunicare con chiunque. Era proibito anche lasciare il campo. "Ci seguivano, ci controllavano i telefoni", ha raccontato Iman.

Per le altre due donne, giunte dalla Siria, sarà l'ufficio del Commissario per i diritti dei bambini russo ad occuparsi di valutare la situazione dei figli. La figlia di Yulia di Nizhnevartovsk e il figlio di una giovane donna di Tver, che ha rifiutato di dire il suo nome, saranno visitati a Mosca.

La seconda non vuole parlare con i giornalisti e nasconde la sua faccia dalle telecamere. "La mia anziana madre sta aspettando a casa. Non sa cosa mi è successo", ha dichiarato.

La quarta donna che è arrivata dalla Siria è Gulshat, una cittadina del Kazakistan. Lei e i suoi tre figli sono stati raggiunti a Mosca da rappresentanti dell'Ambasciata kazaka a Mosca.

'Mamma, non chiedere'

I parenti di molte persone che non sono ancora tornate dalla Siria e dall'Iraq sono venuti comunque in aeroporto. Appena cominciata la conferenza stampa, le donne hanno immediatamente circondato Ziyad Sabsabi, vice-presidente del Comitato federale per gli affari esteri della Repubblica Cecena. Quest'ultimo è direttamente coinvolto nelle operazioni di salvataggio, ragione per cui le donne hanno provato a scoprire se lui sapesse qualcosa sulla sorte dei loro figli o nipoti.

Medni Abubakarova è una di queste donne. Sua figlia Tamila ha lasciato la Francia per la Siria tre anni fa con suo marito e due bambini. L'anno scorso, il marito di Tamila è stato ucciso. Tre mesi dopo la sua morte, lei ha dato alla luce un terzo bambino.

"Non mi ha mai detto di voler tornare a casa. Quando suo marito è stato ucciso lei ha detto che le sue ultime parole sono state 'non andar via'. Io le chiedevo ancora quando sarebbe tornata e un giorno mi ha scritto: 'Mamma, non chiedere. I nostri fratelli musulmani leggono questi messaggi e non li gradiscono' ", ricorda la madre addolorata.

Anche i genitori del marito di Tamila stanno aspettando la nuora e i nipoti. Hanno una casa pronta per loro in Cecenia. Ma sono passati ormai sei mesi dall'ultimo contatto di Tamila: il suo destino ora è sconosciuto.

Gulya Kazbekova è venuta all'aeroporto per cercare sua figlia di 22 anni, che è partita dal Daghestan per Mosul un anno e mezzo fa. Stando a Gulya, sua figlia, come molte altre, ha messo l'hijab dopo il matrimonio ed è partita, nonostante il rischio di un aborto, mentre era al quinto mese di gravidanza.

"Mia figlia e mio genero sono sempre rimasti in contatto. A Mosul ha partorito e ha postato le foto del bambino. Ha detto che stavano tutti bene. Non so, forse suo marito la stava controllando. E a febbraio, il nostro contatto si è interrotto. Ora da sei mesi, non so dove siano e che cosa stiano facendo", ha dichiarato Gulya Kazbekova.

Russi in Siria

E' difficile dire esattamente quanti russi siano andati a combattere in Siria. A giugno di quest'anno, Dmitry Feoktistov - vice-direttore del Dipartimento per le nuove sfide e minacce del ministero degli Esteri russo - ha dichiarato recentemente a New York che dall'inizio del 2017 cinque sono le persone partite per la Siria.

Ad aprile, il Segretario del Consiglio di Sicurezza della Russia, Nikolai Patrushev, ha detto che circa 2700 persone dal Nord Caucaso si sono unite allo Stato Islamico.

Secondo Anna Kuznetsova, il Commissario presidenziale per i Diritti dei Bambini, circa 350 bambini dalla Cecenia e dal Daghestan sono stati portati dai loro genitori in Siria o in Iraq. "Ci sono più di 200 nomi nella lista di bambini dal Daghestan e questi sono solo i dati ufficiali", ha affermato la Kuznetsova.

Il 25 agosto scorso un aereo è atterrato a Grozny portando cinque bambini daghestani da Mosul. Dopo aver appreso questa notizia, alcuni daghestani si sono rivolti agli attivisti per i diritti umani della Cecenia per avere dell'aiuto per riportare a casa i propri cari.

Il primo settembre scorso Anna Kuznetsova ha annunciato che un database unificato sarà creato per monitorare tutti i bambini originari della Russia che sono stati portati nel Medio Oriente da genitori che si sono uniti a gruppi terroristici.

Una difficile strada verso casa

Secondo un membro del Consiglio per i Diritti Umani della Cecenia, Kheda Saratova, gli attivisti per i diritti umani del luogo ricevono frequenti richieste d'aiuto per trovare parenti in Siria e Iraq da molte regioni della Russia: Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balcaria e da alcune città russe come Soci, Mosca, San Pietroburgo e Penza. Essa afferma che la lista delle persone che stanno cercando ne include 148, delle quali 60 sono bambini. Tali liste sono inviate al consolato russo in Iraq e al vice-Presidente del Comitato per gli Affari Esteri, Ziyad Sabsabi.

Saratova ha detto a OC Media che un grande numero di appelli al Consiglio per i Diritti Umani è arrivato dopo il ritorno di cinque bambini daghestani.

"Questi bambini hanno bisogno di aiuto. Non sono da colpevolizzare per il fatto di essere stati gettati laggiù, per il fatto che i loro genitori siano stati così folli. Molti dei genitori pensano solo a diventare martiri e non si interessano di ciò che accade alle loro famiglie e ai loro bambini", ha dichiarato Kheda Saratova.

A suo dire, il Consiglio è in costante contatto con i parenti di coloro che sono ancora in Siria o in Iraq e quando i parenti ricevono notizie dai loro figli, immediatamente le condividono con gli attivisti per i diritti umani.

"Una giovane donna recentemente ha mandato un messaggio audio a suo padre: 'Prega per noi, oggi partiremo per il prossimo mondo'. Sembra che siano stati bombardati, perché si può sentire come tutti quanti gridino. E recentemente un daghestano mi si è rivolto: 'Kheda, aiutami. Ci stanno bombardando. Ho due ragazzine con me' ", ha raccontato.

Kheda Saratova fa notare che è più facile aiutare una volta che le persone si sono messe in contatto con loro, dal momento che non c'è più bisogno di ricercarli. Ma riguardo a molti altri, non si sa nulla. In aggiunta, la ricerca è anche complicata dalle condizioni nella regione.

"La maggior difficoltà è che dobbiamo lavorare in zone di conflitto. In più, solamente due persone sono attive nelle ricerche: Ziyad Sabsabi e il console russo a Erbil, Yevgeny Arzhantsev. Sebbene, a mio giudizio, tutte le repubbliche dovrebbero impegnarsi in ciò. Se avessimo lavorato insieme e ci fossimo coordinati, il risultato sarebbe stato ad oggi migliore", ha concluso.


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