A Belgrado l’edificio che ospitò uno dei primi campi di concentramento nazisti in Europa orientale rischia di essere raso al suolo. Al suo posto sorgerà un centro commerciale. Ma un gruppo di cittadini decide di protestare, impartendo una "lezione di storia" alle autorità

17/06/2013 -  Federico Sicurella Belgrado

“In questo luogo, dall’agosto al dicembre del 1942, si trovava un campo di concentramento nazista per ebrei e rom di Belgrado e del Banato. Furono tutti dichiarati prigionieri, e da qui ogni giorno a centinaia vennero trasportati altrove per essere fucilati”. La targa di bronzo che reca questa iscrizione si trova sul muro di un edificio fatiscente - sottratto alla vista dai cespugli e dai cartelloni pubblicitari - situato nel quartiere di Voždovac, appena fuori dal centro di Belgrado. Conosciuto con il nome di “Topovske Šupe” (cioè “bocche di cannone”, poiché antica sede di una caserma), l’edificio ospitò uno dei primi campi di concentramento sorti in Europa orientale durante l’occupazione nazista.

Nel giro di qualche mese, Topovske Šupe verrà molto probabilmente raso al suolo. Il terreno su cui sorge l’ex campo di concentramento è infatti proprietà del più grosso gruppo privato serbo, Delta Holding, che intende demolire i ruderi dell’ex lager per costruire un imponente centro commerciale. Come recita la brochure del progetto, il “Delta Planeta” è progettato per essere il più grande shopping mall della regione (avrà una superficie di 200.000 m2) e attirare clienti non solo da Belgrado, ma dall’intera Serbia, e persino dagli altri paesi balcanici. L’investimento complessivo è di 200 milioni di euro. Il cantiere dovrebbe essere inaugurato l’anno prossimo e si prevede che i lavori giungano al termine entro la fine del 2015.

I rappresentanti di Delta Holding hanno assicurato che la memoria di Topovske Šupe non verrà cancellata, e che anzi troverà una "dignitosa collocazione" nel contesto della nuova costruzione. Ma a Belgrado in molti ritengono questa soluzione indegna e

Topovske Šupe

irrispettosa del valore storico e culturale di quel luogo. E così, il 2 giugno, una cinquantina di persone si sono radunate a Topovske Šupe per esprimere il proprio dissenso e ravvivare la memoria di quel luogo. E lo hanno fatto tenendo un “Čas istorije”, cioè una lezione di storia.

La storia di Topovske Šupe

Durante la Seconda guerra mondiale, numerose province del Regno di Jugoslavia - corrispondenti all’attuale territorio della Repubblica di Serbia - furono occupate dalle potenze dell’Asse. Gran parte dei territori occupati fu immediatamente posta sotto la diretta amministrazione militare tedesca, mentre alcune aree di confine furono annesse dai paesi alleati della Germania nazista (lo Stato Indipendente di Croazia, l’Ungheria, la Bulgaria e l’Italia).

La persecuzione degli ebrei e dei rom da parte degli occupanti iniziò già nel 1941, con i massacri di Draginac e Loznica e la costruzione dei primi campi di concentramento. Pochi mesi dopo, 3.000 persone vennero uccise nella strage di Kragujevac, e altrettante furono le vittime dell’eccidio degli ebrei della Vojvodina (all’epoca sotto il dominio ungherese) raccontato nel libro I giorni freddi di Novi Sad. Solo nel primo anno di occupazione vennero sterminati circa 16.000 ebrei, di cui molti nel famigerato lager di Banjica. La Serbia occupata fu il secondo paese, dopo l’Estonia, per cui Berlino nel 1942 dichiarò la “questione ebraica” definitivamente risolta.

Il campo di concentramento di Topovske Šupe iniziò a funzionare nell’agosto del 1941, poco dopo quello di Banjica. Denominato “il campo ebraico di Belgrado” nei documenti tedeschi dell’epoca, Topovske Šupe operava come campo di smistamento per gli

Lezione di storia - foto dalla pagina facebook di Marks 21

ebrei cacciati dal Banato (nord-est della Serbia) e per i rom. Le cifre esatte sono sconosciute, ma pare che nei quattro mesi in cui il campo è stato attivo, vi siano state rinchiuse tra le 4.000 e le 5.000 persone, poi mandate a morire in altri lager nei dintorni di Belgrado (a Kumodraž, Bežanija, Jajince e Sajmište).

La memorializzazione mancata

In una lunga intervista pubblicata su e-Novine, Jovan Byford, studioso dell’Olocausto in Serbia, ripercorre le tappe del difficoltoso processo di memorializzazione di Topovske Šupe. Il primo tentativo, ricorda Byford, risale ai tardi anni ‘70, quando al progetto di convertire l’edificio in una stazione degli autobus si rispose con la richiesta che venisse eretto un monumento alle vittime del lager. Ma né l’una né l’altro vennero mai costruiti. La prima targa commemorativa, prosegue Byford, fu apposta solo quindici anni dopo, nel 1994, ma nel luogo sbagliato. Questa clamorosa svista scatenò la reazione indignata della comunità ebraica, che però non sortì alcun effetto.

La targa commemorativa ricordata a inizio articolo fu collocata (nel luogo giusto, stavolta) solo il 27 gennaio 2006, quando, in occasione della Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto, Topovske Šupe fu proclamato, alla presenza del premier Koštunica, “parco della memoria”. Ciò nonostante, aggiunge Byford, l’ex lager non è mai stato ufficialmente dichiarato patrimonio culturale. E, infatti, prima che fosse apposta la targa, il terreno su cui sorge l’edificio era già stato acquistato da Delta Holding, e il piano di costruzione del centro commerciale era già stato definito.

Le recenti proteste sono cominciate quando i media hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la questione futuro centro commerciale, evidenziando la totale assenza di un progetto per salvaguardare la memoria storica dell’ex campo di concentramento. Ma Delta Holding respinge l’accusa di negligenza. In un comunicato ufficiale, la compagnia dichiara il proprio impegno affinché la memoria di Topovske Šupe venga adeguatamente conservata, e liquida le accuse come un vile tentativo di gettare fango sull’operato dell’azienda, e in particolare sul suo presidente, l’imprenditore Miroslav Mišković. Una reazione così piccata non è affatto sorprendente, dal momento che Mišković, l’uomo più ricco di Serbia, è da mesi al centro di un’indagine della magistratura per presunte frodi relative alla privatizzazione di alcune ditte di costruzione.

A lezione di storia, e di civiltà

Il 2 giugno, alla ‘lezione di storia’ di Topovske Šupe c’erano ricercatori, attivisti, rappresentanti della comunità ebraica serba, e anche alcuni parenti delle vittime del lager, le cui testimonianze commosse hanno reso ancora più intensa la commemorazione. Al termine dell’evento i partecipanti hanno preparato un sunto della lezione da inviare a tutti i membri del consiglio comunale di Belgrado e alle istituzioni responsabili della memorializzazione dei luoghi di interesse storico e culturale.

Il senso della manifestazione, nelle parole di Nebojša Milikić, uno degli organizzatori del “Čas istorije”, è quello di ricordare alla cittadinanza e alle autorità che è inammissibile che nel luogo da cui migliaia di prigionieri sono stati condotti alla morte venga costruito un centro commerciale, che è uno spazio di divertimento e di consumo. Dello stesso parere è anche Aleksandar Nećak, rappresentante del Consiglio delle municipalità ebraiche, secondo cui "l’idea che un luogo di sofferenza si trasformi in un centro commerciale non è di per sé antisemita, ma è anti-civile, profondamente anti-civile”.

Un rapporto complesso

La storia del difficile e controverso percorso di memorializzazione di Topovske Šupe illustra bene il rapporto complesso che la società serba ha con la memoria dell’Olocausto. Jovan Byford (vedi sopra) ha una teoria interessante in proposito. Secondo lui, il problema non è se erigere o meno monumenti alla Shoah. “Il problema è un altro”, dice. “In Serbia, l’opinione pubblica tende a interpretare l’Olocausto come un evento storico che è significativo solo per gli ebrei, e non come qualcosa che dovrebbe rappresentare un elemento fondante della memoria storica dell’intera società”.

“Inoltre”, prosegue Byford, “nella società serba è assai presente il fenomeno del vittimismo comparativo: la commemorazione dello sterminio degli ebrei si svolge spesso con modalità che tendono a porre sullo stesso piano i morti serbi e quelli ebrei”. Di conseguenza, “interpretare l’Olocausto come esempio unitario di sofferenza umana e di morte al tempo del nazismo è un atto che spesso non viene compreso, ma che anzi tende a suscitare, ancora oggi, reazioni molto dure”.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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