Dalibor Matanić - Wikimedia

E' uno dei più interessanti e talentuosi cineasti dell'area dell'ex Jugoslavia. Dalibor Matanić verrà insignito stasera a Gorizia del Premio Darko Bratina. Una panoramica sul regista

23/11/2016 -  Nicola Falcinella

Riceverà stasera a Gorizia il Premio Darko Bratina , il regista croato Dalibor Matanić noto soprattutto per “Sole alto – Zvizdan”. Un film premiato al Festival di Cannes, nella sezione Un certain regard, nel 2015 e visto in Italia da oltre 50.000 spettatori, più ancora che in Croazia.

Il 18° riconoscimento, assegnato dal Kinoatelje di Gorizia in ricordo del suo fondatore, sociologo, parlamentare e critico cinematografico, va a uno dei più interessanti e talentuosi cineasti dell'area dell'ex Jugoslavia e non solo. Un premio a un cineasta che guarda a una società nuova, anche alle componenti meno rappresentate o visibili, conservando la memoria senza restare fermo ai condizionamenti e ai limiti del passato, un autore che sa raccontare le nuove identità, riconoscere le nuove frontiere, mostrare e rielaborare la realtà senza filtri.

Oggi al Palazzo del cinema goriziano, il regista terrà una masterclass dalle 9 in poi con la proiezione di alcuni suoi cortometraggi che si concluderà alle 18 con la presentazione della prima puntata della sua recentissima serie tv “Novine – Il giornale”, una critica del connubio tra affari, politica e corruzione. Alle 20 Matanić ritirerà il premio e introdurrà la visione di “Sole alto”.

Il premio, un festival monografico itinerante (informazioni www.kinoatelje.it ) e transfrontaliero, ha preso il via ieri sera al Visionario di Udine con la proiezione dei corti “Suša - Siccità” (2002) e “Tulum – The Party” (2009) e del lungo “Kino Lika” (2008), vincitore dell'Ulivo d'oro al Festival di Lecce. La manifestazione proseguirà domani tra Nova Gorica e Gorizia di nuovo con “Sole alto” e, alle 18, con un incontro pubblico su “Il ruolo dei media nella società contemporanea e influenza della politica e del capitale” legato a “Novine”. Venerdì alle 20 tappa istriana all'Art Kino Odeon di Izola/Isola con “Suša – Siccità” e “Blagajnica hoće ići na more” (2000), il suo lungo di debutto a soli 25 anni. Sabato a Lubiana, nella sala della Slovenska Kinoteka, proiezione alle 19 dei corti “Srećno – Buona fortuna”, “Tulum” e “Mezanin – Mezzanino” (2011), seguiti alle 21 da “Fine mrtve djevojke – Belle ragazze morte” (2002). domenica sera alle 20 S.Pietro al Natisone ospiterà la presentazione di “Srećno – Buona fortuna” e del documentario sulla bora a Karlobag “Bag” (1999). Conclusione del tour martedì a Trieste al Teatro Miela: alle 18 “Kino Lika” e alle 20.30 “Bag” e il drammatico “Ćaća – Papà” (2011).

Sguardo sull'America

Nato nel 1975 a Zagabria, esordio giovanissimo nel lungometraggio con “Blagajnica hoće ići na more” (2000), Dalibor Matanić è stato ed è un cineasta di un tipo nuovo nel panorama dei paesi dell'ex Jugoslavia. Lo è per tematiche, approcci e forme. Un regista legato alla città che ha saputo raccontare la campagna e le regioni remote senza stereotipi; ha saputo raccontare nuovi gruppi sociali, nuovi diritti e nuovi protagonismi; si è cimentato con il cinema, ma anche con il teatro, la televisione e la pubblicità. Un autore che guarda all'America più che alla produzione regionale: il suo film di debutto deve molto al celebre “Clerks – Commessi” (1994) di Kevin Smith, tappa importante della commedia generazionale indipendente americana.

I suoi primi corti raccontano gli anni successivi alla divisione della Federazione jugoslava e il parallelo passaggio al capitalismo, mostrandone le prime conseguenze, da un punto di vista defilato che diventa però un osservatorio privilegiato. Inizia poi una carriera precoce e intensa, da cineasta che non si lascia ingabbiare, che non ha paura di osare e affrontare temi scomodi o non consueti (il primo film con protagoniste lesbiche, uno sull'Aids), che crea un proprio gruppo di lavoro ma resta aperto a collaborazioni diverse.  “Fine mrtve djevojke” (2002), “Volim te” (2005) e “Kino Lika” (2008), insieme ai corti “Suša” e “Tulum” presentati a Cannes, l'hanno reso il principale giovane regista croato emergente fino alla consacrazione di “Zvizdan” (2015), che l'ha portato a una platea internazionale più ampia.

Così uno dei più interessanti, eclettici e con un punto di vista personale giovani registi dell'area dell'ex Jugoslava, si è affermato come il capofila di un cinema croato che si sta rinnovando e, negli ultimi 2-3 , è tornato protagonista sulla scena internazionale con i film di Ognjen Svilićić (“Takva su pravila – These Are The Rules”), Zrinko Ogresta (“S one strane – On The Other Side”), Ivona Juka (“You Carry Me”) o Hana Jušić (“Ne gledaj mi u pijat – Quit Staring at My Plate”), ma anche corti come “Belladonna” di Dubravka Turić, Leone a Venezia 2015.

Passato e presente

Matanić è l'interprete di una società che guarda oltre le guerre dei decenni scorsi pur portandosele addosso, che guarda oltre i confini e prova a esplorare le nuove identità e individualità. Un quarantenne capace di raccontare il presente tenendo ben presente il passato, che non si ferma nella memoria, ma la rimette in moto affinché resti come coscienza viva e serva al futuro. Matanić è un regista che non si perde in mille discorsi, ma sta attento a non farsi etichettare e per questo risulta ancora più interessante ed efficace.

Racconta storie che potrebbero essere ambientate ovunque, quanto meno in quasi tutta Europa, e a maggior ragione è importante che siano collocate lì. Ha sempre trattato temi sociali che si avvicinavano e lambivano la politica, ma è curioso che l'abbia toccata direttamente solo nell'ultimo lavoro, la serie televisiva “Novine”, una delle più ambiziose della regione ex jugoslava, e anche in questo senso è, di nuovo, quasi un aprire strade. Un lavoro d'ampio respiro che affronta l'intreccio tra politica, affari, informazione e cronaca nera.

Svolta

Matanić è un cineasta che segna, se non una rottura, una svolta nel cinema dell'area dell'ex Jugoslavia. Le figure maschili e femminili sono diverse, fuori dal machismo diffuso. Il rapporto tra i sessi è cambiato, il protagonismo femminile sta emergendo, le donne prendono l'iniziativa anche in pubblico, non subiscono e basta. Le scelte operate nei suoi racconti dicono molto, per esempio gran parte dei suoi protagonisti sono donne, donne contemporanee, consapevoli, decise, che cercano di affrontare i loro problemi.

Le sue opere sono abbastanza diverse tra loro, non c'è uno stile ben definito, qualcosa che ritorna sempre prepotentemente a livello formale. Matanić è un regista che si fa condurre dalle storie, non cerca di piegarle a un proprio stile, a volte tende quasi a mascherarsi dietro il cuore delle pellicole e si fa guidare dai suoi personaggi e dalla fedeltà a loro. I film sono scritti con diversi sceneggiatori, ma contengono tutti una critica sociale decisa, mai però moralista o provocatoria. Non a caso intreccia una storia omosessuale sotto la forma di un thriller (ancora “Fine Dead Girls”), che forse è il genere che più ritorna nella sua produzione (vedasi “Ćaća” o lo stesso “Novine”). Una caratteristica dell'autore, evidente già in “Blagajnica hoce ici na more”, è la capacità di cambiare più volte tono mantenendo una coerenza di fondo.

In “Majka asfalta - Mother of Asphalt” (2010) riesce a raccontare i pregiudizi e l'ostilità che circondano una donna che lascia il marito e rompe una famiglia perché non vuole più sopportare la violenza. Il sesso è in quasi tutti i film, con scene anche esplicite: quasi mai implica un sentimento e spesso sono presenti elementi di disturbo, come la nonna di “Tulum” che non si accorge della nipote con il suo ragazzo o il padre di “Ćaća” che guarda dalla finestra. Matanić filma in modo freddo e passionale allo stesso tempo, con distacco e partecipazione, coglie la violenza e il sentimento nei suoi personaggi.

Il rapporto tra genitori e figli, soprattutto figlie, anche cresciuti è presente in quasi tutti i film. A volte dialogo, a volte scontro, ma il regista è molto interessato agli scambi e alle relazioni tra generazioni. Anche quando mostra le distanze, è come se volesse farli incontrare, portare padri e madri faccia a faccia con i figli, implicando la necessità di chiarire e fare i conti con il passato. Quasi sempre si confrontano un paese molto moderno e uno arcaico, c'è qualcuno che torna o arriva da fuori portando un elemento di novità oppure c'è qualcuno che viene respinto, e questo innesca un conflitto. Spesso (anche in “Kino Lika”) c'è un ambiente che vincola come una gabbia e c'è chi sogna di scappare, magari solo per andare qualche giorno al mare con la figlia.

Dalibor Matanić è un regista che cerca di tener vive le coscienze, di raccontare i sogni e le paure, tifando per i primi senza demonizzare le seconde. Un artista che, in una società in trasformazione e segnata dalla guerra e dalle divisioni, si butta nel mezzo senza timore di sbagliare, cercando di ascoltare e raccontare, rendendo credibile ogni personaggio. La sua produzione, così cospicua e così diversa, è il risultato del tentativo di raccontare la Croazia degli anni 2000 senza farsi condizionare dal passato.


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