Zelenkovac, foto di Luca Marinari

Un paesaggio incantato, un uomo dall'aspetto burbero, ma con un animo d'artista, e un villaggio ecosostenibile che risuona di musica jazz. Il racconto di un viaggio a Zelenkovac, in Bosnia Erzegovina

25/03/2013 -  Daniele Canepa

"La bellezza salverà il mondo," dice il Principe Myskin, protagonista del romanzo "L'idiota" di Dostoevskji. Purtroppo, come insegna la storia, a volte non è così. Guerra e odio accecano le persone, e monumenti alla bellezza universalmente riconosciuti vengono distrutti senza altri motivi che il trionfo dell'oscurità insita in ogni essere umano.

In alcuni casi, però, la bellezza lo salva davvero il mondo. Proprio questo, secondo Borislav - "Boro" - Janković, di professione pittore, è accaduto nel villaggio che è la sua "creatura" oltre che la sua casa, Zelenkovac , che si è reso protagonista di un evento di pace tanto prezioso quanto raro nella guerra in ex-Jugoslavia, il conflitto più violento in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Ma dove si trova e che cosa è precisamente Zelenkovac? A circa venti minuti di auto dalla cittadina di Mrkonjić Grad e a un'ora e mezza da Banja Luka, capitale della Republika Srpska, l'entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, Zelenkovac è oggi un villaggio di montagna eco-turistico composto da capanne e bungalow in legno adibiti a strutture ricettive per viaggiatori che vogliano passare qualche giorno a contatto con la natura.

Boro Janković

Boro Jankovic, foto di Luca Marinari

Se forse questa può andare bene come descrizione "turistica", Boro sottolinea più volte che l'essenza di Zelenkovac è di essere: "Un luogo che ispira pace."

Boro il folle

Nel suo racconto, Boro non parte dalla descrizione di ciò che è successo a Zelenkovac durante la guerra. Da narratore navigato quale è, sa come far crescere la curiosità e le aspettative nei suoi ascoltatori.

E in effetti fa proprio piacere sentirlo narrare mentre, seduto a un tavolo all'aria aperta in una mattinata di sole, sorseggia un caffè e di tanto in tanto porta alle labbra una sigaretta. Parla di come Zelenokvac non è sempre stata come è oggi, ma anzi è cambiata molto. La sua storia, che si intreccia a doppio filo con la vita di Boro, inizia nella prima metà degli anni Ottanta.

"Questo luogo apparteneva alla mia famiglia ed era la sede di un mulino ad acqua. Essendo un posto tranquillo, dopo i miei studi alle accademie d'arte di Sarajevo e Banja Luka, ho deciso di venire a lavorare qui. Siccome avevo pochi soldi, iniziai ad adattare gli oggetti che trovavo dentro al mulino e a farli diventare gli strumenti per dipingere i miei quadri. La gente pensava che fossi impazzito: che cosa ero venuto a fare qui, in un vecchio mulino di montagna, da solo? E così iniziarono a chiamarmi "Boro il matto".

In realtà, Boro stava ponendo le basi che fecero di Zelenkovac un'oasi di pace e un luogo di ritrovo per artisti provenienti da tutte le repubbliche dell'ex-Jugoslavia, affascinati dal suo progetto. "Erano amici miei: non c'erano solo pittori, ma anche poeti. Ognuno di loro nel tempo mi ha dato una mano a costruire queste strutture in legno che oggi ci permettono di dare alloggio a circa cinquanta persone".

I campi attorno a Zelenkovac vengono falciati dai volontari

E avendo conosciuto Boro di persona, non c'è da dubitare che in tanti si siano prodigati per dargli una mano. A vederlo da lontano, senza avere l'occasione di parlargli, dall'alto del suo metro e ottanta abbondanti, spalle larghe e barba folta, potrebbe dare l'idea di un burbero uomo di montagna, uno di quei tipi solitari e poco inclini a fermarsi a discorrere. In realtà, la prima dote che traspare non appena ti si fa incontro per conoscerti e per stringerti la mano, è la sua sincerità.

Il suo sguardo e la sua gestualità sono diretti e infondono nel suo interlocutore un senso di grande sicurezza: "Tranquillo, che se qualcosa va male ci penso io", sembra di sentirgli dire ogni volta che ti passa il braccio dietro alla spalla. Le mani danno un'impressione di grande forza, più che della delicatezza necessaria a dipingere. E per rendere Zelenkovac la perla che è diventata negli anni, di sudore e di forza fisica ce ne deve essere stato davvero bisogno. Ma un aspetto che impressiona di Boro è la naturalezza con la quale si apre nel descrivere anche i momenti meno felici della sua vita: "In alcuni periodi il mio senso di solitudine era tale che immaginavo che la mia casa, il vecchio mulino, fosse una nave che affondava in mezzo al mare in tempesta. Questi per me sono stati i momenti più bui".

La guerra

Un'altra parentesi triste è coincisa con l'inizio della guerra, che ha imperversato nelle repubbliche dell'ex-Jugoslavia negli anni tra il 1991 e il 1995. In quel periodo, tra l'altro, Boro non si trovava nella sua terra: "Mi ero innamorato di una donna russa e l'avevo seguita fino al suo paese. Ma non appena ebbi notizia del conflitto, decisi subito di tornare per proteggere i posti in cui ero cresciuto".

Tuttavia, a differenza di altri, non ritornava per imbracciare un fucile: "Sono contro la guerra. La guerra è una merda. Non è il fatto di avere paura, non è certo questo. E' che proprio non concepisco questo fatto di stare lì per ore e giorni ad aspettare che qualcuno mi dia ordini di fare questa o quella cosa... Non fa proprio per me." E così, invece di indossare una divisa, Boro decide di mettere la sua esperienza in qualità di operatore video e redattore al servizio di un'emittente televisiva di Banja Luka.

Il ritorno

Dopo anni passati in esilio forzato, alla fine della guerra si presentava finalmente a Boro l'occasione di tornare in quel luogo che anni di lavoro e sforzi gli avevano consentito di trasformare in un villaggio incantato - "tolkieniano" per usare la definizione di Lonely Planet a proposito di Zelenkovac - nelle montagne boscose bosniache. Chissà quali sentimenti di speranza, sconforto e trepidazione si saranno mescolati nella testa di Boro al suo ritorno. Considerando che la guerra aveva spazzato via l'ottanta per cento degli edifici nelle città e nei villaggi dell'intero paese, è comprensibile come egli dovesse essere fortemente preoccupato per la sua amata Zelenkovac...

Boro e i suoi collaboratori, foto di Luca Marinari

E invece, al momento dell'arrivo, la sorpresa, la gioia inaspettata: "Stentavo a crederci, ma non c'erano segni di distruzione. Sì, è vero, ho trovato alcune armi lasciate qua e là, ma più o meno tutto era stato lasciato così com'era. La cosa più incredibile è che qui si sono fermati tutti e tre gli eserciti coinvolti nel conflitto: bosniaci, croati e serbi. Se non si è consumata violenza, se questo luogo non è stato distrutto, è perché il senso di pace e di armonia con la natura che dà ha il potere di fermare l'aggressività nelle persone".

La storia di Zelenkovac è davvero una perla rara in mezzo a un conflitto che ha conosciuto le atrocità della pulizia etnica, dei massacri di massa, di stupri e di razzie. A ulteriore testimonianza della sua straordinarietà, non si è trovata traccia a Zelenkovac delle mine antiuomo, che rappresentano ancora un pericolo reale nella Bosnia ed Erzegovina a quasi vent'anni dalla fine del conflitto. Guide cartacee e abitanti locali sconsigliano ancora oggi di allontanarsi dai sentieri battuti o di avventurarsi con l'auto sulle strade sterrate.

Capitalismo selvaggio

Tuttavia, nonostante il sollievo iniziale, per Boro si presentavano subito all'orizzonte diverse nuove insidie. "La mia proprietà era salva, ma Zelenkovac era minacciata dai capitalisti arricchiti dalla guerra, che volevano comprare i terreni edificabili circostanti".

Per fortuna, Boro gioca immediatamente d'anticipo, trasformando Zelenkovac da una comune di artisti in uno spazio per un turismo sostenibile e consapevole: "Dopo la guerra regnava il caos più totale. Le cose appartenevano a chi se le prendeva. Per questo ho subito presentato alle autorità locali e internazionali un progetto che avrebbe reso Zelenkovac ciò che è oggi: un villaggio in totale armonia con l'ambiente in cui è inserito".

Jazz

Zelenkovac, foto di Luca Marinari

Ma Boro rimane un artista e nella sua casa non poteva mancare uno spazio riservato alla musica. E così è nato il palco John Lennon, dedicato a ospitare a Zelenkovac ogni luglio musicisti jazz provenienti non solo dall'ex-Jugoslavia, ma da tutto il mondo. "Hanno partecipato al nostro festival artisti del calibro di Vasil Hadjmanov, uno dei più grandi dell'ex-Jugoslavia, oppure Hannes Beckmann, jazzista tedesco, per non parlare di Monty Waters, sassofonista che suonò con Miles Davis".

La cassa di risonanza è tale che Zelenkovac ha iniziato ad attrarre visitatori da tutto il mondo: "Non solo come turisti. Alcuni vengono come volontari per darci una mano con il nostro progetto. Abbiamo avuto anche un visitatore dalla Mongolia che ci aveva conosciuti grazie alla Lonely Planet," aggiunge Lily, una dei diversi collaboratori di Boro, la quale racconta di avere già accettato delle prenotazioni per il prossimo Capodanno.

"Grazie a questo luogo abbiamo avuto delle possibilità di contatti altrimenti inimmaginabili," racconta un giovane studente, Saša, che a Zelenkovac viene di tanto in tanto a promuovere la rakija - bevanda superalcolica locale - prodotta dalla sua famiglia.

Tutto questo è coerente con la visione di Boro: "Se vogliamo creare le condizioni per una pace durevole, dobbiamo creare dei ponti tra le persone. Tanti visitatori vengono qui per visitare questi posti e stare in armonia con la natura. Per gli abitanti locali è un'occasione entrare in contatto con persone provenienti da realtà diverse e creare una rete di amicizie che durerà nel tempo: questa è la vera missione di Zelenkovac”.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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