Lungo gli impianti di Bakuriani

Una conversazione, durante una cena in una località sciistica. Donne e società patriarcale in Georgia. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

23/02/2017 -  Flavia Mara*

Il signore di Tbilisi, accanto al quale sono seduta, tiene alto il gomito che regge un bicchierino di vodka ed intrattiene noi commensali, mostrando un'inconsueta capacità di sapersi giostrare tra la lingua georgiana e quella inglese.

E' sera a Bakuriani. La pista da sci, che si allunga proprio davanti alla guest house presso la quale siamo ospiti, è tranquilla e poco illuminata. I turisti georgiani che durante il giorno affollavano quella discesa, ora passeggiano a piedi lungo le strade ghiacciate della cittadina illuminata dal candore della neve, facendo scivolare i passeggini dei propri bambini.

Non facciamo in tempo a mettere piede nell'ingresso della guest house che la proprietaria di casa, una premurosa e cortese donna sui cinquant'anni inoltrati, ci invita ad unirci alla cena che si sta svolgendo in cucina. I georgiani hanno una dichiarata passione per il loro cibo e per il bere, che non manca mai di manifestarsi durante una “supra”. Si tratta della tradizionale cena georgiana caratterizzata da una fila ingarbugliata di pietanze tipiche poste al centro del tavolo, in cui ogni boccone è intervallato da brindisi evocativi.

Il tamada

Solitamente il “tamada”, ossia la persona incaricata di dirigere questa orchestra di cincin, è l'uomo che siede a capo tavola. Forse è un caso ma in questi mesi non mi è mai capitato di partecipare ad una supra con una donna che ricoprisse il ruolo di tamada. Nonostante ciò, le donne non sono dimenticate dal capo tavola durante la lunga serie di brindisi e pertanto, ad ogni cena, il bicchiere di vino o vodka si solleva in aria per onorare tutte le donne, in particolare quelle presenti al banchetto, e richiamare al loro rispetto.

In egual modo troneggia l'ospite di Tbilisi che mi è seduto vicino. Una volta svuotato il piccolo calice di finto cristallo, però, aggiunge una considerazione generalizzata che spesso mi è toccato ascoltare e che trovo vile e poco garbata, soprattutto in presenza di due donne georgiane e due donne europee. Come quasi per apparire una persona interessante e moderna agli occhi della mia amica inglese e ai miei, l'uomo si lamenta della ristretta mentalità delle donne georgiane, perennemente ossessionate dal matrimonio e dalla famiglia.

In parte, mi trovo d'accordo con lui. Le ragazze georgiane vengono educate al culto della famiglia, con l'ambizione di trovare, in giovane età, un uomo a cui legarsi e a cui poter promettere fedeltà e una nuova discendenza. Crescere i propri figli significa aver compiuto non solo il proprio ruolo di madre, ma anche di moglie e donna riguardosa dei valori ortodossi della società georgiana. L'ospite di Tbilisi non ha tutti i torti, dal momento che spesso le ragazze cercano di appigliarsi alla loro prima relazione per soddisfare questo desiderio.

Istinti naturali?

Eppure a volte, quando le mie orecchie devono subire queste affermazioni, penso: è davvero un istinto naturale questa brama femminile di mettere su famiglia o non è altro che il compimento di un incarico a cui la società subdolamente le educa sin dall'infanzia? Osservando questo contesto con gli occhi di una persona esterna che proviene da un ambiente più secolarizzato rispetto alla Georgia, reputo la seconda ipotesi più appropriata per spiegare l'elevato tasso di ragazze tra i 18 e i 23 anni già sposate e con figli.

La donna georgiana deve mantenere la propria verginità illesa e intatta fino al matrimonio e il suo compagno occorre che rispetti questa integrità. Spesso, però, questo sacrale riguardo può condurre l'uomo alla ricerca di corteggiamenti occasionali di altre donne per soddisfare il proprio piacere. Certamente, il tradimento non è un comportamento inusuale nell'essere umano, ma qui in Georgia esso è avvertito con una diversa consapevolezza sia dal traditore che dalla tradita. Quest'ultima, la donna, e con essa l'ambiente che la circonda, accetta tacitamente il gesto del compagno, asservendosi e giustificandolo come istinto naturale.

Il velo

In Georgia ci sono due realtà sociali eterogenee e spesso contrastanti: quella di Tbilisi, la capitale di ispirazione europea, e quella fuori da Tbilisi delle zone rurali. Tbilisi rappresenta una sorta di calamita per le nuove generazioni georgiane che cercano un ambiente più aperto e motivante rispetto alla chiusura e all'isolamento dei numerosi villaggi. Tuttavia, nonostante a Tbilisi tiri una leggera brezza liberale, l'atteggiamento remissivo della donna nella coppia, tra le due differenti realtà, non è poi così diversa.

In molte occasioni, nel mio tentativo di comprendere questi comportamenti, sono stata zittita dall'affermazione, spesso di ragazze: “Questa è la nostra cultura. Non possiamo farci nulla”. Ed invece credo che educando ed informando qualcosa si possa iniziare a muovere in questo ambito, come pian piano si sta procedendo per ridurre il numero di spose minorenni in molti villaggi sparsi per il territorio. La cultura non è un dogma e il rispetto della donna non è nella sua venerazione, ma nel riconoscimento di essa come individuo in grado di esprimere le proprie necessità, con una dignità pari a quella dell'uomo.

Come il velo che scende sul capo femminile ogni volta che la donna varca la soglia di una chiesa, così quel velo di ritrosia e imbarazzo cala nel momento in cui si cerca di discutere apertamente di questo argomento. Lui è tenace ed ostinato perché sa di avere in mano la briglia, lei è condiscendente e inconsapevole di fronte all'ostacolo di concepirsi oltre al ruolo di moglie e madre.

Vorrei dire all'ospite di Tbilisi che un brindisi alle donne non è abbastanza per sentirsi la coscienza pulita. Ma forse, è meglio che rimandi la mia elucubrazione ad un altro momento. Non è il caso questa sera di guastare l'atmosfera piacevole della cena e di offendere la vivace ospitalità georgiana.

 

* Flavia Mara da metà ottobre vive a Gori, in Georgia, dove sta svolgendo un servizio di volontariato europeo presso l'organizzazione non-governativa Bridge of Friendship Kartlosi, fondata nel 2006 con l'obiettivo di sostenere la popolazione locale della ragione di Shida Kartli. In seguito al conflitto del 2008, Kartlosi ha assunto un ruolo attivo nel processo di peace-building tra Georgia e Ossezia del Sud, promuovendo valori di giustizia sociale, solidarietà e cooperazione all'interno delle comunità e favorendo una maggiore partecipazione dei giovani a livello locale.


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