Alcune pagine del libro "Bosnia Erzegovina: 30 destinazioni indimenticabili"

Amel ama il suo paese, ed ha autoprodotto un libro per valorizzarne i tesori. Una recensione

25/08/2015 -  Vittorio Filippi

Una volta si diceva di andare in vacanza in Jugoslavia, oggi si dice di andare in Croazia. Anzi, in Istria e Dalmazia, le aree più conosciute e battute dai flussi turistici italiani ed europei.

In effetti se guardiamo le cifre del turismo internazionale verso il mosaico della ex Jugoslavia la parte del leone viene fatta dalla Croazia con 11 milioni di arrivi annui, seguiti dai 2,2 milioni della piccola Slovenia; ma per il resto le cifre sono davvero esigue, in particolare in Macedonia ed in Bosnia, le due repubbliche più misconosciute (per non parlare del Kosovo).

Ha allora senso questo lavoro del saravejese Amel Salihbasic, di professione ingegnere informatico ma fotografo per hobby e soprattutto amante della propria terra? La risposta è affermativa per almeno due motivi. Il primo è che la Bosnia, pur grande solo due volte la Sicilia, offre un caleidoscopio di luoghi, di atmosfere e di scorci estremamente ricco ed al tempo stesso differenziato. La complessità della sua storia, dovuta all’essere incrocio faticoso tra Oriente ed Occidente, unita ad una natura aspra e dolce al tempo stesso, ne permette tante valenze turistiche: dalle città d’arte al turismo montano e sciistico, dall’ecoturismo (sono sei i parchi nazionali) al pellegrinaggio (e non c’è solo Medjugorje …), dal turismo d’avventura (secondo il National Geographic la Bosnia è tra le 10 migliori destinazioni d’avventura) a quello termale (con 15 centri spa). L’elenco potrebbe continuare: fa bene Salihbasic a proporre, nel suo libro, ben 30 destinazioni possibili corredate da numerose fotografie che, più delle parole, presentano immediatamente la specificità degli itinerari.

In secondo luogo la Bosnia offre anche atmosfere e sensazioni. Non a caso qui è nata la sevdah, una musica che parla d’amore e di nostalgia. Sensazioni che però vanno colte solo ad alcune condizioni. Ad esempio deve essere un turismo che si fa viaggio, cioè lento, curioso, motivato, preparato. Pronto ad accettare le fatiche ed i tempi lunghi chiesti dalla comprensione della complessità dei luoghi ed aperto alle diversità, agli imprevisti, anche alle sofferenze (la guerra è terminata venti anni fa ma le cicatrici sono rimaste, e non solo sui muri).

Insomma la Bosnia vuole per così dire uno stile: non è un divertimentificio, non ama il turismo di massa, non si apre a chi non è aperto e paziente con lei.

Se i numeri dei visitatori sono oggi modesti, il futuro sembra però promettente: secondo la World Tourism Organization, la Bosnia sarà il terzo paese al mondo per tasso di crescita turistico tra il 1995 ed il 2020. Ed il fascino della città di Sarajevo, secondo Lonely Planet, è secondo nei Balcani dopo Atene. Mentre l’Italia è il quinto paese di provenienza dei flussi turistici in Bosnia: segno che non ci fermiamo tutti alle coste croate ed al suo mare blu cobalto. Anzi, un numero crescente di italiani scoprendo la Bosnia conosce quell’”altra Europa” che sono i Balcani. Così vicini ma anche (finora) così lontani.

 


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