La sede del parlamento a Chișinau (© Serghei Starus / Shutterstock.com)

La sede del parlamento a Chișinau (© Serghei Starus / Shutterstock.com)

Nelle ultime settimane la Moldavia ha vissuto una vera e propria rivoluzione politica. Vladimir Plahotniuc, l'oligarca che sembrava avere in pugno il paese, è stato obbligato alla fuga ed ora al governo vi è un'inedita coalizione tra socialisti e dal blocco Acum. Abbiamo intervistato Mihai Popşoi, vice-presidente del parlamento e vicino alla premier Maia Sandu

27/06/2019 -  Francesco BrusaAndrea Bonetti Chișinau

Quando, nel 2017, l’attuale primo ministro della Moldavia Maia Sandu gli ha proposto di unirsi al movimento politico PAS, Mihai Popşoi non ci ha pensato due volte. Ora, in qualità di vice-presidente del Parlamento, si trova a contribuire a guidare il paese attraverso uno dei momenti più delicati della sua storia. Gli abbiamo chiesto come si è arrivati a questo punto e quali saranno le prossime mosse del neonato governo.

Ci può raccontare come si è svolta dalla sua prospettiva la crisi politica?

Giovedì 13 giugno - forse il giorno di massima tensione della crisi - Plahotniuc aveva organizzato delle manifestazioni di protesta davanti al parlamento. Il suo scopo era far in modo che la delegazione del Partito socialista non potesse entrare e riunirsi con noi che invece eravamo all’interno dell’edificio. Volevamo discutere con Dodon e il suo partito e trovare un accordo per formare il governo. A un certo punto le proteste sono scemate, Plahotniuc ha ritirato i suoi “uomini” e abbiamo potuto iniziare la nostra sessione.

Ma le provocazioni non erano finite: durante il dibattito, nel parlamento è suonato l'allarme bomba. Eravamo sicuri che si trattasse solo di un tentativo di boicottaggio. Difatti la polizia, invece che evacuare l’interno edificio, ci ha lasciato continuare ma nel frattempo ha acconsentito a che tutti i dipendenti lasciassero il palazzo. Eravamo dunque noi e i socialisti, completamente da soli all’interno del parlamento, a discutere. Qualcosa come 4 ore dopo, quindi verso le 8 di sera, la polizia è tornata con i cani per cercare la presunta bomba. Ci hanno fatto lasciare la stanza per circa 10 minuti, ovviamente non c'era nessun ordigno, e allora siamo rientrati. Un’ora più tardi abbiamo finalmente raggiunto un accordo.

Quella stessa sera la Corte costituzionale, anch’essa manovrata da Plahotniuc, ha deciso di sciogliere il parlamento e sospendere il presidente Dodon. Ecco quindi che sabato mattina, al momento di votare le nomine, il nostro governo era ufficialmente illegale. Sapevamo però che la legge, il popolo e la comunità internazionale erano dalla nostra parte, e non ci siamo fermati: abbiamo votato al buio, senza elettricità e senza che ci fosse alcun dipendente in parlamento, trascrivendo tutto a mano.

Infine le dimissioni di Filip e l’inizio ufficiale del nuovo governo...

Innanzitutto, pensiamo che la Corte costituzionale debba rassegnare le dimissioni. Non ha più credibilità alcuna: ha prima deciso di dichiarare illegittimo il nostro governo, per poi rimangiarsi tutto qualche giorno dopo!

Da parte nostra, ora è di massima importanza garantire un corretto processo democratico, farsi carico di una situazione finanziaria fortemente compromessa e risanare le casse dello stato. Dopodiché capire con precisione la condizione di "cattività" delle istituzioni e procedere a nuove nomine: licenziare alcune persone e sostituirle con altre fidate. Infine, chiederemo un procuratore esterno al paese, slegato dal sistema clientelare in cui versa il nostro apparato giuridico e che sia dunque in grado, qualora lo ritenesse opportuno, di incriminare Plahotniuc.

Vogliamo sfruttare al massimo questo momento per avviare il maggior numero di riforme e garantire velocemente un cambiamento che vada nella direzione da noi ritenuta più giusta per il paese. Quindi, il nostro interesse è che l’accordo con i Socialisti duri il più possibile e mi sento di dire che, se così non fosse, sarà principalmente perché il partito di Dodon potrebbe a un certo punto smettere di considerarlo vantaggioso.

Ci sono però altre e importanti variabili: soprattutto, bisogna vedere come si evolverà la posizione di Putin. Il fattore russo è imprevedibile e non siamo ancora sicuri delle loro reali intenzioni. Siamo comunque interessati a rinforzare e sviluppare le relazioni commerciali con la Russia dal momento che la nostro economia sta soffrendo. Ma, finché ci sarà il conflitto con la Transnistria, sussistono non poche difficoltà.

In cosa consisteva il potere di Plahotniuc?

Si trattava di un sistema di controllo basato principalmente su due elementi: la paura e i soldi. Fattori che, però, ora stanno venendo meno: dal momento che Plahtoniuc ha lasciato il paese, le persone a lui legate non hanno più motivo per temerlo; allo stesso modo, non c’è più alcun interesse da parte dell’oligarca nel pagare qualcuno attivo in Moldavia. Inoltre, anche un terzo elemento che garantiva il funzionamento del sistema sta per esaurirsi: gli “uomini di Plahotniuc” non potranno più contare sull’impunità.

In quest’area geografica, quando un dittatore lascia il paese il suo sistema di controllo crolla come un castello di carte. Penso che accadrà così anche in Moldavia. Tutti vorranno salire sul carro del vincitore: perfino i membri del Partito democratico si dichiareranno vittime di Plahotniuc.

Quali danni ha creato questo sistema nella politica e nelle società moldave?

Certamente danni molto seri. Anche prima del sistema oligarchico, la Moldavia non possedeva un apparato istituzionale stabile e la democrazia non si è mai realmente instaurata nel paese. Dal 2016 in poi, però, tutte le istituzioni operavano per gli interessi di un solo partito, anzi di un solo uomo. È molto difficile riuscire a “distaccarsi” da una situazione di questo tipo e costruire invece una democrazia forte di stampo europeo. Il dittatore ha lasciato la nazione solo da qualche giorno: non sarà un processo immediato.

Ma il fatto che siamo riusciti a superare questa crisi, tra l’altro in un periodo di tempo relativamente breve, dà molta speranza. Serviranno volontà e capacità politiche da parte di tutti i membri della coalizione. L’importante è fare in modo che, anche nel peggior scenario possibile, le istituzioni siano abbastanza forti da impedire che qualche figura o forza oligarchica possa “catturarle” e piegarle ai propri fini. Sarebbe veramente una vergogna non essere in grado di capitalizzare lo spiraglio di possibilità che si è creato.

Qual è stato il ruolo della comunità internazionale in questa crisi?

Gli attori internazionali hanno avuto un peso enorme. Di fatto, negli ultimi tempi Plahotniuc riusciva a sopravvivere solo grazie agli appoggi esterni. Con la memoria ancora viva del conflitto ucraino, alcuni membri dell'Unione europea – in particolare, la Romania – avevano deciso di sostenere in chiave anti-russa la coalizione “guidata” dall’oligarca per garantire la stabilità della nostra democrazia.

Nel frattempo, però, Plahotniuc stava tradendo la fiducia praticamente di tutti. Nel 2016 ha letteralmente comprato 40 deputati per poter avere la maggioranza in parlamento e, l’anno scorso, ha deciso di annullare le elezioni per il sindaco di Chişinău (in cui aveva prevalso l’attuale ministro degli Interni Andrei Nastase, NdR). Una serie di mosse scriteriate che hanno reso palese come fosse un partner totalmente inaffidabile.

I suoi alleati interni lo hanno abbandonato e ora è stato scaricato anche dalla comunità internazionale. Nel momento in cui attori quali Russia, Stati Uniti ed Europa si schierano unitariamente contro di te, è veramente difficile riuscire a sopravvivere.


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