Un gruppo di allevatori albanesi ha esplorato l’Appennino reggiano: alla ricerca di soluzioni utili anche per il nord dell'Albania. Abbiamo seguito sul campo questo singolare “viaggio-studio”

07/03/2018 -  Nicola Pedrazzi

In pianura, a Reggio, la mattina era fredda e uggiosa. Quando, dopo un’oretta di tornanti in direzione Succiso, il Discovery di Davide si attesta in quota, il sole sta sciogliendo le nubi e la spedizione italo-albanese che ci attende in un bar sul crinale ha già dato fondo a due giri di caffè. “Alla buon’ora, fratelli, benvenuti!”, ci accoglie Corrado Torcianti, il veterinario di Collagna che ci farà da guida. “Benvenuti nell’alta val di Secchia, vi trovate sul versante settentrionale del Parco nazionale dell’appennino tosco-emiliano: vale a dire nel posto più bello del mondo”. Nel paesaggio e nella parlata, quest’ultimo collinoso angolino d’Emilia prelude al ligure e al toscano, ma nei due giorni seguenti la lingua franca dell’improbabile comitiva cui ci aggreghiamo sarà l’albanese.

Allevatori, non turisti

Veterinario, allevatore e produttore, da qualche anno Corrado partecipa anima e corpo al progetto di cooperazione allo sviluppo capeggiato da Reggio Terzo Mondo (RTM): recandosi in prima persona nel nord d’Albania e accogliendo da quelle stesse zone comitive di allevatori albanesi, che nei declivi dell’Appennino reggiano trovano una natura simile a quella di casa, insieme a soluzioni in grado di incrementare i profitti della filiera. “Quando vado in chiesa suono la chitarra e aiuto gli altri a cantare – ci racconta Corrado nei brevi tragitti in macchina tra un’azienda e l’altra –, la stessa cosa per me vale in tutti i settori della vita: gli altri hanno insegnato a me, io cerco di condividere con gli altri. Ho aderito alla proposta di RTM perché anche io sono così. Qui ci sono persone che seguo da tre anni, abbiamo creato un rapporto di fiducia…”.

Gli allevatori albanesi che Corrado guida alla scoperta del suo territorio sono tutti giovani: ragazzi nati tra gli Ottanta e i Novanta, nel bel mezzo della transizione dal comunismo alla democrazia. L’unico volto a me famigliare è quello di Pashk Hasani, protagonista del video che in settembre avevamo girato nei pressi della sua fattoria, a Mertur, sulle “Alpi albanesi”. Al suo fianco questa volta non c’è la moglie Malbora, ma connazionali che come lui scommettono sul futuro del territorio che li ha visti nascere, migrare e poi ritornare. C’è Behar Dunga, che a Qerret – un piccolo villaggio a quaranta minuti da Puka – porta avanti un allevamento di centocinquanta capre, per il quale conta di avviare al più presto un sistema di mungitura meccanica. C’è Gjergj Prendi, che insieme a tre amici di Blinisht vuole costruire un laboratorio tutto suo per la produzione di “formaggio bianco” (in albanese diath i bardhë); c’è Mesar Hasmegaj, che a differenza degli altri vive in pianura, a Mjeda, un piccolo centro poco lontano da Vau-Dejës, e che con l’aiuto del padre e dei fratelli gestisce un allevamento di oltre quattrocento pecore, rivendendo il latte a uno dei principali impianti di trasformazione. Infine, c’è la giovane Paola Gjoni (classe 1990!), l’esperta veterinaria cui RTM ha affidato il monitoraggio della zona di Fushë Arrez: gli occhi e le orecchie cui Corrado dedica la maggior parte delle sue appassionate orazioni.

“Il nostro obiettivo – racconta Nicola Battistella, cooperante di RTM che durante l’anno segue il progetto su suolo albanese – non è quello di inculcare il sogno del sistema industriale emiliano! Quello che ci interessa è nella sfera del possibile: far comprendere come e perché funzionano piccole aziende a conduzione famigliare, realtà simili a quelle cui i nostri allevatori potranno dare vita in Albania”.

Le capre sono capre ovunque, le infrastrutture no

L’odore. Gli odori. Chi, come me, è nato e cresciuto in città, non conosce i sapori della campagna. Non ne sospetta i ritmi, l’aria, le asprezze, le fatiche, le soddisfazioni. Non ne conosce il lavoro, non ne conosce le persone. E non ne conosce gli animali: prima che RTM desse anche a me questa opportunità, la mia zoologia da prima elementare non mi consentiva di distinguere tra una “pecora massese” e una “pecora sarda” – in verità non sospettavo nemmeno che sul nostro Appennino vivessero delle capre. Di stalla in stalla, di fattoria in fattoria, ascolto le domande degli allevatori albanesi, e ne faccio a mia volta: cosa mangia una capra? Quanti litri di latte produce? Quanti capretti partorisce in un anno? Il segreto di un buon allevamento è lo stesso che sta dietro a un buon formaggio: l’equilibrio. Dai tempi e dai dosaggi dipende buona parte del rendimento. Esistono stagioni utili per l’accoppiamento, esiste una miscela ottimale per il foraggio, esistono diversi tipi di stalle: esistono, insomma, “equilibri” fondati su anni e anni di tentativi e di esperienze fatte di tasca propria: un’attenzione al dettaglio che è al centro delle spiegazioni di tutti gli allevatori che visitiamo, indipendentemente dagli animali che tengono e dalle dimensioni della loro azienda. A quanto capisco, in campagna, ogni gesto è economia: non perché si economizzi sulla qualità della vita degli animali – la risorsa prima, che qui viene preservata con attenzione oserei dire sacrale –, ma perché ogni gesto costa fatica, e il risparmio energetico è al centro dell’organizzazione di una fattoria che intende stare sul mercato: a cominciare dalle braccia umane.

A chiarirmi quanto possa essere fragile una filiera produttiva, è un esempio dell’infaticabile Corrado: “Un problema che ho riscontrato in Albania è l’aborto da mycoplasma. Negli anni scorsi, alcuni greggi sono stati contagiati. Se ti abortiscono venti o trenta capi è una tragedia: significa non avere capretti e perderci anche il latte, perché il latte di gravidanza abortita non è buono per il formaggio”. Questa acuta attenzione agli animali e alle risorse disponibili appartiene in fin dei conti anche alla tradizione albanese; ma durante la lunga dittatura di Enver Hoxha un’assurda organizzazione “cooperativistica” delle campagne tolse la proprietà degli animali a famiglie che da secoli erano dedite alla pastorizia: una collettivizzazione infausta perché senza legami con la realtà che pretendeva di governare, una distruzione cui il nord del paese, di solida tradizione agro-pastorale, ha pagato il prezzo più alto. Sapendo tutto questo, mentre inseguo la telecamera di Davide con il microfono, mi incanto a guardare i nostri amici albanesi, pastori all’indomani della dittatura: dai loro occhi fieri e concentrati non trapela alcun mirabolante stupore per l’efficienza emiliana; provengono da un’altra storia, ma sono allevatori anche loro, comprendono i dilemmi e le fatiche dei colleghi italiani e a loro volta raccontano che certe cose in Albania si fanno diversamente. Quando chiedo a Mesar se noti grandi differenze, incasso un sorriso autoironico: “le capre sono capre ovunque, solo queste qui sono un po’ più grasse”. Mentre mi parla, la sua manona strizza la barbuta testolina di un capretto scuro: animali e allevatori sembrano riconoscersi, e infatti nei miei confronti ovini e caprini ricambiano soltanto soggezione.

Se una capra è una capra e un allevatore un allevatore, le condizioni di partenza non sono sempre uguali. Dinanzi a infrastrutture e tecnologie gli sguardi albanesi si accendono di novità: quando Corrado illustra un sistema di mungitura meccanica, quando utilizza una sonda per l’ecografia o quando raccomanda una fiala di antibiotico, la domanda, posta pressoché all’unisono, è: “quanto costa?” – è questo l’unico caso in cui le risposte non destano ottimismo. Altre volte, però, l’accorgimento suggerito è semplice ed economico. È il caso della pedana rialzata che Corrado usa per mungere, o della “mangiatoia con l’autocattura”, un sistema rudimentale nella realizzazione ma sofisticato nell’esito, perché costringe le pecore a mangiare in file ordinate, garantendo ad ogni capo la giusta quantità di nutrimento. Mentre il gregge procede in fila indiana, gli allevatori ospiti scattano qualche foto. “Questo quando torno lo faccio anch’io” è una frase che nessuno pronuncia, ma che un incrociato gioco di sguardi suggerisce essere condivisa.

Voglia di cambiare

Nella visione di RTM, il cambiamento si genera dagli incontri. Per questo, al termine della “gita”, le persone conosciute quasi non si contano. Sistemando i file sul computer, ripasso il coraggio di Marco Maraglia, che con la sua piccola azienda agricola (“Il laghetto”) ha puntato tutto sull’allevamento caprino: le sue caciotte sono il suo oro, ma per i suoi ospiti venuti da lontano Marco ha tagliato senza pesare. Mi torna poi in mente la simpatia dei fratelli Santini, che a Valbona, frazione di Collagna, tengono anche le mucche. Oggi Giuseppe Santini ha in garage cinque trattori, ma nella sua stalla due asini gli ricordano i suoi antenati: “Quello è per mia figlia, l’altro per mia nipote. Erano il mezzo di trasporto dei nostri pastori transumanti – aveva spiegato agli albanesi, ricevendo indietro un benevolo “lo sappiamo bene” –, oggi sono soltanto una perdita, ma noi abbiamo questa tradizione qui, cosa vi debbo dire…”. Infine, ripenso volentieri alla bella tavolata italo-albanese imbastita presso la cooperativa “Valle dei Cavalieri ” di Succiso, vero fiore all’occhiello di un territorio che ha creato lavoro e sviluppo a partire da risorse e identità proprie.

Se il metodo RTM avrà fortuna, nel lungo periodo qualcosa di simile potrebbe accadere nel nord Albania. Dove il pil procapite è meno di un sesto di quello italiano. Dove la parola “cooperativa” evoca un passato oscuro. Dove un paesaggio incontaminato toglie il fiato. Dove Pashk, Behar, Gjergj, Mesar e Paola stanno lavorando, con le proprie mani e le proprie competenze, a un domani diverso. Un domani albanese.

Il progetto di RTM

Attenzione al destino di intere famiglie, allo sviluppo delle comunità locali, al paesaggio, ai temi dello sviluppo economico. Sono questi gli elementi cardine che l’Alleanza per lo sviluppo e la valorizzazione dell’agricoltura famigliare del nord Albania si propone di mettere in moto, lavorando a partire dai saperi tradizionali, dalle produzioni tipiche e dal ruolo della donna.

Lanciato il 4 luglio dalla città di Pukë, questo progetto triennale è promosso da due ong italiane – Reggio Terzo Mondo (RTM ) e Cooperazione per lo sviluppo paesi emergenti (COSPE ) – con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Obiettivo dell’iniziativa è lo sviluppo eco-sostenibile di uno dei territori più arretrati dell’Albania.

Per maggiori informazioni, vai al dossier dedicato di OBCT.


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