La Serbia possiede una legge unica e con alti standard, alla cui realizzazione hanno contribuito gli stessi whistleblower. Non mancano tuttavia incongruenze nella sua applicazione

22/11/2017 -  BETA Belgrado

(Originariamente pubblicato da Beta News Agency , nostro media partner del progetto ECPMF)

In Serbia, l’applicazione della Legge sulla tutela dei whistleblower, entrata in vigore due anni e mezzo fa, finora ha dato ottimi risultati, facendo emergere però al contempo alcune lacune che, secondo gli esperti, sono una chiara indicazione del fatto che la legge non è rimasta lettera morta. Non è sufficiente che la nuova normativa sulla tutela dei whistleblower funzioni nella prassi, ma è anche necessario che i fatti corruttivi da loro denunciati vengano adeguatamente sanzionati, perché questo è il motivo principale e lo scopo ultimo del whistleblowing.

“La legge è pensata in un’ottica molto ampia, allo scopo di garantire ai whistleblower la più completa tutela possibile, il che comporta il rischio che il testo normativo venga interpretato in modo contrario alle intenzioni del legislatore e di tutti noi che abbiamo partecipato alla sua stesura. Questa è l’unica legge sulla tutela dei whistleblower al mondo alla cui elaborazione hanno partecipato, su richiesta di Pištaljka, gli stessi whistleblower”, ha precisato Dragana Matović, caporedattrice del portale Pištaljka dedicato alle inchieste sulla corruzione e altri abusi di potere, nonché alla tutela dei diritti dei whistleblower. 

Dall’analisi dei primi due anni di applicazione della legge, svolta dal portale Pištaljka, è emerso che alcune osservazioni sul testo normativo, fatte dal portale prima dell’entrata in vigore della legge, erano precise e lungimiranti.

La prassi ha infatti portato a galla alcune incongruenze nell’attuazione della legge, dovute innanzitutto al modo in cui è organizzato l’intero sistema giudiziario, e in particolare i tribunali ma, come sostiene Dragana Matović, sono cose che andranno risolte strada facendo, con il coinvolgimento di giudici e esperti di whistleblowing.

“Vi è poi il problema delle tasse giudiziarie, ovvero dell’esonero [dei whistleblower] dal pagamento delle spese processuali. Inoltre è di fondamentale importanza che i giudici ricevano un’apposita formazione. E naturalmente, vi è anche la questione della necessità di processare e sanzionare i responsabili di fatti corruttivi, una questione che non è stata affrontata da questa legge ma che deve andare di pari passo con la sua applicazione“, ha spiegato la Matović all’agenzia Beta.

L’avvocata ha inoltre aggiunto, che oltre al miglioramento del funzionamento dei canali di segnalazione, è necessario anche fornire un’adeguata formazione ai soggetti interni all’ente preposti alla ricezione delle segnalazioni che, quando svolgono il proprio lavoro con coscienza, spesso subiscono le stesse pressioni a cui sono sottoposti i whistleblower.

Pištaljka è l’unico centro di assistenza legale in materia di whistleblowing nei Balcani e i suoi avvocati sono impegnati, come consulenti e rappresentanti legali dei whistleblower, in decine di procedimenti penali, offrendo inoltre consulenza legale ai cittadini che vogliono sapere quali sono i loro diritti nel caso decidessero di segnalare un illecito. All’indirizzo di Pištaljka quotidianamente pervengono diverse richieste di consulenza legale, accompagnate da una consistente documentazione sugli illeciti riscontrati, tra cui prevalgono quelli compiuti nel servizio pubblico, per lo più nei settori di sanità, istruzione e pubblica amministrazione.

Risultati oltre le aspettative

La legge sulla tutela dei whistleblower è stata approvata nel novembre 2014, entrando in vigore nel giugno nell’anno successivo.

Secondo Dragomir Milojević, presidente della Corte Suprema di Cassazione, i risultati dei primi due anni e mezzo di applicazione della legge hanno superato tutte le aspettative, e la legge continua a dare ottimi frutti, contribuendo affinché gli organi del potere pubblico prendano sul serio la questione della tutela del whistleblower.

“Tuttavia, ben presto è diventato chiaro quali fossero le carenze e i punti deboli della legge”, ha dichiarato Milojević all’agenzia Beta, precisando che le sentenze emesse dai tribunali non sempre vengono rispettate in quanto alcuni datori di lavoro semplicemente ignorano il fatto che il tribunale si è pronunciato a favore dei whistleblower. A suo parere, per garantire un’efficace attuazione della legge e prevenire la violazione delle sue disposizioni, è necessario introdurre sanzioni più severe in caso di violazione dei diritti previsti dalla legge, e soprattutto in caso di inosservanza delle sentenze a favore dei whistleblower.

“È inoltre necessario istituire un meccanismo di tutela dei whistleblower dalle ritorsioni [da parte del datore di lavoro] sotto forma di persecuzione penale“, ha aggiunto Milojević.

Stando ai dati della Corte Suprema di Cassazione, dall’entrata in vigore della Legge sulla tutela dei whistleblower fino al 30 giugno 2017 sono stati avviati 427 procedimenti penali relativi al whistleblowing, di cui 364 risultano conclusi, ma al momento non si dispone di dati sul numero di procedimenti giunti a una sentenza definitiva.

Nel 2015 presso i tribunali serbi sono stati avviati 55 procedimenti penali legati al whistleblowing, di cui 33 si sono conclusi, mentre nel 2016 il numero di procedimenti avviati è salito a 295, di cui 241 sono giunti a termine.

Una legge modello

Stando alle parole di Dragana Matović, la legge serba sulla tutela dei whistleblower è considerata il gold standard a livello internazionale da parte dei maggiori esperti in materia, in primis quelli statunitensi che vantano un’esperienza pluridecennale nel settore, tra i quali spicca il nome di Tom Devine, che aveva collaborato con uno dei più famosi whistleblower al mondo, l’ex poliziotto newyorkese Frank Serpico.

Tom Devine da decenni dirige l’ufficio legale di un’organizzazione dedita alla tutela dei diritti dei whistleblower e ha partecipato, come consulente esterno, all’elaborazione della legge serba.

Matović ha inoltre precisato che le disposizioni della legge serba fungono da modello per molti paesi, alcuni dei quali, come il Canada o diversi Stati membri dell’Unione europea, le hanno incorporate nelle proprie legislazioni nazionali, aggiungendo che in occasione delle principali conferenze internazionali sul whistleblowing, la legge serba viene spesso citata come esempio di un atto normativo elaborato in modo eccellente, la cui attuazione nella prassi implica novità ritenute rivoluzionarie.

“Le persone che hanno lavorato alla stesura della legge hanno avuto l’audacia e lungimiranza di opporsi all’inserimento della nozione di buona fede nel testo normativo, perché hanno capito che entrare nel merito delle ragioni che spingono un whistleblower ad agire aprirebbe un illimitato spazio di manipolazione. Le ragioni dei whistleblower non dovrebbero riguardare nessuno fintantoché i fatti da loro denunciati risultano veri. Ormai anche i principali sostenitori del concetto di buona fede – i (giuristi) britannici – ci stanno rinunciando”, ha spiegato la Matović.

Ha inoltre precisato che si è riusciti a resistere alle pressioni di alcuni giuristi serbi che insistevano che nella legge venissero introdotte misure sanzionatorie nei confronti dei whistleblower, da applicare nel caso in cui si dimostrasse che hanno abusato della legge, o se i fatti da loro denunciati si rivelassero falsi.

“Voler implementare una tale minaccia nei confronti dei whistleblower nella legge sulla tutela dei whistleblower rivela una profonda incomprensione della materia”, ha affermato la Matović.

Statistica

Le indagini statistiche svolte da Pištaljka dimostrano che le alte corti serbe raramente rispettano il termine di otto giorni stabilito dalla legge per pronunciarsi su una richiesta di emanazione di una misura provvisoria a tutela dei whistleblower. All’Alta corte di Leskovac tali procedure durano fino a 82 giorni, e all’Alta corte di Kragujevac fino a 72 giorni.

Il “campione” di efficienza è l’Alta corte di Pančevo dove la procedura decisionale di solito dura la metà del tempo previsto dalla legge, ovvero quattro giorni. Seguono la corte di Požarevac (7 giorni), quella di Subotica (8 giorni), e infine le corti di Belgrado, Zaječar e Novi Sad (30 giorni).

Dai dati raccolti risulta che il 60% delle richieste di emanazione di una misura provvisoria è stato indirizzato alle corti di Belgrado, Novi Sad e Požarevac.

Di tutte le richieste pervenute alle alte corti, circa il 40% è stato accolto, il 20% respinto, mentre il 39% non è stato nemmeno preso in esame.

Dragana Matović sottolinea l’importanza delle misure di tutela provvisoria come uno dei più efficaci strumenti a disposizione del giudice per fronteggiare eventuali azioni ritorsive nei confronti dei whistleblower, garantendo la loro reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Affinché possa scattare una misura provvisoria a tutela del whistleblower, è sufficiente che quest’ultimo si richiami alle disposizioni della legge, dimostrando che il licenziamento era avvenuto a seguito della segnalazione.

“Il whistleblower non deve provare niente, ma solo dimostrare che l’azione ritorsiva era avvenuta a seguito della segnalazione. La misura provvisoria deve essere emanata entro otto giorni [...] e una volta che sarà garantita l’incolumità del whistleblower per tutta la durata del procedimento penale, i rapporti di forza cambieranno significativamente. È solo allora che il whistleblower avrà la possibilità di combattere contro un avversario incomparabilmente più potente”, ha spiegato la Matović, aggiungendo che questa applicazione di misure provvisorie è un altro elemento innovativo, unico nel suo genere, della legge serba, valutato come particolarmente efficace nel fronteggiare azioni ritorsive nei confronti dei whistleblower.

Come precisano a Pištaljka, la prima, e finora l’unica, sentenza definitiva pronunciata in un procedimento avente ad oggetto la tutela dei diritti dei whistleblower è stata emessa a un anno e 10 mesi di distanza dall’entrata in vigore della legge.

Alcuni procedimenti penali volti ad accertare l’(il)legittimità del licenziamento dei whistleblower sono durati meno di un anno, e la prima misura provvisoria è stata emanata a quattro mesi di distanza dall’entrata in vigore della legge. A questo proposito, è da notare che negli Stati Uniti la prima misura provvisoria a tutela dei whistleblower è stata emanata a due anni dall’entrata in vigore della normativa in materia, mentre tra i procedimenti ancora pendenti legati al whistleblowing ve n’è uno che dura ormai da 11 anni e ancora non se ne vede la fine.

Gli esperti legali di Pištaljka ritengono, tuttavia, che il vero epilogo delle vicende giudiziarie relative al whistleblowing si avrà solo quando saranno processati e condannati i responsabili di fatti illeciti.

I cittadini serbi finora non si sono mai rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo in merito alle questioni inerenti al whistleblowing.

Un resoconto numerico

Secondo i dati raccolti da Pištaljka, in Serbia 7 whistleblower su 10 sono uomini, e ben 3 su 4 sono dipendenti del settore pubblico. Per quanto riguarda la natura delle segnalazioni, il 42% concerne abusi d’ufficio, il 22% pratiche corruttive e il 15% violazioni dei diritti umani.

Sul versante settoriale, prevalgono segnalazioni di irregolarità riscontrate in ambito economico (19%), seguono la pubblica amministrazione (16%), l’istruzione (14%), la magistratura (11%) e la polizia (11%).

Questo articolo è parte di un dossier tematico realizzato dalla rete dei mediapartner di OBCT: 14 testate giornalistiche con sede in altrettanti paesi. Il dossier completo è disponibile qui.

Per quanto riguarda i soggetti destinatari delle segnalazioni, la maggiore parte viene indirizzata a vari ispettorati (22%) e soggetti interni all’ente (18%), ma anche all’Agenzia per la lotta alla corruzione, ai tribunali e alla procura (13%). Circa il 40% dei procedimenti avviati finisce davanti alla Corte d’appello di Belgrado.

La formazione dei giudici

Secondo quanto affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, 1100 giudici e circa 200 consulenti tecnici d’ufficio finora hanno ricevuto una formazione e preparazione specifica in ordine dell’applicazione della Legge sulla tutela dei whistleblower.

All’inizio del 2017, Pištaljka ha lanciato un progetto, cofinanziato dall’Unione europea, intitolato “Glasna pištaljka“ ("fischio forte"), il cui obiettivo è fornire una formazione specifica in materia di whistleblowing a 1000 giudici e 100 avvocati.

Come sottolineano i responsabili del portale, questo progetto è un’assoluta novità a livello europeo perché è la prima volta che un’organizzazione della società civile fornisce ai dipendenti degli organi statali la formazione sull’applicazione di una legge, usando l’esperienza acquisita in molti anni di lavoro sul campo.

L’interesse dei giudici verso il progetto è notevole, e al termine del percorso è previsto il rilascio della licenza che consente di condurre procedimenti penali in materia di whistleblowing. Lo scambio di esperienze tra rappresentanti della società civile e dipendenti pubblici è molto prezioso e si sta rivelando di fondamentale importanza per una buona applicazione della legge. La speranza è che questo tipo di formazione venga riproposto in occasione dell’implementazione di altri atti normativi.

La legge serba sulla tutela dei whistleblower è l’unica al mondo la cui applicazione è vincolata al possesso, da parte dei giudici, di apposita formazione e licenza.

Chi sono i whistleblower?

Chi sono i whistleblower? Perché un lavoratore può decidere di diventarlo? E se agisce nell'interesse pubblico chi lo protegge? Per un quadro esaustivo sul dibattito europeo in corso leggi il nostro dossier.

Il Resource Centre sulla libertà dei media

Il Resource Centre sulla libertà dei media curato da OBCT mette a disposizione diverse risorse sullo stato della libertà dei media in Serbia. Per approfondire la condizione dei whistleblower nel sud-est Europa, è disponibile questo recentissimo report della Southeast Europe Coalition on Whistleblower Protection.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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