Viktor Ivančić (foto Buka)

Viktor Ivančić (foto Buka )

Intervista a tutto tondo con Viktor Ivančić, uno dei fondatori del leggendario settimanale Feral Tribune: i media in Croazia, nei Balcani e nella ex Jugoslavia. I rischi per la democrazia

24/01/2017 -  Sven Milekić Zagabria

Giornalista di spicco a livello regionale Viktor Ivančić oggi è editorialista di Novosti e Peščanik , un tempo era una delle colonne - insieme a Boris Dežulović e Predrag Lucić - del leggendario Feral Tribune, settimanale che in Croazia durante gli anni '90 è stato l’unico spiraglio di luce del giornalismo libero che si opponeva al nazionalismo dilagante.

Qual è la sua opinione sui media mainstream in Croazia?

I media mainstream di solito sono uniformi quando si parla dei cosiddetti interessi nazionali e dei temi cult pseudo religiosi, come la Guerra patriottica [come viene chiamata in Croazia la guerra degli anni ‘90], lo stato croato e altro. In queste situazioni operano in modo scrupoloso per creare coesione in senso nazionalista e stereotipato. Si potrebbe quasi dire che la nazione croata è un prodotto dei media, perché si compatta sempre su stimolo dei media.

Dall’altra parte, qua vige quel sistema corporativo che ha piazzato il marketing al primo posto, e non è certo una cosa esclusivamente croata. A differenza di altri settori, il giornalismo oggi non vive più grazie a quello che produce. Vive grazie al marketing, tu produci un pezzo giornalistico, ma de facto vivi grazie all’industria pubblicitaria che ti risucchia nella rete della lealtà, in modo particolare in quei paesi dove l’economia è strettamente legata alla politica, come in Croazia.

Così il giornalismo ha preso una direzione di sviluppo a lungo termine suicida e difficilmente riuscirà a venirne fuori. Non ci sono molte possibilità che il giornalismo professionale e onesto, nel senso tradizionale della parola, resista a qualcosa che si chiama libero mercato, in paesi come la Croazia.

Qual è il ruolo dei media no profit?

I media no profit sono importantissimi per la ripresa della professione giornalistica, per conservare le sue forze elementari. Ma perché essi resistano occorre avere, a livello degli apparati, uno stato almeno minimamente rispettabile. Uno stato rispettabile sostiene i media no profit incondizionatamente, finanzia i media che criticano il potere. Purtroppo, da queste parti non abbiamo a che fare con stati nemmeno minimamente rispettabili, ma bensì con stati che sono massimamente maleducati.

Da anni esistono analisi e dati sul livello della libertà dei media nel mondo e da anni in cima a questa lista ci sono paesi come Finlandia, Danimarca o Norvegia: questi paesi investono molto nei media indipendenti. Investono poco invece stati come gli Stati Uniti, la Croazia, la Serbia ecc.

I cittadini dei paesi dove vengono sostenuti i media indipendenti con i mezzi pubblici hanno capito che devono trattare il giornalismo onesto e professionale come un bene pubblico, perché tutti devono avere il diritto ad un’informazione veritiera e oggettiva, invece di essere lasciati esclusivamente in balia delle manipolazioni dei media e dell’aggressione commerciale.

La questione del “bene pubblico” tornerà ad essere argomento di discussione, nei media o altrove?

Non credo che il capitalismo, in particolare nella forma neoliberale, potrà adottare o seguire l’idea del bene pubblico. Il capitalismo ha persino perfezionato l’abilità di assorbire la propria critica e di soggiogarla alla riproduzione dello status quo. I media corporativi sono pieni di articoli critici che sono indirizzati verso il miglioramento dello stato esistente, ma in modo che le fondamenta del sistema governativo non vengano messe in discussione.

Ma se mettete in discussione le fondamenta del sistema, sarete subito marginalizzati. E se proprio volete, questo è uno dei motivi per cui la destra radicale è molto più presente della così detta sinistra radicale.

La destra radicale non mette in discussione il sistema, anzi va molto d’accordo con il capitalismo. Mentre quella sorta di sinistra che cambierebbe in modo radicale il sistema vigente è semplicemente insopportabile. In ogni caso, non credo che, almeno per quanto mi riguarda, convenga spendere energia per migliorare i mass media. Mi sembra più utile lottare per il loro sovvertimento. Restare ai margini in realtà non è male, l’unico problema è che è difficile sopravvivere.

È diversa ad esempio la posizione dei media marginali in Germania rispetto a quelli della Croazia. Invece, non credo che l’influenza dei media no profit e marginali sia proporzionale al loro successo con il pubblico. Non significa nulla la leggibilità di un tabloid rispetto alla capacità di quel media di stimolare l’impegno dei suoi lettori. Ci si dimentica spesso che le persone provano un rifiuto ironico verso quello che leggono e guardano, e che l’autenticità è molto importante.

Si può avere un successo minore con il pubblico e una portata minore ma proporzionalmente una grande influenza. Mi ricordo, per esempio, la situazione alla fine degli anni '90 quando l’HDZ controllava praticamente l’intera scena mediatica croata, tranne il Feral Tribune, Nacional e Novi list, ma persero lo stesso le elezioni. Quindi, non bisogna sopravalutare il potere dei grandi media corporativi.

Riguardo a questo, qual è stato il ruolo dei media alle elezioni presidenziali negli USA? Donald Trump è riuscito a superare Hillary Clinton nonostante il fatto che la maggior parte dei media fosse favorevole a quest’ultima, è perché i media hanno perso di autenticità?

I media col tempo hanno compromesso fin troppo se stessi, nonostante Trump li abbia ulteriormente oltraggiati. L’industria dei media lavora continuamente al proprio discredito. I regimi autoritari prima usavano la censura politica, mentre oggi sono in gioco altre tecniche, prima di tutto la manipolazione. Oggi si usa il cosiddetto accecamento, perché non c’è più bisogno di stornare la pubblicazione di alcune importanti o scomode notizie, ora insieme ad una notizia scomoda si piazzano allo stesso livello di importanza altre nove stupidaggini, senza valore informativo, per accecare in questo modo i lettori.

La funzione fondamentale dei media è rendere il pubblico passivo. Vogliono convincere l’uomo medio che non può fare nulla per cambiare la propria situazione e il proprio destino, figurarsi poter cambiare le cose intorno a sé oppure partecipare alla presa delle decisioni.

Lo convinceranno persino che quell’ottusa impotenza è una sua scelta.

Che ruolo ha l’HDZ in questo mondo neoliberale?

L’HDZ non può scappare dalla propria pelle. Naturalmente seguirà i dettami del capitalismo, come i servi seguono sempre i propri padroni, ma rimarrà sempre un partito nazionalista.

In questo contesto per loro è importante avere lo stato sotto il proprio controllo ed istituzioni che divulghino e curino l’ideologia del sangue e del suolo. L’atteggiamento politico ufficiale dell'HDZ oscilla periodicamente, a volte è molto aggressivo, a volte nascosto dalla retorica pseudo liberale, ma in sostanza è sempre nazionalista e conservatore.

Non crede che questo nuovo HDZ, sotto Andrej Plenković, si sia riformato in un partito più di centro?

È lo stesso trucco che ai tempi aveva usato Ivo Sanader [ex presidente del HDZ e premier fra il 2003 e il 2009, ndr]. Si è visto quanto il partito si è riformato in modo sincero: appena Sanader è uscito di scena, l’HDZ si è trasformato immediatamente in una ‘bestia selvaggia nazionalistica’ con la leadership di Tomislav Karamarko [presidente del HDZ prima di Plenković, ndr].

Dunque il partito de facto non è stato riformato, tutti sanno che si tratta di una retorica di superficie che non cambia la sostanza politica. Credo che si tratti di un gioco collettivo cinico e che tutti partecipino coscientemente a questa rituale vendita di fumo. E Plenković è una nullità ideologica. Il suo discorso è vuoto, sembra una sorta di automa retorico nel quale inserisci una moneta e lui macina e macina. La persona ideologicamente più articolata di questo governo è il vice di Plenković, Davor Ivo Stier [vicepremier e ministro degli Esteri, ndr], che ha scritto un libro che dovrebbe essere la piattaforma ideologica del nuovo HDZ.

Ma quando si rimuove il linguaggio civile da questo libro, allora si vede che il punto di partenza ideologico è profondamente conservatore e di destra, dove appare tutto l’amore per Carl Schmitt. Il punto di partenza di Stier è l’anticomunismo battagliero e paranoico. E l’anticomunismo aggressivo che si manifesta in un momento in cui di comunismo non c’è nemmeno la traccia, in realtà è una sorta di viaggio verso il neofascismo.

L’HDZ dunque oggi appare diverso soltanto come facciata e nella retorica politica quotidiana. Plenković, per esempio, non metterà mai Hasanbegović nella posizione di ministro della Cultura perché lui irrita le persone, tuttavia difenderà sempre le sue uscite pubbliche. Così era anche Sanader, da un lato appariva come una persona rispettabile ma dall’altro aveva un controllo dei media quasi superiore a quello esercitato da tutti gli altri premier dell'HDZ. La sua retorica pro democratica è stata la copertura per atteggiamenti tutt’altro che democratici.

Cosa pensa del Partito socialdemocratico della Croazia, SDP, e del suo nuovo presidente Davor Bernardić? C’è la possibilità di una svolta a sinistra?

Non ho una grande opinione dell'SDP. Questo partito è una tragedia sin dall’inizio, già al tempo di Ivica Račan [ex presidente del SDP e premier fra 2000 e 2003, ndr]. Oggi Ivica Račan viene elevato alle stelle e si cerca di farne un monumento del politico croato modello. Credo che questo sia sbagliato e che uno dei danni maggiori al paese sia stato fatto durante il suo governo, proprio per quello che non ha fatto e che invece avrebbe dovuto fare.

Il governo di Račan doveva entrare in conflitto con la matrice nazionalistica. L’SDP ha sempre pensato di poter ereditare la stessa matrice e di darle un volto umano. Loro hanno costruito l’illusione che esiste un tipo di nazionalismo “vellutato” che sarebbe civilmente accettabile. Sin dall’inizio questo è il problema del centro, che in sostanza è nazionalista, e l’SDP lo ha nutrito. Per me è un errore, non esiste un nazionalismo buono.

In molti si aspettavano che l’SDP iniziasse il cambiamento sociale, ma loro non ci pensavano nemmeno. L’SDP si è impegnato così tanto per non assomigliare al Partito comunista che è scappato “come il diavolo dall’incenso” da tutto il ventaglio di ideali di sinistra, perché aveva paura di compromettersi. Quindi per la Croazia forse sarebbe un bene se l’SDP si sfaldasse, se si disperdesse veramente, e sulle sue ceneri crescesse un movimento autentico di sinistra in grado di rappresentare una reale alternativa al nazionalismo.

Adesso invece c’è questo Bernardić, che è una sorta di simbolo ambulante dell’opportunismo, un vuoto ideologico riempibile con qualsiasi contenuto, che è diventato leader guidato soprattutto dagli ideali di carriera, e che farà di tutto per mantenerla. Come del resto anche Plenković. Anche se da un certo punto di vista, data la situazione odierna, bisogna valutare se la sinistra deve comunque agire in modo istituzionale, perché ci sono stati movimenti come Syriza che hanno messo sul serio in questione il sistema e che attraverso i meccanismi democratici sono arrivati al potere, ma poi sotto forti minacce e pressioni hanno deluso gli ideali per i quali sono stati eletti. Bisogna dunque pensarci se il confronto attraverso le istituzioni del sistema è l’unico metodo di lotta per la sinistra. Io credo di no.

Zoran Milanović, ex presidente del SDP e premier fra il 2011 e il 2015, ha dato un ulteriore colpo di grazia alle possibilità dell'SDP di andare verso sinistra?

Milanović, in particolare nell’ultima fase, ha avuto l’idea comica di poter ottenere un certo sostegno dalla destra moderata croata. Per questo ha basato la sua campagna sulla paura dei Balcani, dell’est, dell’Oriente. Questo anche da un punto di vista pragmatico è stato da idioti, perché quelle persone non voteranno mai per l’SDP. Dall’altra parte, in questo modo ha perso quelli che forse “si sarebbero turati il naso” e avrebbero votato per l’SDP, solo per impedire a Karamarko di salire al potere.

Perché il concetto stesso di Balcani è così odiato in Croazia, perché così tanta paura?

In Croazia all’inizio degli anni '90 con la propaganda si è divulgata un’accezione negativa dei Balcani. Noi siamo una cosa, i Balcani sono un’altra. Si è messa all’opera una certa forzatura del cosiddetto spirito mitteleuropeo e del suo spazio culturale al punto tale che oggi le parole Balcani e Jugoslavia sono più o meno sinonimi di parolacce.

La narrazione nazionalistica costruisce sempre il mito sull’esclusività del proprio popolo e desidera instaurare una distanza sempre maggiore verso gli altri con i quali questo popolo, a causa di sfortune storiche, si è mischiato.

Per quanto mi riguarda, la Jugoslavia non era molto vicina alla democrazia, ma era un paese emancipato in tutta una serie di ambiti, fra l’altro nel sistema multietnico. Per non nominare i passi d’avanguardia, come l’autogestione operaia. E per questo è un peccato che quel paese non sia riuscito a costituirsi in modo democratico, anche se probabilmente non avrebbe potuto farlo vista l’élite che lo guidava. Tuttavia, anche con quel sistema la Jugoslavia era superiore rispetto agli stati che si sono creati con la sua dissoluzione. Allora è ovvio il perché la si deve demonizzare. Tra l’altro, come se la Croazia odierna fosse democratica. Nonostante il suo sistema nominalmente democratico, la Croazia non ha nulla in comune con la democrazia. La nostra partecipazione democratica sta nel fatto che ogni 4 anni votiamo e rendiamo legittima una schiera di scimmie che decideranno nel nostro nome, senza alcuna possibilità che noi si possa partecipare in questo processo. Qua c’è una certa supposizione iniziale della democrazia - le libere elezioni - trasformata nel compimento della democrazia, nel suo scopo finale. Questa è usurpazione, non democrazia.

C’è un’erosione della democrazia anche a livello globale?

Sì, si sta concludendo il processo della professionalizzazione dei meccanismi democratici, sempre più spesso si formano i cosiddetti governi tecnici, il linguaggio economico riempie lo spazio della politica, a tal punto che hai l’impressione che le élite di governo nella maggior parte dei paesi occidentali sviluppati sopportano le elezioni parlamentari come delle emorroidi, come un male necessario, come qualcosa che dobbiamo fare per soddisfare la forma. E in più, nel gioco possono entrare solo i giocatori che devono vincere.

E se dovesse succedere una digressione imprevista, come è successo in Grecia, allora le misure disciplinari verranno applicate con la forza. Le stesse elezioni oggi stanno diventando quasi insensate. E così sono anche i risultati. Se per esempio guardi l’élite politica in Croazia è la peggior cosa che il popolo croato abbia potuto creare, a causa di una selezione negativa che dura ormai da un quarto di secolo.

In realtà la caratteristica della maggior parte delle persone che vivono da queste parti è un profondo conformismo? Nel 1980 andavano ad accompagnare Tito, poi negli anni ’90 si sono rivolti al nazionalismo.

Sono d’accordo. Una volta da qualche parte ho scritto che qua l’unica costanza è la conversione. Il vero trionfo del nazionalismo in questa regione non è stato assicurato da nazionalisti convinti, ma da eserciti di persone che in modo obbediente e in silenzio hanno marciato dietro la bandiera che in quel momento si è spiegata. Da noi la fondamentale energia politica è l’opportunismo.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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