Un telegiornale di RTS

Entro il primo luglio i 74 media serbi che ancora sono di proprietà statale o delle amministrazioni locali dovranno essere privatizzati. Ma già si parla di una proroga ad ottobre

22/06/2015 -  Dragan Janjić Belgrado

Ad una decina di giorni dalla scadenza del termine fissato per l’uscita dello stato dalla proprietà dei media, con conseguente cessazione del loro finanziamento direttamente dal bilancio statale (comunale, cittadino, provinciale o nazionale), né i media direttamente coinvolti né il governo sanno con certezza quale sarà l’esito finale di questo processo. Per come stanno le cose adesso, è quasi sicuro che il termine per concludere la privatizzazione dei più grandi media locali, nonché di alcuni media nazionali di cui lo stato tuttora detiene una quota di capitale, sarà rinviato al prossimo 31 ottobre.

La nuova legislazione sui media prevede, infatti, che lo stato si ritiri dalla proprietà dei media entro il prossimo 1° luglio. Di tutti i media attualmente operanti in Serbia – che secondo i dati ufficiali sono ben 1440 – solo 74 sono ancora di proprietà pubblica (controllati/finanziati per lo più dalle amministrazioni locali), mentre tutti gli altri sono di proprietà privata, inclusi i tabloid ad alta tiratura e tutte le emittenti televisive con copertura nazionale, ad eccezione del servizio pubblico (che comprende la Radio televisione della Serbia, RTS, e la Radio televisione della Vojvodina, RTV). La privatizzazione, quindi, non cambierà in modo significativo l’attuale rapporto di forze sulla scena mediatica serba, ma ciononostante continua a suscitare grandi polemiche in quanto si tratta di una questione politica tradizionalmente molto delicata.

La maggior parte dei 74 media che aspettano ancora di essere privatizzati sono di proprietà delle amministrazioni locali che, finanziandoli direttamente, influiscono sulla loro politica editoriale. Queste amministrazioni, finora, hanno gestito i fondi stanziati per l’aiuto al settore dei media in modo da destinare quasi tutte le risorse disponibili ai media di loro proprietà. Con l’adozione della nuova normativa, si è scelto di far cessare questo meccanismo di finanziamento, per cui i media in questione dovranno trovare un modo per affrontare la privatizzazione e razionalizzare il proprio operato.

La legge prevede che certi progetti nel campo dei media (la produzione di contenuti mediatici), ritenuti di pubblico interesse possano essere finanziati dal bilancio statale, ma le amministrazioni locali esitano a ricorrere a tale opzione in quanto poco propense ad investire in progetti il cui contenuto non possono controllare. E non solo. Invece di avviare per tempo i preparativi per il cambio di proprietà e per l’adozione della nuova modalità di finanziamento, i poteri locali cercano di convincere l’opinione pubblica che la privatizzazione nuocerà ai media, rimanendo ostinati nell’aspettare fino all’ultimo momento, nella speranza che l’intero processo venga di nuovo rimandato.

Come previsto dalle nuove leggi, i media che entro il prossimo 1° luglio non avviano la procedura di trasformazione della proprietà dovranno essere chiusi. Si tratta per lo più di media elettronici che, oltre ad essere estranei alle dinamiche di mercato, risultano appesantiti da un numero eccessivo di dipendenti, dato che i poteri locali hanno proseguito per anni nella prassi di introdurvi i propri dirigenti, e questo fatto già di per sé rende più difficile la privatizzazione prevista. Nel caso venisse meno l’interesse dei potenziali acquirenti, l’unica opzione che resta è quella di offrire ai dipendenti di acquistare azioni, nel tentativo di sopravvivere autonomamente sul mercato.

Rinvio

Secondo quanto anticipato in via ufficiosa, da questo ciclo di privatizzazioni potrebbero essere in parte esclusi, a causa di complesse dinamiche proprietarie (conseguenti anche alla dubbia trasparenza delle precedenti operazioni di compravendita di azioni), i quotidiani Politika e Večernje novosti, di cui lo stato tuttora detiene rispettivamente il 50 e il 30% delle azioni. Ci si aspetta inoltre che venga prorogata la scadenza per privatizzare l’agenzia stampa Tanjug, la RTV belgradese Studio B (di proprietà dell’amministrazione cittadina) nonché le radio-televisioni di Niš e Kragujevac, anch’esse interamente di proprietà delle amministrazioni locali.

Il governo centrale sinora ha mancato di esercitare la propria influenza sulle amministrazioni delle grandi città e di obbligarle a portare a termine le privatizzazioni e si trova ora nella situazione di dover affrontare le richieste di una proroga o persino di un’esenzione totale dal processo di privatizzazione sollevate dalle radio-televisioni locali che impiegano il maggior numero di dipendenti.

Dal ministero della Cultura e dell’Informazione hanno confermato che, nel caso si arrivasse ad una discussione parlamentare su un possibile rinvio, nella loro proposta verrà precisato che un’eventuale proroga potrà essere valida solo fino al prossimo 31 ottobre ed applicata esclusivamente ai media che hanno già avviato la procedura di cambio di proprietà. L’adozione di tale proposta significherebbe automaticamente la proroga della scadenza per la privatizzazione dei quotidiani Politika e Večernje novosti, nei quali vi è già una quota significativa di capitale privato.

I primi tentativi di riformare il settore dei media in Serbia risalgono al 2003, tuttavia ogni azione concreta veniva puntualmente rimandata, proprio a causa delle pressioni politiche provenienti dai poteri locali, a cui si aggiungeva il costante timore di dover affrontare le conseguenze dei licenziamenti. L’attuale esecutivo, guidato dal premier Vučić, sembra, almeno per ora, più deciso rispetto ai suoi predecessori, dimostrando di volersi impegnare per portare a termine un processo avviato più di dieci anni fa.

L’esecutivo serbo, del resto, non dispone di sufficiente spazio di manovra per poter cambiare in modo radicale la formula ormai concordata. La riforma dei media è stata ideata in stretta collaborazione con le associazioni dei giornalisti locali e con la Commissione europea e rappresenta una delle condizioni per il proseguimento dei negoziati di adesione del paese all’UE, per cui il governo del premier Vučić non ha alcun interesse ad ostacolarla.

Denaro

L’obiettivo principale della trasformazione della proprietà dei media è quello di garantire a tutti i media pari condizioni di accesso al mercato, soprattutto a livello locale dove i piccoli media privati stanno scomparendo uno dopo l’altro perché costretti a dipendere da un mercato poco redditizio, mentre quelli di proprietà delle amministrazioni locali continuano a sopravvivere grazie ai finanziamenti concessi dai rispettivi comuni.

Gli oppositori alla privatizzazione insistono sul fatto che i media privati stiano ampiamente violando il codice deontologico della professione e che si lascino facilmente influenzare dal governo e da altri centri di potere. Tuttavia, neanche il comportamento dei media che sono ancora di proprietà statale – sia che si tratti di comuni e città o delle autorità centrali – risulta più professionale, per cui è chiaro che la forma di proprietà, di per sé, non è una garanzia del mantenimento di alti standard professionali. E in più, in alcune città, come ad esempio a Niš o Vranje, i media privati sono praticamente gli unici ad offrire un punto di vista critico nei confronti delle autorità locali.

La chiave del problema, ovviamente, sta nell’instaurare meccanismi sostenibili in grado di garantire un’effettiva parità di condizioni per tutti i media, rafforzando in questo modo la libertà di stampa. Uno dei principali passi da compiere in tale direzione consiste nel passare dalla prassi di finanziare i media direttamente dal bilancio statale al project financing di pubblico interesse. Molti comuni, tuttavia, esitano a stanziare risorse a tale scopo per cui, nel caso si spegnessero i media di loro proprietà, finirà per spegnersi anche l’informazione pubblica a livello locale.

Un’altra questione particolarmente delicata concerne quei media locali tutt’oggi di proprietà statale che realizzano programmi nelle lingue delle minoranze. Pure questi programmi dovrebbero rientrare nel quadro del project financing, ma le amministrazioni locali hanno mancato di avviare in tempo i preparativi per il passaggio al nuovo sistema, apprestandosi ora ad invocare il diritto all’informazione nelle lingue minoritarie come argomento contro la trasformazione dei media locali, costringendo in questo modo lo stato a cercare una soluzione alternativa per far sopravvivere suddetti programmi.

Il governo, dal canto suo, ha dato un buon esempio aumentando in modo significativo le risorse destinate al project financing. I concorsi a cui hanno partecipato i media privati si sono già conclusi e l’assegnazione dei premi, da parte di una commissione indipendente composta da diversi esponenti autorevoli nel campo dei media, si è svolta all’insegna di un ragionamento “populista” che ha portato alla concessione dei finanziamenti pubblici al maggior numero possibile di media. Così al più rilevante dei cinque concorsi indetti dal ministero della Cultura e dell’Informazione sono stati approvati ben 161 progetti per un ammontare complessivo di un milione di euro (pari a 120 milioni di dinari), suscitando la disapprovazione degli esperti del settore che ritengono necessario un innalzamento qualitativo dei criteri di valutazione.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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