Nonostante una legge adottata tre anni fa, la proprietà dei media in Serbia resta ancora poco trasparente e la privatizzazione non ha certo eliminato l'influenza del potere sulle politiche editoriali

(Pubblicato originariamente da Beta , media partner del progetto ECPMF, il 31 marzo 2017. Quella qui pubblicata è una riduzione)

Nonostante la tanto annunciata riforma dei media del 2014, l’Associazione dei media in Serbia denuncia la persistente opacità della proprietà dei media nel paese. Nel frattempo al ministero della Cultura vengono annunciate modifiche delle leggi che regolamentano il settore dell'informazione.

Dalila Ljubičić, direttrice dell’Associazione dei media, sottolinea che la riforma del 2014 e l’istituzione del Registro dei media, gestito dall’Agenzia per i registri economici, non è stata sufficiente a raggiungere l'obiettivo di facilitare la diffusione di informazioni sui proprietari degli organi di informazione.

“Adesso abbiamo un Registro che non è né aggiornato né funzionale e, ancora peggio, persistono forti dubbi sulla validità dei dati inseriti: per via di inserimenti sbagliati e per la mancata standardizzazione dei dati inseriti. E nessuno risponde di tutto ciò”, afferma Dalila Ljubičić, secondo la quale è sempre più importante che il pubblico abbia a disposizione informazioni chiare e dettagliate non solo su chi detiene la proprietà dei media ma anche sugli interessi di chi vi sta dietro. 

Il Segretario statale per i media Nino Brajović ammette che in questo settore le riforme non hanno dato buoni risultati, soprattutto a causa delle sanzioni - troppo blande - previste per chi non rispetta le nuove normative: se il proprietario di una testata decide di non iscriverla nel registro dei media, l'unica conseguenza a cui va incontro è la perdita del diritto a ricevere sostegno economico da parte dello stato, che è il motivo per cui la maggior parte dei media si registra. “Purtroppo, nemmeno la registrazione garantisce sulla vera proprietà dei media, ma in questi casi si tratta di violazioni di legge”, afferma Brajović.

Privatizzazione incompleta

La privatizzazione dei media in Serbia si è conclusa l’anno scorso. Su oltre 70 testate che dovevano essere privatizzati, ne sono state messe in vendita 50. Di queste, 34 sono state effettivamente vendute, altre invece sono state chiuse. Solo in un numero limitato di casi, è stato offerto ai dipendenti di partecipare all'acquisizione.

Le associazioni giornalistiche hanno mosso parecchie obiezioni sul processo di privatizzazione, soprattutto perché i media locali sono stai comprati da magnati vicini al governo con il conseguente aumento dell'influenza del potere sulla loro politica editoriale. Un esito questo specularmente opposto a quello inizialmente auspicato dal processo di privatizzazione.

Si è così introdotta una certa trasparenza sulla proprietà ma non meccanismi solidi che tengano conto dell’interesse pubblico e della necessità di contenere l'influenza della politica sull'orientamento editoriale, in particolare quando si tratta di media locali.

L'incertezza sugli assetti proprietari coinvolge anche la partecipazione statale, una situazione che riguarda in particolare tre testate: si tratta dei quotidiani Večernje novosti e Politika - in cui lo stato, nonostante un esplicito divieto giuridico, mantiene una parte significativa della proprietà - e dell’agenzia di stampa Tanjug, che è stata formalmente chiusa su decisione del governo, ma continua ad operare, trasmette servizi e utilizza risorse delle aziende pubbliche e delle istituzioni statali.

Politika e Večernje novosti sono rimasti in parte di proprietà dello stato perché non è stato trovato alcun investitore disponibile a subentrare alle istituzioni. Al Večernje novosti il 60% è in mano a tre aziende estere dal profilo poco chiaro, un fondo investimenti e due compagnie internazionali, e il businessman serbo Milan Beko ha ammesso più di un anno fa di esserne il proprietario. L’andamento dell’azienda è connotato da contestazioni, influenze politiche e debiti.

La metà della proprietà di Politika è passata nel 2012 nelle mani del russo East Media Group, sul quale si dispone di informazioni estremamente limitate. Il gruppo editoriale è stato registrato a Mosca nello stesso anno in cui ha comprato la quota di Politika, e ad oggi non si conoscono gli interessi politici dietro a questa transazione.

Dalila Ljubičić crede che questa situazione, che all’opinione pubblica viene presentata come il nodo gordiano, potrebbe essere risolta molto più velocemente e facilmente rispetto a quanto solitamente sostenuto. "La testata opera solo in Serbia, e ha quindi rilevanza solo sul territorio nazionale: questo ne fa un ostaggio della politica locale. Dato che in Serbia si va frequentemente al voto anche la soluzione di questa questione è stata posticipata di anno in anno”, sottolinea.

L’agenzia Tanjug opera da quasi un anno e mezzo al di fuori della legge, da quando cioè ne era stata prescritta la chiusura in seguito alla mancata privatizzazione. Non c’è una risposta chiara e convincente rispetto a quale sia la base giuridica che permette a tanjug di stringere accordi di mercato, ricevere denaro e assumere personale.

Sempre Ljubičić afferma che Tanjug è “qualcosa che gli studenti di diritto analizzeranno nel futuro. Le generazioni a venire si stupiranno di come sia stata possibile una cosa del genere nel 21° secolo”. Il segretario di stato Brajović, invece, crede che questa agenzia meriti una possibilità: “Andrebbe mantenuta nonostante la privatizzazione mal riuscita. Potrebbe divenire una società per azioni oppure una società a responsabilità limitata con la maggioranza di proprietà statale”.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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