Il campo di Gevgelija e la rete che lo separa dalla Grecia (foto G. Vale)

Il campo di Gevgelija e la rete che lo separa dalla Grecia (foto G. Vale)

Prima di arrivare nella cittadina di Gevgelija, in Macedonia, il nostro inviato fa tappa a Salonicco per parlare col sindaco della città della situazione relativa ai rifugiati. Terza puntata del viaggio lungo la rotta balcanica

14/09/2015 -  Giovanni Vale Salonicco

Salonicco non è un fermata necessaria sulla rotta dei Balcani. Chi arriva presto la mattina al porto di Atene può prendere un autobus che lo porta direttamente alla frontiera macedone. Pochi rifugiati fanno dunque scalo nella seconda città greca e, se lo fanno, è soltanto per cambiare mezzo di trasporto. In questa città portuale però, abbiamo appuntamento con uno dei politici più popolari della Grecia, alla vigilia delle ennesime elezioni generali. Yannis Boutaris, 74 anni e una carriera da viticoltore alle spalle, è dal 2010 sindaco di Salonicco. Orecchino, tatuaggi sulla mano e sulle dita, Boutaris proviene dalla società civile e si vanta di aver rivoluzionato l’amministrazione comunale lottando contro la corruzione. Oggi però, ci incontra per parlare del flusso di persone che attraversa da diversi mesi il suo Paese.

Quando entriamo nell’ufficio del sindaco, Jean-Claude Juncker ha appena annunciato il suo piano di quote obbligatorie per l’Unione europea. I 28 stati membri dovranno accogliere 160.000 richiedenti asilo presenti in Italia, Ungheria e Grecia. Nonostante la notizia apparentemente buona, Boutaris non è contento. “Si sta facendo troppo poco e troppo tardi”, sbotta. “L’Unione europea dovrebbe negoziare direttamente con la Turchia. Trovare un accordo per ripartire i rifugiati che sono lì a seconda del paese in cui vogliono andare e delle disponibilità di ogni stato di destinazione. Evitare loro questa lunga rotta e farli arrivare in aereo”, afferma. “Bisogna tenere a mente che in Turchia ci sono quasi due milioni di siriani, che faremo se i turchi iniziano a spingerli fuori?”, ci chiede, ma non aspetta la risposta. “La verità è che la metà dell’Unione odia i rifugiati”, lancia, amaro. Boutaris spera che un rallentamento del flusso migratorio permetterà di far rinascere quello spirito cosmopolita che ha sempre caratterizzato la sua città, “la madre dei rifugiati”, come la chiama lui.

Ma per il momento, le autorità greche hanno registrato in due mesi un aumento degli ingressi nel paese del 250%, mentre le richieste di asilo sono in drastico calo. Nessuno vuole restare. E a Salonicco come ad Atene, i taxi diretti ad Idomeni, l’ultimo comune greco prima di Gevgelija, sono presi d’assalto, nonostante il prezzo proibitivo di 100 euro per quattro persone (contro gli 8 euro dell’autobus). I rifugiati arriveranno a pochi chilometri dalla frontiera e dopo una breve marcia dovranno attendere in fila nella cosiddetta “buffer zone”, la terra di nessuno che si trova al di là della ringhiera che separa dal centro di accoglienza di Gevgelija. Nell’attesa, una mezza dozzina di venditori ambulanti cercheranno di convincerli a comprare una bottiglia d’acqua, un cesto di banane o una bibita in lattina. Dei prodotti cari, smerciati ad almeno due euro, ma in questa calura estiva senza via d’uscita - lo sanno questi improvvisati economisti - la domanda è rigida.

Oltre il cancello che un agente macedone apre ogni quarto d’ora per far entrare i nuovi arrivati a gruppi di cento, è già territorio macedone. La temperatura è la stessa, ma almeno qui, nel campo dell’UNHCR, l’acqua è gratuita e ci sono alcune tende per ripararsi dal sole. Ci si lascia allora cadere per terra e si aspetta di ottenere i nuovi documenti per continuare il viaggio.


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