Immagine tratta dal fotoracconto di Alessandro Coccolo

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Sembra il gioco dell’oca, ma è tutt’altro che ludico. I migranti arrivati in Austria ai tempi dell'apertura del corridoio umanitario ora vengono rispediti in Croazia, intesa come primo paese Ue d'approdo

15/11/2016 -  Chiara Milan

Ufficialmente il corridoio umanitario che dalla Macedonia conduceva ad Austria e Germania attraversando Serbia, Croazia e Slovenia, è stato chiuso nel marzo 2016, dopo aver permesso il passaggio di circa 700.000 migranti da settembre 2015. Nonostante la chiusura, la cosiddetta “rotta balcanica” continua ad essere percorsa da centinaia di rifugiati che fuggono da guerre e povertà. Gli arrivi sono drasticamente diminuiti da marzo, ma sono ancora migliaia le persone che continuano ad attraversare i Balcani occidentali nel tentativo di raggiungere il nord Europa, affidandosi, ora, a trafficanti di esseri umani senza scrupoli.

Eppure anche coloro che sono riusciti ad arrivare nei paesi di destinazione non possono dormire sonni tranquilli. Da luglio l’Austria ha iniziato ad espellere regolarmente in Croazia i rifugiati arrivati nel paese tra dicembre 2015 e marzo 2016, durante l’apertura del corridoio umanitario.

Molti di loro si trovavano in Austria da mesi, ci raccontano le instancabili attiviste del comitato “Border Crossing Spielfeld”, che da più di un anno fornisce supporto, anche legale, ai migranti che cercano di attraversare il confine dalla Slovenia. Alcuni avevano già iniziato un percorso di inserimento in vista di una futura integrazione, e molti hanno diritto alla protezione internazionale. Si stima che, da luglio di quest’anno, più di 3.300 rifugiati siriani, iracheni e afghani siano stati espulsi verso vari paesi EU – ma gli attivisti preferiscono usare la parola “deportati”. La Croazia finora ha ricevuto da parte dell’Austria la richiesta di prendersi in carico 1782 migranti. Il numero di quelli effettivamente deportati dall'Austria alla Croazia ammonta a 275. “Sembra il gioco dell’oca”, commenta una delle volontarie, “salti tre caselle e poi devi ripartire dal via”. 

Dall’Austria alla Croazia, percorso a ritroso

Dall’Austria, dunque, i migranti vengono trasportati senza preavviso all’hotel Porin di Zagabria, un vecchio hotel risalente all’epoca socialista e ora dismesso alle porte della capitale. Attualmente l’hotel è sovraffollato, con persone che dormono ovunque, incluso lungo i corridoi. Al suo interno si trovano anche famiglie, che dovrebbero invece essere ospitate al centro di ricezione di Kutina, a 75 km da Zagabria, destinato ai casi vulnerabili. Anche a Kutina, però, è stato sforata la soglia di accoglienza.

Da quando sono iniziate le deportazioni in territorio croato, le attiviste del “Border Crossing Spielfeld” si recano regolarmente di persona per incontrare i rifugiati che stavano seguendo in Austria. Attraversano i confini con le auto cariche di cibo per bambini e medicinali, ascoltano storie, segnano nomi, offrono supporto legale e, molto concretamente, riportano ai migranti i loro averi, che hanno dovuto lasciare in Austria, paese che sono stati costretti a lasciare all’alba portandosi dietro solo lo stretto necessario.

Perché questo accade? Com’è possibile che l’Austria rimandi indietro richiedenti asilo che avevano già oltrepassato la frontiera e che stavano iniziando una nuova vita nel paese? Ancora una volta, bisogna fare riferimento al trattato di Dublino III. Secondo quanto previsto dal regolamento, il primo stato dell’Unione Europea in cui il cittadino di un paese terzo è entrato ed è stato identificato (anche tramite impronte digitali) è competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale. Secondo l’Austria, dunque, spetta alla Croazia gestire le richieste di asilo dei rifugiati che si trovano al momento in suolo austriaco.

In realtà, per la maggior parte dei migranti il primo paese europeo di entrata è la Grecia, in cui però non posso essere rispediti in quanto il sistema di accoglienza e asilo è stato dichiarato al collasso. I migranti vengono quindi deportati dalle autorità austriache nel secondo paese europeo di entrata, cioè la Croazia. Il processo è il seguente, spiegano dal ministero dell’Interno austriaco: l’Austria fa richiesta alla Croazia di prendere in carico le richieste di asilo di migliaia di migranti transitati per il suolo croato. Se la Croazia non oppone obiezioni entro un periodo di due mesi, le deportazioni scattano automaticamente entro quattro settimane. Se lo stato membro non risponde alla richiesta, allora si ritiene che implicitamente accetti di prendersi in carico ed esaminare le richieste di protezione internazionale dei migranti espulsi. I criteri secondo i quali le espulsioni avvengono non sono ancora stati resi noti dai ministeri dell’Interno di entrambi i paesi.

Le reazioni della società civile: lasciateli rimanere!

Nonostante la società austriaca si trovi divisa tra coloro che supportano i migranti e coloro che invece si oppongono duramente alle politiche di accoglienza, parte della società civile ha deciso di non far passare sotto silenzio le espulsioni. Domenica scorsa in 13 città dell’Austria si sono tenuti sit-in in solidarietà con i rifugiati, durante i quali cittadini austriaci e migranti hanno scandito lo slogan “Lasciateli rimanere!” (Let them stay!). La notizia delle deportazioni in suolo croato inizia a trapelare anche nei media internazionali, grazie soprattutto alla campagna di informazione di diversi comitati dal basso attivi fin dall’inizio della cosiddetta crisi dei rifugiati, soprattutto lungo il confine con la Slovenia.

Alcuni avvocati austriaci si stanno occupando dei casi di espulsione in Croazia, in quanto si prospetta che queste deportazioni siano illegittime. La deportazione nel primo paese membro di arrivo è infatti permessa nei casi in cui il migrante sia entrato illegalmente nel paese. Eppure coloro che ora vengono rispediti indietro sono entrati in territorio austriaco quando il corridoio umanitario era aperto, il protocollo di Dublino III sospeso, e il trasporto pubblico organizzato dalle autorità statali per permettere ai migranti di percorrere in modo sicuro la rotta balcanica. In poche parole, il trattato di Dublino III non può avere effetti retroattivi, spiega un avvocato che si occupa dei casi di deportazioni dall’Austria alla Slovenia e Croazia. Dalla Croazia, inoltre, i migranti rischiano di essere deportati in Serbia, paese considerato non sicuro.

Le prospettive per i richiedenti asilo che vogliano entrare in suolo austriaco non sono affatto rosee. Da gennaio l’Austria ha messo un tetto al numero di persone che potranno fare richiesta di asilo nel 2016: saranno 37.500. Una volta superata la soglia, i rimanenti verranno respinti o rimandati indietro nei paesi dai quali sono arrivati, ha avvertito il governo. A fine settembre, le domande di asilo presentate in Austria ammontavano al 75% del totale. In ogni caso, una legge approvata a maggio di quest’anno autorizza lo stato a respingere qualsiasi richiesta di asilo se il paese è in uno stato dichiarato di emergenza.

Una marcia della speranza per l’apertura dei confini

Vi è poi la questione dei migranti rimasti bloccati lungo la rotta balcanica per la chiusura dei confini. Una situazione disperata.  Venerdì circa 140 persone, la maggior parte dei quali provenienti da Pakistan e Afghanistan, si sono messe in marcia da Belgrado per raggiungere a piedi la Croazia, ma sono state bloccate al confine vicino a Tovarnik, valico di frontiera con la Croazia. Per loro il confine è rimasto chiuso, e circondato dalla polizia da entrambe le parti. La notizia è apparsa anche nei media italiani, anche se il pubblico sembra rimanere tiepido, e in molti casi ostile, di fronte alle richieste dei migranti.

Per i quasi 1.000 rifugiati accampati nella capitale serba le condizioni a Belgrado sono ormai invivibili. Non possono dormire nei parchi sia per via delle temperature rigide che per l’opera di “ristrutturazione” condotta quest’estate dalla municipalità, che ha fatto recintare le aree erbose. Recentemente la polizia ha evacuato l’intera area attorno alla stazione, sgomberando con la forza i magazzini abbandonati e fatiscenti dentro i quali trovavano rifugio centinaia di disperati. Anche il chiosco dell’iniziativa “Info Park”, che distribuiva pasti caldi e una postazione per ricaricare i cellulari, è stato fatto rimuovere dalle autorità cittadine, anche se alcuni volontari continuano la loro opera di distribuzione ai migranti rimasti intrappolati in Serbia.


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