Ho vissuto per due anni a Vraca, sopra Grbavica, nella stessa strada dove c’era la sede dell’associazione di Divjak. Andava in ufficio a piedi, l’affetto con cui i sarajevesi lo salutavano, quando passava, bastava a spiegare tutto. Il fatto di essere serbo, e di aver difeso la città dai nazionalisti serbi, era la cosa che più impressionava i giornalisti stranieri. Certo, c’era anche questo. Ma Divjak non era stato il solo a fare questa scelta. E con il tempo, la cosa che più colpiva era la sua libertà di pensiero, la disponibilità a parlare di tutto senza reticenze, fedele alla sua visione del mondo. Una visione del mondo molto chiara, in cui il valore più importante era la difesa dei più deboli. Un giorno gli avevo chiesto come avessero fatto a difendere per 4 anni la città da un esercito così potente. Noi avevamo la superiorità morale, mi aveva spiegato. Spero che la sua associazione continui, è l'eredità che lascia in dono a Sarajevo, e non solo.

21/04/2021 - 

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