I ricordi

Edvard Cucek - Associazione progetto Prijedor

16/04/2021 - 

Mi coglie naturalmente incredulo questa triste notizia. Zio Jovo, Generale difensore della Sarajevo assediata, fondatore della Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina”, uomo tutta la vita rimasto sulla stessa sponda, quella della verità, Jovan Divjak se ne andato per sempre. Anche se all’età di 84 anni – con un percorso della vita straricco e pieno di obbiettivi raggiunti molto importanti – perderlo, ne sono consapevole adesso, sarebbe stato ed è comunque e sempre troppo presto. Lascia infatti un vuoto incolmabile. A noi bosniaci, agli europei, al genere umano.

Sarebbe un’occasione sprecata scrivere adesso qualcosa di essenziale e che riguarda una conoscenza quasi casuale e un’amicizia andata avanti per diversi anni, scrivendo dei dati anagrafici di Zio Jovo (così gli piaceva essere chiamato), oppure del suo percorso da soldato e da eroe della difesa di una delle città più multietniche di tutta la vecchia signora Europa. Alcune cose devo dirle però. Raccontate proprio da lui.

Anche se belgradese di nascita, aveva capito, ancora anni prima della guerra bosniaca, che quello di Sarajevo sarebbe stato per sempre il suo destino. Non ha tradito mai le proprie convinzioni. Nemmeno in quei primi giorni della sanguinosa primavera del 1992 che vedrà la sua Sarajevo incatenata dai criminali dell’esercito di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, quando bloccò tutti gli armamenti leggeri della “Difesa Territoriale” (una specie di esercito regionale) e invece di consegnarli al quartier generale di allora – Armata Popolare Jugoslava – le consegnò ai cittadini di Sarajevo creando così le prime formazioni militari che per 4 lunghi anni difenderanno la propria città. Lui, serbo, nato a Belgrado.

Da quel giorno per tanti diventò “Il Generale serbo che difese la Sarajevo dai suoi”. Ma quanto sfortunato questo “inquadramento” di un uomo con uno spessore umano che dovremo ancora scoprire. Dal mio modesto punto di vista un uomo, soldato di professione, che ha difeso la cultura del vivere insieme, spesso sottolineata da qualche “europeista occasionale” ma anche da quelli veri, e da tutti i cittadini di Sarajevo. Tutti! E li difendeva dai criminali comandati da serbo bosniaci. Questi sono i fatti storici.

Comunque come tale non è mai stato accettato da quella parte dei “patrioti” sarajevesi o bosniaci per i quali essere un vero patriota bosniaco presumeva anche l’appartenenza all’etnia bosgnacco musulmana. Insomma parlo dei circoli vicini al “Partito del Azione Democratica” – SDA del presidente d’allora Alija Izetbegovic. Per questo motivo Zio Jovo sarà anche pensionato molto prima della fine dell’assedio. Quell’anno 1994, Zio Jovo fonderà la Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina” la quale in questi 27 anni ha dato la possibilità di avere un livello d’istruzione medio alto e alto a un intero esercito di giovani bosniaci. Un vero esercito del nostro Jovan che gli sarà fedele per sempre.

Così Zio Jovo, dopo aver difeso la cultura di vivere insieme e il multiculturalismo, camminando da solo (sempre senza guardaspalle) sulle prime linee del fronte incoraggiando i difensori e i civili, aveva deciso di difendere anche il diritto alla istruzione alle fasce più vulnerabili. Altra battaglia da vincere. Sempre tra la gente, camminando a testa alta senza paura mentre nella vicina Banja Luka o a Belgrado sulla sua testa si scrivevano le taglie per presunti crimini di guerra. Arrivate persino a Vienna dove sarà per diversi mesi chiuso in un albergo in attesa di chiarimenti diplomatici e giudiziari. Tornerà alla sua Sarajevo vincendo anche questa ingiustizia. Abbracciandola e per essere abbracciato.

Per finire un fatto di cui la vecchia signora Europa sa poco, anche perché spesso Zio Jovo deve essere dipinto seguendo uno schema preciso. Come già detto, Zio Jovo dovrebbe restare “il Serbo che difese i patrioti sarajevesi, spesso soltanto di etnia bosgnacco musulmana, dai suoi”. Ossia uno che si era “venduto” alla politica che sosteneva la Bosnia, innanzi tutto i bosgnacchi musulmani e di conseguenza traditore dei suoi, dei serbi. Traditore di tutti serbi. Anche quelli, diverse migliaia, che a Sarajevo sopravvissero proprio grazie a lui.

In mezzo si infila, quasi timidamente, tutta la storia di un uomo coraggioso e onesto che rischiò tutto per difendere i valori in cui credeva racchiusi in una città martoriata pur sapendo che dalle colline circostanti circondate dai “suoi” per lui era riservata una morte sicura. Un uomo che alle spalle non aveva mai il vero sostegno di un establishment politico anche se voleva presentarsi al mondo intero come un patriota e alla guida di un Paese che subiva un’aggressione militare.

Lo ribadì Zio Jovo a dicembre del 1997 quando con una lettera decise di restituire al Presidente della Bosnia ed Erzegovina d’allora Alija Izetbegovic i riconoscimenti, le onorificenze e le insigne del Generale brigadiere dell’Armata delle Bosnia ed Erzegovina (AR BiH) in seguito alle indagini che testimoniavano diversi casi di uccisioni di civili nella Sarajevo assediata non di etnia bosgnacco musulmana, compiuti o ordinati dai militari della stessa AR BiH tra i quali alcuni ancora dopo la guerra ricoprivano cariche importanti nello Stato e nella gerarchia militare e i quali il Presidente Izetbegovic non volle mai processare e tantomeno privarli dalle onorificenze militari. Anzi, ci furono dei casi in cui per alcuni criminali di guerra furono organizzati funerali solenni statali.

Per me era molto doloroso quello che mi disse Zio Jovo quando ci siamo visti ultima volta. “Non pensavo in quegli anni di difendere la Sarajevo di oggi, ma non rimpiango, ho sempre difeso le persone deboli e mi è capitato di farlo proprio qui”. Il Mondo è Sarajevo e io auspico che Sarajevo, almeno per quegli eroi come Zio Jovo, resti sempre il Mondo. Piccolo ma aperto a tutti.

Matteo Pioppi - Casa editrice Bébert Edizioni

15/04/2021 - 

Ho incontrato la prima volta Jovan a Malga Cimana, provincia di Trento, per la presentazione di “Sopravvivere a Sarajevo”, libro che aveva curato la redazione di Bébert Edizioni di cui facevo parte.

Io e Barbara arriviamo un’ora prima dell’incontro, vedo Nicole Corritore, parliamo un po’ del più e del meno, mi presenta alcune persone e aspettiamo. Aspettiamo che arrivi il Generale.

Stranamente è in ritardo, ma la strada per arrivare in malga è davvero difficile da trovare. Nel frattempo conosco Francesco Mongera ed Eliana Gruber, è stata Marzia Bona che mi ha messo in contatto con loro, hanno organizzato l’incontro. Da quella chiacchierata nascerà poi un’altra collaborazione, nelle scuole questa volta.

Ad un certo punto arriva Jovan Divjak, lo vedo da lontano avanzare con passo deciso, è con Roberta Biagiarelli e Kanita Fočak. Bene, mi dico, sono davanti a quello che rimane del socialismo jugoslavo, il generale che ha organizzato la difesa di Sarajevo e che ora è presidente di un’associazione che si occupa di aiutare le persone in difficoltà. Del resto siamo qui per questo, per raccogliere fondi.

Appena arriva tutti lo abbracciano, lo baciano, lui fa la stessa cosa. Un tripudio di affetto, una festa. Poi ad un certo punto Nicole me lo presenta, lui inizia a parlare in francese e io in inglese, proviamo a capirci a gesti. Poi interviene lei, fa da traduttrice e Jovan mi racconta di quando ha battuto Kasparov a scacchi puntandogli una pistola da sotto il tavolo. Ridiamo tutti e tre, è una storiella buffa che stempera la tensione.

La presentazione vola via in un secondo, l’emozione è a mille, parliamo un bel po’. Nicole fa da moderatrice, Kanita traduce a Jovan, lui dice cose bellissime, potenti. È solido, piantato, verticale, inamovibile. Io mi sento molto fortunato ad essere lì e ad ascoltarlo.

Dopo la presentazione vado fuori a fumare, c’è il sole e mi sento da dio. Abbraccio Barbara, siamo entrambi increduli, abbiamo appena vissuto una delle esperienze più importanti della nostra vita. Dopo una serie di interviste e autografi esce, mi dice “bravo bravo”. Mi dico, lo dirà a tutti perché è una persona buona e gentile, ma i suoi complimenti me li prendo lo stesso.

Ci incamminiamo verso un belvedere distante un centinaio di metri, la strada è leggermente in salita, lui va su come un treno, io accompagno Kanita sotto braccio perché fa un po’ fatica a camminare. Rivolgendosi a me dice “il mio cavaliere”, Jovan risponde da lontano e ridono entrambi, non so di cosa, non capisco la loro lingua, ma rido anche io.

Mentre camminiamo Kanita mi racconta, in italiano, moltissimi aneddoti dell’assedio, della sua vita, dei suoi dolori. Mi sento una spugna che assorbe ogni cosa. Arrivati in cima, Jovan guarda il panorama e sorride, qualcuno gli scatta una foto, credo Roberta. La trovate qua sotto. È bellissima.

Un anno dopo, per il venticinquesimo anniversario della sua associazione, Jovan mi chiama al telefono ma sono a lavorare in osteria, è lunedì e il pranzo è una bolgia, non riesco a rispondere. Finisco il turno e mi trovo un messaggio in segretaria in cui, in francese, mi invita a Sarajevo. È un messaggio che non trovo più, purtroppo, ma faceva più o meno così:

“Po po po je suis Jovan Divjak, je vous invite à Sarajevo pour l'anniversaire de l'association Obrazovanje Gradi BiH ecc ecc »

Malga Cimana, 2019. Jovan Divjak con Barbara Ghermandi
e Matteo Pioppi (foto © Roberta Biagiarelli)

Agostino Zanotti - Associazione ADL Zavidovici Onlus

15/04/2021 - 

Non sarà facile riempire il vuoto che Jovan Divjak ci lascia.

Non sarà facile perché bastava averlo incontrato anche solo una volta per apprezzarne il valore umano, la simpatia, la capacità di ironizzare anche sulle tragedie, ma soprattutto il sorriso. Un sorriso rassicurante, che metteva tutti e tutte a proprio agio.

Di fronte ad una persona di così grande spessore intellettuale e di irrefrenabile senso civico ci si sentiva accolti, ascoltati, apprezzati. Credo che il valore di Jovan lo si possa trovare non tanto in quello che ha scelto di fare durante il terribile assedio di Sarajevo, ma quanto in quello che è stato capace di fare dopo nel tentativo quotidiano di mantenere vivi i fondamenti dello spirito jugoslavo della convivenza pacifica. Cittadino del mondo e cittadino onorario di una Sarajevo sbiadita.

Jovan Diviak resterà nei nostri cuori sempre e lo ritroveremo sempre passeggiando per le vie di Sarajevo al nostro fianco, al fianco di tutti coloro che amano quella terra e lottano per la Pace e la Fratellanza.

Sarajevo, 2002. Jovan Divjak con Gianfranco Schiavone
e Agostino Zanotti (foto © Mario Boccia )

Andrea Rizza - Arci Bolzano e Teatro Zappa

15/04/2021 - 

Voglio ricordare Jovan Divjak con il testo che aveva scritto per il libro "15+10 teatro Zappa theater "

Un ricordo. Un pezzo che ci ha scritto gospodin Jovan Divjak. Buon viaggio druže Divjak.

I don Quijote in Bosnia Erzegovina

L’arte è nutrimento contro il fascismo, il nazionalismo e la disumanizzazione.

Le guerre nei Balcani alla fine del XX secolo hanno dimostrato l’impotenza della civilità di opporsi alle intenzioni distruttive della generazione disumanizzata di persone che, con le armi in mano e l’armatura sul corpo, creavano un “nuovo” mondo su fondamenta medievali! Accanto a un grande numero di vittime, il sacrificio personale, l’arte, la cultura e l’istruzione sono stati parte di un mosaico che ha lottato contro il mostro d’acciaio.

Nel 2015 Zappa Teatro Theater ha realizzato il progetto "Don Quijote ", insieme a dei giovani talentuosi attori bosniaco-erzegovesi. Don Quijote, come metafora, guarda il mondo tra realtà e illusione. Don Quijote e Sancho Panza rappresentano due mondi così opposti, ma altrettanto collegati tra loro perché non possono esistere l’uno senza l’altro. Il gruppo di artisti bosniaco-erzegovesi, sotto la direzione artistica dello staff di teatroZappatheater ha rappresentato il tema dell’eterna lotta tra il bene e il male, negli spazi all’aperto delle città di Tuzla e Sarajevo.

Per me la parte più emozionante di questa rappresentazione “viaggiante” è stata quella dedicata alle gesta eroiche di Alexander Langer. Il contemporaneo “Don Quijote Alexander”, che combatte contro l’indifferenza del Parlamento Europeo, dell’Europa, del Pianeta Terra, nei confronti delle vittime innocenti, bambini, donne e civili inermi della Bosnia-Erzegovina. Questo da noi è stata la cruda realtà.

Il regista, lo staff, lo sceneggiatore e gli attori, hanno dato tutto di se in questa rappresentazione. Entusiasmo, competenze e capacità di far capire al pubblico il significato della cultura e dell’arte, come strumento per opporsi a tutte quelle “deiezioni” sociali – fascismo, nazionalismo e populismo – nelle quali oggi si devono confrontare giovani anime che hanno il potenziale di costruire la pace, la tolleranza e l’amore per gli altri.

Jovan Divjak
Il Generale dell'esercito bosniaco che ha difeso Sarajevo. Fondatore e direttore dell’associazione “Obrazovanje gradi BiH

I ragazzi del Don Kihot con Jovan Divjak
(foto Arci Bolzano/Bozen )

Massimiliano Morini. ex sindaco del comune di Maranello, direttore di "Città dei ragazzi" (Modena)

15/04/2021 - 

Misericordia e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo.

Jovan Divjak, incontrarti è stato un privilegio straordinario di cui custodirò il senso e il ricordo

Jovan Divjak e Massimiliano Morini

Modena, 2019. Jovan Divjak e l'ex sindaco di Maranello
Massimo Morini (foto © Luigi Ottani)