Emanuele Cidonelli 1 gennaio 1970

Anche l'Albania, lo scorso dicembre, ha celebrato il Terra Madre Day. Le sue comunità del cibo hanno colto l'occasione per rafforzare i rapporti con Slow Food. Un'intervista a Michele Rumiz, responsabile area Balcani per il movimento della chiocciolina rossa

Quest’anno, per la prima volta, anche l’Albania celebra il Terra Madre Day e ne fa la data prescelta per l’ufficializzazione del suo matrimonio con il movimento Slow Food International, che della ricorrenza è stato promotore.

Per onorare l’evento, gli amministratori della chiocciolina rossa hanno inviato in Albania il loro responsabile per l’area Balcani, Michele Rumiz. Dal canto loro, gruppi di piccoli produttori e ristoratori albanesi dal nord al sud del Paese, si sono dati da fare perché Slow Food trovasse nell’Albania un Paese pronto a partecipare con impegno e coscienza, al proprio processo di sviluppo.

Durante il suo viaggio Rumiz non solo ha avuto modo di rendere visita al ristorante Mrizi I Zanave di Fisthe, presso cui è stato ufficializzato il primo convivium albanese, ma ha anche avuto l’opportunità di conoscere più da vicino quelli che, grazie al supporto della Cooperazione Italiana, sono divenuti due dei più grandi centri di turismo agroturistico nel Paese: il distretto di Permet, a sud, che con il suo consorzio Pro Permet rappresenta il risultato più autentico dell’impegno di Cesvi in Albania, e il distretto di Scutari, nell’estremità opposta del Paese, in cui il Vis opera con entusiasmo per la rivalutazione agro-turistica del territorio.

Se quello instauratosi tra Rumiz e lo staff delle due Ong durante quest’incontri, è un rapporto di sincera stima reciproca, quello che Slow Food e l’Albania hanno sottoscritto in questi giorni è un vero e proprio rapporto di scambio attivo. Eppure, come può Slow Food intervenire nel percorso di crescita economica e sociale che interessa l’Albania in questo momento? E paradossalmente, cosa può fare per Slow Food un paese in via di sviluppo come l’Albania?

Durante il suo viaggio, questi quesiti sono stati i principali motori del dialogo tra Rumiz, le Ong, e la popolazione locale. Definire quali siano concretamente i termini di questo scambio, infatti, significa definire il reale limite, se esiste, tra i modelli di crescita economica e culturale che interessano oggi i Paesi occidentali e quelli applicabili anche nei Balcani.

Quest’intervista a Michele Rumiz nasce dall’idea che un movimento attivo in più di 130 Paesi nel mondo, quale Slow Food rappresenta, deve necessariamente essersi interrogato su questi quesiti, e viva una costante riflessione su quale può essere oggi il ruolo della Cooperazione Internazionale.

Slow Food è una rete internazionale che intende promuovere una serie di pratiche legate all’idea che il cibo debba essere buono, pulito, e giusto. Perché dare così importanza a una filosofia fondamentalmente enogastronomica? Come spiegheresti il successo di Slow Food e la sua rapida diffusione nel mondo?

Perché Slow Food unisce la responsabilità al piacere. Dimostra che le buone pratiche di produzione agro-alimentare e le iniziative a sostegno dello sviluppo rurale sostenibile hanno un impatto sostanzialmente immediato sulla qualità di quello che mangiamo. E' questa immediatezza che colpisce chi si unisce a noi. E questa è anche la forza del movimento.

Slow Food è presente in oltre 130 Paesi nel mondo. Molti di questi rientrano nella fascia dei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Quale pensi possa essere il ruolo di Slow Food nel processo di crescita economica e culturale di questi territori? Perché, secondo te, questi Paesi aderiscono?

Personalmente non credo molto alla distinzione tra Paesi in via di sviluppo e non. Sempre di più i problemi dell'agricoltura e dell'alimentazione sono simili in tutto il mondo. Esistono solo diverse conseguenze a quello che è il medesimo problema: cinquant’anni di logica industriale applicata all’agricoltura e all’allevamento hanno prodotto inquinamento, perdita di biodiversità, appiattimento delle produzioni e dei sapori.

L’approccio massivo ha banalizzato la dieta dell’Occidente e non ha risolto il problema della dieta del Terzo Mondo e ha fatto dell'obesità la nuova conseguenza malnutrizione. Io credo che nella scelta di molte comunità di unirsi a noi ci sia il desiderio di dimostrare la dignità alla propria gastronomia. Troppo spesso quando pensiamo alla gastronomia pensiamo ai grandi cuochi e all'alta cucina. Noi siamo convinti che invece la vera gastronomia sia nelle braccia e nel cuore di chi difende le proprie tradizioni culinarie, e il loro legame autentico con il territorio, l'economia di piccola scala, l'identità.

Tu sei il diretto referente di Slow Food per l’area dei Balcani. Cosa i Balcani possono fare per Slow Food, e cosa Slow Food può fare per i Balcani?

Slow Food può essere importante per i Balcani perché fornisce un metodo per costruire modelli di economia rurale virtuosi e sostenibili che aiutano lo sviluppo sostenibile di zone geografiche che nel giro di vent'anni si stanno svuotando e rischiano di scomparire.

Siamo convinti che i Balcani invece possano e debbano insegnarci a recuperare quel legame tra piccola produzione diffusa, territorio e cultura che noi abbiamo perso da decenni. I Balcani sono un tesoro di biodiversità e di tradizioni che meritano più dignità e che rappresentano una risorsa senza la quale l'Europa (compresa l'Unione Europea) è molto più povera.

Durante la tua visita in Albania hai avuto modo di viaggiare dal Sud al Nord del Paese e di visitare due importanti centri agro-turistici, Permet e Scutari, in cui la Cooperazione Italiana, nella figura di Cesvi e Vis ha investito per anni. Quali sono le tue impressioni su Permet? E su Scutari? Cosa pensi del lavoro fatto e cosa pensi rimane ancora da fare?

Penso che il Cesvi e il VIS abbiano fatto un lavoro straordinario, agendo in profondità. Mi ha molto colpito il percorso del Cesvi nella creazione di Consorzio “Permet”, che aiuta i piccoli produttori più intraprendenti. Sono sempre più convinto che questa sia una delle poche strategie possibili nelle aree rurali del Balcani.

A Scutari invece sono rimasto molto colpito dal mercato organizzato in occasione del terra Madre Day: dimostra che in Albania si possono fare grandi cose, e che magari alle volte neanche i locali si rendono conto di quanto sono stati in grado di realizzare.
Ora però è necessario fare squadra fra tutte le realtà in Albania che in questi anni sono state coinvolte nella rete Terra Madre. Dalle seppur lodevoli iniziative locali e il momento di passare rilanciare la posta in gioco, e imporsi come movimento nazionale.

Possiamo ufficialmente dire che Slow Food è in Albania?

Assolutamente sì, a patto che non si pensi di essere “arrivati”. Slow Food è un punto di partenza. Non un riconoscimento.