12 dicembre 2007

Mentre l'attenzione generale si concentra sullo status del Kosovo, proseguono gli interventi di cooperazione decentrata per costruire vie di convivenza tra le comunità della regione

Fonte: Volontari per lo Sviluppo

Nei villaggi rurali della municipalità di Klina l'associazione locale Helena Gijka, con la collaborazione dell'ong italiana Rtm - Reggio Terzo Mondo, organizza iniziative per donne e bambini kosovari. Con una prerogativa quasi unica nella regione: far convivere i serbi, gli albanesi e le minoranze rom-ashkali. Contribuendo alla costruzione di un futuro modello di integrazione per il paese. Articolo di di Elena Carradori, pubblicato su "Volontari per lo Sviluppo" di novembre 2007.

Alcune nonne, con i volti segnati dagli anni e il sorriso di chi ne ha viste tante, si avvicinano curve alla costruzione bianca. Dall'altro lato della strada alcune ragazze camminano svelte e ridendo tra loro entrano nella stessa costruzione. All'interno i bambini giocano dentro la piccola biblioteca multilingue, mentre alcune donne iniziano a tirare fuori ferri e gomitoli, altre preparano il caffè turco sulla stufa a legna.

È un qualsiasi martedì del freddo inverno kosovaro nel Centro delle comunità di Videja/Vidanje, municipalità di Klina: le donne albanesi, serbe e rom-ashkali si apprestano a partecipare alle attività organizzate dall'associazione locale Helena Gijka con la collaborazione dell'ong italiana Reggio terzo mondo (Rtm). Per tutti i mesi da novembre ad aprile queste donne, almeno 50 ogni settimana, hanno accolto di buon grado la proposta di condividere uno spazio per lavorare assieme a maglia, per discutere dei diritti della donna, per imparare i rudimenti di sartoria o anche solo per trascorrere alcuni semplici momenti conviviali.

Già dal 2002 Rtm e la Caritas delegazione dell'Emilia Romagna, con la consulenza del Centro psicopedagogico per la pace di Piacenza, hanno aperto nella municipalità di Klina, nel piccolo villaggio di Shtupel, un Centro sperimentale per l'infanzia per bambini e bambine dai 2 ai 5 anni con l'obiettivo di promuovere un'educazione partecipativa, volta al cambiamento dei modelli rigidi di chiusura e di conflitto interetnico. "Offre ai bambini uno spazio di sviluppo, sereno, tranquillo e caldo e agli adulti un punto di ritrovo. Quando non viene utilizzato con bambini e adulti, inoltre, lo spazio è a disposizione degli abitanti del villaggio per l'organizzazione di corsi di vario tipo - spiega Antoneta Kolaj, educatrice del Centro educativo di Shtupel - Il Centro è uno dei pochi funzionanti nelle aree rurali del Kosovo".

La piccola regione ha un passato difficile. Nella storia della Jugoslavia il Kosovo ha sempre svolto il ruolo di regione "scomoda": piccola, con contrasti tra la parte serba e quella albanese e un passato segnato dalla violenza delle faide tra famiglie, è sempre più povera, contesa e inserita in logiche geopolitiche sfuggenti e complesse. Tutto questo è ben espresso in un famoso libro di Noel Malcolm, che narra la storia di questa tormentata regione: "La crisi della Jugoslavia è cominciata in Kosovo e qui finirà" ( N. Malcolm, Kosovo. A short history, New York University Press 1998).

È evidente che la crisi non è ancora finita perché il Kosovo rimane tuttora una "questione aperta": protettorato internazionale delle Nazioni Unite, lo status del Kosovo è stato uno dei punti in agenda dell'ultimo G8 di Heiligendamm nel giugno 2007. La regione si trova, suo malgrado, teatro di un ennesimo strascico di guerra fredda: la Russia appoggia la Serbia nella rivendicazione del Kosovo come territorio legittimo, diametralmente opposti gli Stati Uniti che appoggiano l'etnia albanese e il suo diritto di sovranità in una regione che la vede maggioranza schiacciante. In questa fase di stallo, è l'Unione europea che deve assumere un ruolo da mediatore per evitare che la situazione precipiti nuovamente.

Nel Centro di Videja/Vidanje le donne serbe e albanesi, con l'aiuto di una formatrice e dei volontari di Rtm, si dedicano alla realizzazione di alcuni manufatti in lana, che saranno proposti alle botteghe del commercio equo e solidale in Italia. La prospettiva di una commercializzazione dei loro prodotti incuriosisce e attira queste donne: in una zona dove il tasso di disoccupazione trova uno dei suoi picchi più alti (67% contro un 42% medio) e la maggior parte delle famiglie vive solo di sussistenza o di rimesse dall'estero, ogni possibilità di arrotondare il bilancio familiare è preziosa. Questa attività in particolare, oltre a permettere il miglioramento delle condizioni di vita, sottolinea anche il ruolo fondamentale della donna, contribuendo così al cammino di quest'ultima verso una maggior emancipazione.

Il villaggio di Videja/Vidanje è uno dei primi in cui è stato avviato il processo di rientro delle minoranze, in particolare di quella serba, e si trova a vivere quotidianamente la sfida della multietnicità. Secondo Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro psicopedagogico per la pace di Piacenza, in questo momento delicato della storia del Kosovo è fondamentale "offrire risposte formative, in modo che una serie di reiterazioni storiche negative non abbiano a ripresentarsi di generazione in generazione".

È quella che viene definita "solidarietà educativa". "Il progetto di educazione alla pace di Rtm prevede un settore di formazione per adulti - dice Valentina Zefi, traduttrice e organizzatrice dei corsi - All'inizio vi partecipavano esclusivamente persone di Klina. Poi il servizio si è allargato a tutto il paese. Fino a che il ministero dell'Educazione del Kosovo ha chiesto ufficialmente a Rtm di formare educatori, insegnanti e direttori degli asili di tutto il Kosovo. Con metodi educativi innovativi". Metodi basati principalmente sulla ricerca del riconoscimento reciproco. "Spesso un'educazione a-conflittuale, in cui cioè i conflitti non solo non sono presenti, ma non sono nemmeno consentiti, genera violenza - continua Daniele Novara - Pare un elemento curioso, ma la riflessione va proprio dentro questa contraddizione: è l'accettazione del conflitto che previene la violenza, non il contrario".

In questo senso le due esperienze di Rtm, con le donne e con i bambini, sono progetti pilota per tutta la regione, poiché offrono spazi di crescita centrati sui criteri di espressività, creatività, socializzazione spontanea, ricerca di una gestione positiva dei conflitti, sia a livello interpersonale che collettivo. Tutto questo perseguito non in termini esortativi e moralistici, ma creando esperienze di convivenza concreta.

Realtà come queste, se continuate nel tempo, possono costituire tanti piccoli punti di appoggio, in un Kosovo che si avvia a diventare nazione, per il superamento delle divisioni tra le comunità che vi risiedono. Il fatto che, in questo caso, a dialogare siano in primis le donne e i bambini fa sperare che queste parole intreccino non solo gomitoli di lana, ma veri e propri ponti tra persone e comunità.