21 settembre 2007

Un articolo pubblicato sul quotidiano 'Liberazione', scritto dalla viceministra Patrizia Sentinelli. Emerge chiaro il messaggio: centrale la cooperazione internazionale per una politica di pace nel mondo

Fonte: Liberazione

Titolo originale dell'articolo "La cooperazione internazionale elemento centrale di una politica estera di pace", pubblicato su Liberazione, 18 settembre 2007, a firma di Patrizia Sentinelli - viceministra e sottosegretaria agli Esteri con delega alla cooperazione.

Tra i punti qualificanti del Dpef votato in luglio c'è la previsione di spesa per la cooperazione internazionale che finalmente rispetta gli impegni assunti. Erano scritti nel programma, ma la loro assunzione formale in un documento di indirizzo programmatico è stata tutt'altro che facile. Inoltre i boatos sulle difficoltà di bilancio che regolarmente echeggiano sugli organi di stampa sono una minaccia all'effettiva concretizzazione di questi impegni nella prossima finanziaria con il rischio di continuare a non rispettare gli impegni assunti a livello internazionale. In questo ambito è da superare la distinzione tra quando i vincoli sono riferiti al rispetto dei parametri economici per cui non si ammettono deroghe a quando si tratta di combattere la povertà in cui si tende a interpretarli come mero suggerimento.

Il Governo non è né mera tecnica, né dichiarazione d'intenti ma faticoso perseguimento di obiettivi da richiedere con convinzione e determinazione. La partecipazione democratica è assolutamente indispensabile perché gli obiettivi che riusciremo a raggiungere saranno tanto migliori quanto più elaborati in sintonia con le organizzazioni sociali e sostenuti da iniziative di movimento.

Gran merito dei risultati fin qui raggiunti in tema di cooperazione, infatti, è da ripartire tra quanti e quante si sono mobilitate in questi mesi. Risultati, non dimentichiamolo però, sempre esposti a nuove difficoltà. Perché? Perché questo quadro politico fa ancora fatica ad assumere l'orizzonte della cooperazione come punto qualificante di una politica nuova e non come mero "dover essere" necessario a "mitigare" una logica che resta altra. Intendiamoci: anche il rispetto dei "doveri" verso i paesi impoveriti e degli impegni internazionali è comunque un passo in avanti rispetto al disastro dell'epoca berlusconiana. Tanto più se si accompagna ad una profonda riqualificazione delle attività cooperative in termini di progettualità e trasparenza.

Non a caso oltre all'aumento dei finanziamenti avuti nella scorsa finanziaria (che devono sottolineo devono, essere fortemente incrementati nella prossima) il Governo ha presentato una legge delega di riforma della cooperazione. Ma per una vera svolta occorre che si affermi una filosofia altra, nuova. Un'idea che individui la cooperazione come il pilastro di quel concetto che nel movimento è declinato come altra economia. Non quindi un'economia aggiuntiva all'attuale, di nicchia ma un punto di vista che si cimenta con la globalizzazione e la sua crisi. Innanzi tutto è un'economia reale, di cose concrete, che vuol produrre benessere, benvivere e utilità sociale.L'opposto di quella finanziarizzazione speculativa che ha prodotto il crollo delle borse mondiali con pericolose conseguenze su risparmi e occupazione. Insomma una nuova cooperazione portatrice di proposte di trasformazioni dell'economia finanziaria, dal microcredito alla finanza etica.

Anche il lavoro svolto insieme al Sottosegretario all'Economia Grandi, che si è concretizzato attraverso un convegno svoltosi a Roma per il rilancio dell'uso della Tobin Tax proprio per finanziare le politiche di cooperazione, s'inserisce in quel percorso di ricerca di nuovi finanziamenti per la lotta alla povertà che l'Italia sta portando avanti anche aderendo al Leading Group on Solidarity Levies to Fund Development (meglio conosciuto come gruppo Lula-Chirac).

Se pensiamo a come Berlusconi avesse avanzato l'idea di una cooperazione finanziata dalle elemosine capiamo che si sta provando a ragionare, almeno, da un altro punto di vista. E proprio per questo si deve essere preoccupati davanti alla possibilità che i provvedimenti sulle rendite finanziarie previsti dal programma e dal Dpef vengano disattesi.

Questa economia reale della cooperazione, nell'impostazione che abbiamo dato, poggia poi sui soggetti reali dei territori e non calati dall'alto, magari dalle grandi imprese.Parla delle economie rurali e femminili come chiave di volta di un nuovo rapporto con i Paesi dei tanti sud del mondo che hanno bisogno in realtà, di logiche autocentriche.

Si fonda sull'idea di una economia ambientale, dei beni comuni a partire dalla cooperazione per affermare la sovranità alimentare ed il diritto all'acqua. Tutti elementi messi a dura prova dalle politiche liberiste, basti pensare all'andamento dei negoziati Epa's. Considerando come il futuro dell'umanità passi per la realizzazione degli accordi di Kyoto e del dopo Kyoto e quindi su politiche che facciano perno sul discorso sulla difesa ambientale, ci accorgiamo che la cooperazione non è interstiziale ma la colonna portante. Il dopo Kyoto si potrà affermare solo in un quadro di cooperazione multilaterale capace di un governo condiviso, equo e ambientale.

La cooperazione può essere elemento centrale di una nuova politica estera, costruita sulla pace preventiva (in questo senso è importante l'istituzione e la formazione di corpi civili di pace a cui stiamo lavorando) senza la quale non si possono affrontare le sfide economiche che ci si presentano davanti a partire dai rapporti nuovi in costruzione con l'America Latina e l'Africa.

Insomma pezzi di un altro mondo possibile. Per raggiungere questi obiettivi è necessario mettere in relazione la politica con le pratiche sociali dei movimenti. Per questo la Finanziaria 2008 per essere la manovra economica sociale che gran parte del popolo dell'Unione si aspetta dovrà prevedere i conseguenti impegni finanziari anche in questo ambito.