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Oslobodjenje in sciopero: sospesa l'uscita del giornale

21/05/2001 -  Anonymous User

Il giornale bosniaco Oslobodjenje, conosciuto per aver continuato a stampare anche durante il duro assedio di Sarajevo dall'Aprile del 1992 al dicembre del 1995, non esce in edicola da venerdì scorso per uno sciopero indetto da redattori e dipendenti del giornale. I lavoratori di Oslobodjenje hanno deciso la protesta affinché una volta per tutte vengano ascoltate e soddisfatte le loro richieste, avanzate ormai da mesi. Tra queste il pagamento degli stipendi arretrati, la sostituzione del direttore generale, del vicedirettore e del caporedattore.

Come dichiarato dal Sindacato (Habena, 21 maggio), le trattative continueranno nel pomeriggio di domani, giorno in cui si prevede l'arrivo e la partecipazione dei rappresentanti dei partner sloveni proprietari del pacchetto di controllo del giornale.

Durante l'assedio alla città di Sarajevo, Zlatko Dizdarevic - allora direttore di Oslobodjenje - lanciò moltissimi appelli affinché si sostenesse l'uscita del giornale anche in condizioni così dure e al limite della sopravvivenza. Alcune tra le realtà italiane che raccolsero l'appello furono l'Associazione per la Pace e l'ICS, che tramite la campagna "Sarajevo cuore d'Europa" riuscirono a fornire - tra il 1993 e il 1994 - supporto finanziario e materiale al giornale. Forse vale la pena ricordare che già nei primi mesi di assedio il palazzo venne pesantemente bombardato dall'esercito serbo-bosniaco, e i giornalisti dovettero tutti concentrarsi a lavorare nei piani inferiori e nei sotterranei del palazzo. Oggi l'edificio è ancora così come si è presentato alla fine di quattro anni di assedio (foto). La decisione delle varie forze politiche che in questi sei anni si sono alternate nell'amministrazione della città è sempre stata unanime: il palazzo non verrà ricostruito e rimarrà a ricordo, si spera deterrente, di ciò che è accaduto a Sarajevo.

Croazia: un voto polarizzato

21/05/2001 -  Anonymous User

Le elezioni amministrative in Croazia si sono svolte regolarmente ieri, secondo quanto dichiarato dagli osservatori dell'OSCE. Lo spoglio è ancora in corso, ma dai primi risultati della consultazione sembra emergere un paese fortemente polarizzato: il Partito socialdemocratico del premier Racan continua ad ottenere ampi consensi, che anzi sembrebbero crescere nella capitale, Zagabria, dove vive circa un quarto dei croati. Nello stesso tempo i partiti nazionalisti della coalizione "Blocco nazionale" otterrebbero la maggioranza relativa in molte amministrazioni sulla costa adriatica e lungo il confine con la Bosnia Erzegovina e con la Serbia. Nonostante i pronostici della vigilia, sarebbero tutt'altro che cancellati dalla storia politica del paese.

Finanza:la partita dei balcani parte da Unicredito

19/05/2001 -  Anonymous User

Unicredito, la seconda banca d'Italia, non perde tempo e, in vista dell'allargamento dell'Ue, rafforza la propria presenza nell'Europa dell'Est, dove nell'ultimo biennio ha investito quasi 4.000 miliardi. Mentre infatti la Croazia muove i primi passi verso l'integrazione con l'Unione europea, concludendo il processo negoziale con i Quindici con la firma dell'Accordo di associazione e stabilizzazione, l'istituto di credito di Piazza Cordusio acquista la prima banca croata Zagrebacka con un'Offerta pubblica di acquisto e scambio lanciata insieme con Allianz. Un programma di apertura che comprenderebbe non solo Croazia, ma Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Serbia, Romania e Ucraina, Albania e Turchia.

Balcani: la 'discesa in campo' degli Stati Uniti

19/05/2001 -  Anonymous User

Gli Stati Uniti hanno offerto un milione e mezzo di dollari USA per aumentare il numero di albanesi nelle forze di polizia macedone. Secondo fonti ufficiose vicine all' ambasciata americana in Skopje, sembrerebbe che questa proposta rientri negli sforzi per diffondere la crisi macedone. Un intervento che evidenzia i sempre maggiori interessi che dell'amministrazione americana. Bush si recherà nel prossimo giugno in Slovenia per il vertice russo-americano con il premier russo Putin.

Croazia: la questione del bilinguismo incrina la coalizione di governo alla vigilia delle elezioni

18/05/2001 -  Anonymous User

Se la ricomposizione della coalizione governativa a seguito delleelezioni convocate per il 20 maggio prossimo, veniva considerata certa,
oggi si aggiungono note di dubbio legate alla polemica nata tra i partitidella maggioranza e l'IDS di Jakovcic.
La coalizione che oggi governa in Croazia vede tra le sue fila 6 partiti: l'SDP (Partito
Social Democratico) di Ivica Racan, l'HSLS (Partito Social Liberale), l'HNS (PartitoPopolare Croato),lo storico HSS (Partito Contadino della Croazia),
il LS (Partito Liberale) e l'IDS (Assemblea Democratica dell'Istria) di Ivan Jakovcic.
Sono proprio le insistenti spinte di quest'ultimo al riconoscimento della lingua italiana in Istria come seconda lingua ufficiale, ad aver creato
una frattura all'interno della coalizione.
A questo proposito va ricordato che il Ministro della giustizia Stjepan Ivanisevic aveva temporaneamente sospeso alcuni articoli dello Statuto istriano- tra i quali
quello sul bilinguismo - affinchè venissero discussi in sede di Corte Costituzionale.
L'IDS, che negli ultimi dieci anni era riuscito a mantenere la sua roccaforte politica in tutta l'Istria, ha reagito duramente alle decisioni
del ministro, dichiarando che l'attuale governo sta limitando libertà e dirittidelle minoranze al pari del passato regime di Tudjman.
Il Primo Ministro Ivica Racan ha giustificato la temporanea sospensione con il timore
che il riconoscimento del bilinguismo potesse "aprire il vaso di Pandora", e così incoraggiarele minoranze serba e ungherese a presentare le stesse richieste. Ma Jakovcic, unico rappresentante
dell'IDS a ricoprire un ministero (quello per l'integrazione europea) nel governo di Racan, ha dichiarato che "se la Corte Costituzionale
stabilirà che l'introduzione del bilinguismo è contraria alla Costituzione, io saròpronto a lasciare il governo".
Intanto alla campagna elettorale per le elezioni locali
i partiti di destra (HDZ - Unione Democratica Croata, HSP - Partito Comune Croato e l'HKDU) si presentano sotto
una coalizione denominata "Blocco nazionale".
Gli altri partiti maggiori - che fanno parte della coalizione governativa - si presentano con liste individuali o coalizioni minori, ma con un programma comune.
Tra le numerose liste presentate, la più singolare è forse quella di Donji Miholjac (Slavonia), che si è nominata Azione anarco-liberale e che nel suo programma
propone la liberalizzazione della produzione e dell'uso della marijuana.

Croazia: cambiamenti nei due maggiori quotidiani

16/05/2001 -  Anonymous User

E' terminata l'avventura del quotidiano Republika. Il giornale indipendente vicino all'ala sinistra della coalizione governativa
non esce più per ragioni finanziarie. "Avrei potuto salvare il progetto se anch'io fossi andato, come hanno fatto altri, a "scroccare" soldi al Governo.
Ma ho voluto rimanere indipendente e unico padrone di me stesso" - ha commentato il direttore del quotidiano che alla prima uscita riuscì a vendere 220.000 copie. Questioni politiche che stanno scuotendo anche la redazione del quotidiano Slobodna Dalmacija. Trasformato dallo stato nel 1993 come organo di stampa della destra radicale, il quotidiano sta vivendo un momento di protesta interna da parte del sindacato dei giornalisti.

Otpor chiede una legge per riabilitazione vittime del comunismo

16/05/2001 -  Anonymous User

Il movimento "Otpor" ha promosso un'iniziativa per emanare una legge sulla riabilitazione di tutte le persone accusate ingiustamente e per il ritorno della proprietà confiscata. La legge comprenderebbe ilperiodo del regime comunista dal 1945 fino ad oggi, ha annunciato Jelena Homen, coordinatrice di questo progetto. Ha dichiarato che tutti i cittadini i cui parenti sono stati condannati in qualsiasi modo dai governi precedenti e hanno le prove documentali sull'espropriazione, possono consegnare questi documenti alla sede di Otpor.

Una costituzione provvisoria per il Kosovo

15/05/2001 -  Anonymous User

Sarebbe attesa a giorni la presentazione di un progetto costituzionale transitorio per il Kosovo. Lungi dall'affrontare il nodo spinoso del futuro status politico della regione, il capo della missione Onu - Hans Haekkerup - ha annunciato l'intenzione di trasferire progressivamente ad una istituzione autoctona le funzioni amministrative oggi assunte dalla comunità internazionale. Alla base del progetto di Haekkerup starebbe un'assemblea regionale eletta democraticamente e composta da circa 120 rappresentanti. Nel progetto sarebbero inoltre previste alcune norme di tutela per le minoranze: altri venti seggi sarebbero infatti riservati, di diritto, ai rappresentanti delle minoranze non albanesi della regione.

La comunità internazionale in Bosnia: tutti i nostri sbagli

12/05/2001 -  Anonymous User

Sono passati più di 5 anni dalla firma degli accordi di Dayton, che al tempo vennero considerati il programma di salvezza per la Bosnia Erzegovina. In realtà, il piano ideato dalla comunità internazionale cominciò ad essere criticato fin dai primi giorni e lo è tutt'oggi. Ultimamente in Bosnia si sta valutando tutto ciò che i Grandi (non) sono riusciti a risolvere. Rispetto alla considerazione di quanto fatto dalla Comunità nternazionale in Bosnia, molto è cambiato dopo gli ultimi incidenti di Mostar.

Non si può dimenticare quanto è accaduto l'8 aprile scorso, quando alcuni collaboratori dell'ufficio dell'Alto Rappresentante in Bosnia (OHR), accompagnati dai carabinieri italiani, vennero picchiati e umiliati da estremisti croati davanti alla famosa "Hercegovacka Banka".

Ma per quale motivo l`operazione nei confronti della banca erzegovese non è riuscita?

Nessuno vuole ammettere il proprio senso di vergogna, ma pare (da fonte anonima) che tutto sia accaduto per un banale errore di coordinamento. Il contingente Sfor francese interpretò male il codice dell'operazione che indicava un'operazione di primo grado (ad alto livello di rischio) scambiandola con un codice simile a quella di un'operazione di terzo grado (livello medio-basso). Così i soldati della Forza Internazionale decisero di non utilizzare tutti i mezzi di difesa necessari, e vennero sopraffatti facilmente dalla folla.

Sembra che l'azione degli estremisti croati abbia rappresentato per la comunità internazionale in Bosnia una vera lezione, attraverso la quale oggi capisca con chi ha veramente a che fare. Al contempo questo fallimento di Mostar è servito come pretesto ad alcuni cronisti per stilare una lista di tutti gli errori commessi dagli internazionali nel periodo post-Dayton. Va detto che in questi cinque anni non si è riusciti a garantire il funzionamento delle istituzioni bosniache e allo stesso tempo, pur spendendo centinaia di migliaia di dollari, l'intervento esterno non è risultato efficace.

E' vero che i soldati dello SFOR alla fine sono riusciti ad entrare nell'Hercegovacka Banka e ad aprirne la cassaforte usando la dinamite; ma forse la vera impresa sarebbe stata quella di arrestare Ante Jelavic (il leader nazionalista croato, tra i princiali fomentatori dei disordini). E da sempre la comunita' internazionale si è mostrata poco efficace nel giudicare i politici bosniaci: "gli internazionali hanno cercato a lungo di proteggere Biljana Plavsic e successivamente Milorad Dodik" dice Chris Benet, capo del International Crisis Group, "mentre nel frattempo non sono stati affrontati i veri problemi della Republika Srpska".

Si ricordi che alla fine del 1999 la stessa signora Plavsic venne invitata a Parigi dal presidente Chirac, in un periodo in cui già si parlava del suo possibile "viaggio" a L'Aja. Già altre volte la diplomazia francese in Bosnia si era dimostrata incauta, come quando la sua diplomatica Froment Maurice dichiarò: "La Bosnia Erzegovina non è un vero stato, e prima o poi la Republika Srpska si unirà alla Jugoslavia. In Francia questo lo chiamiamo diritto all'autodeterminazione".

Non solo: ci è voluto molto tempo per l'arresto di Momcilo Krajisnik. La causa contro di lui era pronta già nel 1996, ma i politici internazionali ordinarono di lasciarlo tranquillo, perchè la sua figura veniva considerata molto importante per il mantenimento della pace nel paese. Simile e` la vicenda di Biljana Plavsic: nel 1998 Gabrielle Krick Mcdonalds, allora Presidente del Tribunale Internazionale a L'Aja, dichiaro` che "il tribunale non potrà dimenticare il ruolo della signora Plavsic nel genocidio". Essendo però considerata una fautrice del cambiamento democratico in Repubblica serba di Bosnia, la Plavsic risulta citata nei processi solo per i baci scambiati con il comandante Arkan a Bijeljina nel 1992. Anche nel suo caso la causa era pronta già da tempo, ma venne resa pubblica solo quando si considerò la vecchia professoressa non più politicamente utile.

Per quanto riguarda la componente croata in Bosnia, si è parlato molto di Jadranko Prlic, ex Ministro degli esteri del governo federale.

Prlic, rispetto alla Plavsic, non si è lasciato mettere politicamente da parte e continua ad occuparsi di politica. E difatti i politici internazionali, non trovando un altro leader croato con le sue stesse
capacità, continuano a collaborare con lui. Una volta, ad una richiesta di spiegazioni in merito posta dal sottoscritto al signor Stocker - allora capo della Croce Rossa in BiH - la risposta fu: "Noi sappiamo che Prlic è responsabile dell'esistenza dei campi di concentramento in Erzegovina, ma nel lavoro con noi è molto valido".

E da allora pare non sia cambiato nulla: lavorare bene per la comunità internazionale significa anche poter rimanere impunito e non doversi assumere la responsabilità delle proprie azioni passate? Chi lo sa, comunque si dice che la causa contro Prlic sia rimasta in sospeso. "Prlic è stato il cervello della Herceg-Bosna, ma non è ancora giunta l'ora del suo arresto" dice una fonte de L'Aja per il settimanale Slobodna Bosna (26.04.2001).

Niente pensioni per i mostarini

12/05/2001 -  Anonymous User

Il fondo per le pensioni di Mostar è vuoto, dice il suo direttore Ivan Bender (BHTV 24.04.2001), e la colpa è tutta della Hercegovacka Banka. Quando si troverà il denaro per riempire il grande buco che si è creato, avremo le condizioni per versare le pensioni.

La storia della banca erzegovese ha cambiato il volto dell'intera regione. Di questa banca non si serviva solo l'intera area della cosiddetta Herceg-Bosna (la zona a maggioranza croata della Bosnia) ma anche molte istituzioni della parte bosniaca di Mostar. Così tutti gli impiegati delle scuole, delle istituzioni culturali e degli ospedali di Mostar est (la parte a maggioranza musulmano-bosniaca) sono rimasti senza stipendio, perché era sempre stata l'Hercegovacka Banka a coordinare il sistema di pagamento nella zona. In ogni caso, la vicenda di questa banca sembra stia giungendo al termine.

Dopo il primo tentativo - fallito - di metterla sotto controllo,
Wolfgang Petrisch ha organizzato un'altra operazione, questa volta riuscita. Nella notte del 17 aprile scorso le unità speciali della polizia militare britannica (SAS) sono entrate nel palazzo
della banca con l'intento di sequestrarne i documenti segreti. Per aprire la cassaforte i militari hanno dovuto utilizzare addirittura della dinamite. L'Hercegovacka Banka, dicono nella sede di Sarajevo dell`Alto Rappresentante della Comunità Internazionale, è stata un ottimo luogo di riciclaggio del denaro sporco (Dani, 20.04.2001).

Ora dunque la vicenda è terminata, e saranno nuove banche a seguire il sistema dei pagamenti in Erzegovina.

Il tribunale de L'Aja trasloca a Brcko?

11/05/2001 -  Anonymous User

Il destino del Tribunale internazionale per i criminidi guerra commessi in Rwanda ed ex Jugoslavia è sempre
più incerto. Il famoso Tribunale de L`Aja verràsostituito da una nuova Corte Penale Internazionale, mettendo così
in atto le decisioni della Conferenza di Roma svoltasi il 17 luglio 1998. Il nuovo Tribunale è però ancora in fase di organizzazione e nessuno sa quando comincerà a funzionare.

Nel frattempo, per Carla del Ponte - Procuratrice generale del Tribunale de L'Aja -
e per il suo team, il lavoro non manca.
Ultimamente, il processo di cui si parla di più èquello intentato al generale serbo Krstic, mentre
quattro settimane fa si approntava l'arresto diun altro serbo-bosniaco, Dragan Obrenovic, all'epoca
comandante della brigata di Zvornik (RepublikaSrpska).
L'arresto di Obrenovic è legato ad una registrazione
da cui risulta che il generale Krstic ordinò ad Obrenovic di uccidere tutti i musulmani di Srebrenica arrestati. Ad oggi, però, non è ancora stata
confermata l'autenticità della voce registrata.
Intanto in Bosnia si continua a credere che
proprio Obrenovic potrà confermare, o smentire, alcuni fatti riguardanti Srebrenica e le
responsabilità del generale Krstic, ma anche quelle diBiljana Plavsic e Momcilo Krajisnik.
Il processo contro i due ex-leader della Republika
Srpska viene portato avanti dal giudice Marc Harmon, lo stesso che realizzòil processo contro il generale croato Tihomir Blaskic.
Il procuratore generale de L'Aja considera i processi contro
Plavsic e Krajisnik molto importanti. Carla del Ponte ritiene infatti che questi due casi siano molto preziosi per la costruzione della piramide delle
responsabilità di Slobodan Milosevic.
Certo, mancano ancora tantissimi elementi per costruiretale piramide, ma sembra anche che la
stessa signora Del Ponte non sia ancora pronta peravviare il caso, forse anche un po' spaventata dalle
possibili responsabilità che ricadrebbero su di lei se il processo contro Milosevic non dovesse risultare ben fatto.

Intanto, si stanno accelerando i preparativi per l'inizio delle attività della nuova Corte Penale Internazionale. Quest'idea gode
dell'appoggio di Gran Bretagna, Germania, Canada e ultimamente anche di paesi come Francia e Iran.
Secondo alcune informazioni, non confermate, al L'Aja sono
già pronte 200 nuove cause da avviare.
Dato che il nuovo Tribunale Permanente si occuperà di processi relativi non solo a
crimini di guerra, ma anche di quelli legati a terrorismo,crimine organizzato e narcomafia, sembra che all'Aja non
si avrà tempo per risolvere tutti i casi in agenda. Ed èper questo che si parla della possibile organizzazione di
"una piccola Aja" con sede in Bosnia Erzegovina.
Inizialmente è stata proposta la città di Sarajevo ma, dato il parere contrario dichiarato dai serbi, oggi si ipotizza come possibile sede il distretto di
Brcko.
Esperti de L'Aja avrebbero il compito di controllare il funzionamento di questotribunale, così come procuratori e giudici de L'Aja
seguirebbero e controllerebbero tutte le inchieste avviate.

Incontri diplomatici contro la 'Grande Albania'

10/05/2001 -  Anonymous User

Incontri tra politici per chiarire la situazione macedone. Da "Le Monde Diplomatique".

Programmare gli interventi nel Meditteraneo

10/05/2001 -  Anonymous User

L'ICS, il Consorzio Italiano di Solidarietà organizza per i prossimi 18-19-20 maggio, l'Assemblea di programma dal titolo "La sfida della solidarietà" che vede all'ordine del giorno Balcani, Medio Oriente, Mediterraneo, accoglienza dei rifugiati. Per partecipare all'assemblea contattare la segreteria.

Banja Luka: i disordini si potevano evitare

08/05/2001 -  Anonymous User

Gravi disordini oggi 7 maggio, ndr a Banja Luka, la capitale della entità serba di Bosnia Erzegovina. Tutto era pronto per la prevista cerimonia per la posa della prima pietra della moschea Ferhadija, costruita nel XVI secolo durante la dominazione ottomana nella regione e rasa al suolo durante la guerra di Bosnia in quella che è stata la follia della pulizia etnica. Qui l'undici percento della popolazione era di origine musulmana. Oggi al loro posto profughi e sfollati serbi. Più di cinquantamila.
Troppo rumore per questo evento. I più importanti rappresentanti delle forze internazionali operanti nella regione e le massime autorità di Bosnia e di Repubblica Srpska erano presenti: l'ambasciatore americano Thomas Miller, il responsabile delle missione ONU Jaques Klein, il presidente dell'entità serba di Bosnia Sarovic ed il primo ministro Ivanic, il ministro degli affari esteri della Repubblica di Bosnia Erzegovina, il bosniaco Lagumdzija.
E quindi tanta gente. Bosniaci arrivati in pullmann dalla Federazione dove vivono come profughi e da dove sperano di poter rientrare nella propria città di origine, così come gli accordi Dayton sanciscono. E con loro i profughi e gli sfollati serbi, originari dalla Croazia e dal centro Bosnia. Molti di loro dovranno lasciare le abitazioni in cui hanno trovato rifugio durante questi anni di guerra e dopo guerra, per restituirle giustamente ai bosniaci che intendono rientrarvi.
Gli accordi di Dayton sanciscono che tutti i profughi e gli sfollati della guerra di Bosnia Erzegovina hanno il diritto di scegliere se rientrare nella aree di origine o restare dove attualmente stanno vivendo. Ma una politica definibile perlomeno miope della comunità internazionale sta di fatto aiutando solo chi intende rientrare. Così la maggior parte di quei cinquantamila serbi di Banja Luka sono abbandonati a se stessi. Non hanno né lavoro né assistenza, e vivono con l'incubo di essere sfrattati. L'unica scelta è tornare, ma questo è un percorso difficile sia da un punto di vista pratico - ad esempio per trovare lavoro o riavere la propria abitazione - sia da un punto di vista psicologico-emotivo. C'è paura.
Gente, bosniaci e serbi, quindi stanca e sotto pressione da troppi anni di difficoltà e di traumi: la guerra, la fuga, la vita senza una casa sicura, senza il lavoro, senza i servizi di base, senza un passato e con un futuro incerto. E così, ieri, è scoppiato il peggio. "Le tensioni accumulate in questi anni sono esplose" dice Zoran Baros, giornalista e responsabile delle pubbliche relazioni nel comune di Prijedor, a cinquanta chilometri da Banja Luka, seconda città della Republika Srpska e luogo simbolo per il rientro di musulmani e croati. E' stata impedita la manifestazione con il lancio di sassi e uova: contro gli internazionali, contro i politici, contro i bosniaci.
La polizia ha reagito cercando di fermare la folla, mentre il contingente militare internazionale (lo SFOR) è stato soprattutto a guardare. Per alcune ore gli ospiti internazionali e bosniaci sono rimasti bloccati nell'edificio di cultura islamica, fino a quando il presidente della Repubblica Srpska Sarovic ed il primo ministro Ivanic in persona sono andati tra la folla per permettere ai "prigionieri" di essere liberati.
Un comportamento che esplicita la gravità di questo episodio e delle sue conseguenze sull'immagine della Republika Srpska, della Bosnia e di questa regione agli occhi della comunità internazionale. Qui c'è bisogno di pace, di sicurezza, di fiducia. C'è bisogno di investitori internazionali che credano in uno futuro di normalità per questo paese. E questo evento è un passo indietro. "Nessuno aveva bisogno di questo evento" dice la sindaca di Prijedor Nada Sevo.
Doveva essere evitato e non lo si è fatto. Chi doveva evitarlo è soprattutto la comunità internazionale, che ha quantomeno sostenuto un'iniziativa così spettacolare nella capitale serbo-bosniaca. La convivenza non si impone con la forza ma va costruita "con la politiche dei piccoli passi", come dice Sead Jakupovic responsabile della associazione "per il ritorno e il rinnovamento di Prijedor 98".
Poteva essere evitato. Lo dimostra la realtà di Prijedor, città con cui da anni ormai coopera un coordinamento di associazioni ed enti locali del Trentino. Qui un quinto della popolazione non serba cacciata durante la guerra è già rientrato. E a Kozarac, un villaggio a pochi chilometri da Prijedor, sono state ricostruite senza incidenti ben quattro moschee. Il luogo scelto si è dimostrato intelligente, perché non troppo vicino al centro di questa municipalità che in passato è stata triste simbolo della pulizia etnica. Anche i tempi sono stati quelli giusti, perché la ricostruzione è iniziata dopo oltre un anno dall'inizio del processo di rientro dei musulmani. "Se l'obiettivo è il rientro", dice ancora Sead Jakupovic, "è importante porre attenzione ai sentimenti della gente, dare agli amimi il tempo di calmarsi".
"Creare occasione di incontro tra chi rientra e chi vive a Prijedor, creare luoghi di discussione pubblica, coinvolgendo i rappresentanti politici locali, i leader religiosi, gli intellettuali della comunità, le associazioni, la scuola. Fare informazione corretta." Ecco come promuovere la convivenza secondo le associazioni di donne di Prijedor riunitesi proprio in questi giorni per programmare le attività di sostegno al rientro in collaborazione con la Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor, sostenuta dalla Comunità Trentina, dalla città spagnola di Cordoba e dal Consiglio d'Europa.
Chi ora paga la scelta affrettata compiuta dalla comunità internazionale a Banja Luka sono tutti i cittadini che sperano in un futuro di convivenza: i bosniaci, che ora devono relazionarsi a questo ulteriore trauma; i serbi, che si sono macchiati di un ulteriore "crimine" agli occhi del mondo.
Qui in Bosnia Erzegovina vivono persone. Cittadini che vogliono pace e futuro. Uomini e donne che stanno provando a vivere la propria esistenza. La strofa di una canzone recita: "non so perché né per cosa né come ma sono stanco". C'è bisogno di serietà e di intelligenza. Di una solidarietà matura.




Da Prijedor, a 300 chilometri dai confine dell'Unione Europea
Annalisa Tomasi, delegata della Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor
© Osservatorio sui Balcani;

Sarajevo rinascerà con le olimpiadi?

06/05/2001 -  Anonymous User

Intervista a Muhidin Hamamdzic, Sindaco di Sarajevo

Gligorov: l'Europa ci appoggia ma doveva farlo prima.

06/05/2001 -  Anonymous User

Kiro Gligorov, ex-Presidente della Macedonia, era ieri ospite del World Social Forum, invitato dal Consorzio Italiano di Solidarietà e dall'Osservatorio sui Balcani, ad una tavola rotonda sul futuro dell'Europa Sud-orientale e sulla sua integrazione nella UE.La sconfitta dei progetti di una "Grande-Serbia" e di una "Grande-Croazia" si accompagna purtroppo all'emergere di un progetto di "Grande Albania" - ha commentato nel suo intervento l'ex-premier - e l'origine di questo nuovo nazionalismo è proprio in Albania, non in Kosovo o nel nord della Macedonia".
Gligorov non accusa direttamente le autorità di Tirana, ma la "situazione di povertà economica in quasi tutti i paesi balcanici, che crea un clima favorevole per la mobilitazione popolare su progetti nazionalistici (...).Dopo il collasso, nel 1997, delle istituzioni pubbliche in Albania, la situazione interna è caotica. Le autorità di Tirana non hanno il controllo sul loro territorio. L'Albania non protegge i suoi confini di stato, principalmente perché è circondata da una massa relativamente compatta di albanesi cittadini in tutti gli stati confinanti". In questa situazione, il sostegno del governo di Tirana alle rivendicazioni di queste minoranze - l'autonomia del Kosovo o i diritti civili degli albanesi in Macedonia - sostiene indirettamente l'idea panalbanese ed ha delle ripercussioni nei paesi confinanti, anche in assenza di rivendicazioni sui confini.
"Gli sviluppi recenti della crisi in Macedonia sono in parte autoctoni - legati alla radicalizzazione delle domande dei cittadini di origine albanese, alla debolezza dell'attuale governo, ... - e in parte sono importati dal Kosovo e dall'Albania, espressione dell'estremismo panalbanese, che cresce in questo contesto". In un'intervista Gligorov ha poi dichiarato che "L'Unione Europea sosterrà diplomaticamente la risoluzione del conflitto e si è impegnata a contribuire per i danni che ne deriveranno". Ma, come per gli altri conflitti divampati nei Balcani negli anni scorsi, anche in questo caso la comunità internazionale ha perso un'occasione per prevenire il dilagare della violenza.
Nel suo intervento, l'ex-Presidente macedone ha espresso condivisione per la proposta - avanzata da ICS e Osservatorio sui Balcani - di definire un percorso rapido di integrazione del Sud-est Europa nell'Unione Europea; integrazione che dovrà essere socialmente sostenibile e partecipata. Nel quadro di un Europa che si estenda dall'Atlantico agli Urali, la democratizzazione dei paesi balcanici, uno sviluppo sociale ed economico centrato sul governo locale, la ricostruzione di un tessuto istituzionale e amministrativo che sottragga terreno alla criminalità organizzata ed al nazionalismo rappresentano probabilmente l'unica soluzione possibile ai molti problemi che affliggono i Balcani.

Per un'integrazione certa, rapida, sostenibile e dal basso

05/05/2001 -  Anonymous User

Si è chiuso, all'interno del World Social Forum, l'incontro "Disegnare l'Europa: i Balcani tra integrazione e disintegrazione", organizzato da ICS e Osservatorio sui Balcani.

'L'Europa senza frontiere ha una nuova linea Maginot'

05/05/2001 -  Anonymous User

L'entrata nella Unione Europea non sarà la panacea per tutti i mali, ma potrà costituire una piattaforma su cui rilanciare la pace, la convivenza civile e lo sviluppo locale nei Balcani. I tempi sono ormai maturi per fissare date, scadenze e parametri che guidino questo percorso. E' questo il messaggio chiaro che viene dall'incontro "Di-Segnare l'Europa. I Balcani tra integrazione e disintegrazione", promosso oggi nell'ambito del World Social Forum (Padova, 4-6 maggio) dall'ICS - il Consorzio Italiano di Solidarietà che raggruppa oltre cento associazioni e gruppi locali italiani impegnati da anni nel sostegno e nella ricostruzione dell'Europa sud orientale - e dall'Osservatorio sui Balcani.
"L'attenzione materna dell'Europa democratica è necessaria", conferma il sindaco di Sarajevo, Muhidin Hamamdzic, parlando di "supervisione opportuna e bene accetta", fino a quando le cose non cambieranno, assumendo un corso normale, logico, maturo e quotidiano. Hamamdzic spiega i conflitti e le incomprensioni con la comunità internazionale come "il risultato della nostra impazienza e del nostro desiderio di accelerare il processo che condurrà la Bosnia al luogo a cui essa da sempre appartiene: l'Europa". Ma, accusa il sindaco di Sarajevo, l'Europa per ora si rivela matrigna: "Dopo la caduta del muro di Berlino, l'Europa sta costruendo nuovi muri verso l'Est! I paesi in transizione sono letteralmente 'tagliati fuori' dall'Occidente. L'Europa senza frontiere ha una nuova linea Maginot, un 'corridoio sanitario' tra se stessa e i paesi in transizione, e, oso dire, in particolare verso la Bosnia. Il visto Schengen è un nuovo male e un nuovo Muro di Berlino. La città di Sarajevo e il mio intero paese sono immensamente riconoscenti alla Comunità Internazionale per avere fermato la guerra in Bosnia. Ma, saremmo molto più felici se poteste impedire altri potenziali conflitti. L'Europa, con il sistema di Schengen, si comporta come una brava donna di casa che cerca di nascondere le immondizie sotto il tappeto, ma senza risolvere nulla. La differenza tra poveri e ricchi è sempre più grande e sempre più profonda".
Nella parte ricca dell'Europa, confermano gli altri relatori, da Kiro Gligorov, ex-Presidente della Repubblica di Macedonia, a Gabriele Martignago (Patto di Stabilità per il sud est Europa) a Jovan Teokarevic (Istituto per gli Studi Europei, Belgrado) e Diana Çuli (Forum delle donne albanesi, Tirana), si continua a non riflettere sulle dinamiche retrostanti alle tragedie degli anni '90 e si pensa ancora ai paesi balcanici solo come ad un terreno di incursione, rischiando di perseverare nella mera ricerca di proprie aree di influenza nazionale senza sviluppare un approccio d'area complessivo."Le transizioni post-coloniali - osserva Rada Ivekovic (Università di Parigi-8) - assomigliano alle transizioni post-comuniste, o comunque che le difficoltà di sviluppo del Terzo Mondo assomigliano sempre di più a ciò che noi vediamo in alcuni paesi dei Balcani e dell'Europa dell'Est, se non in tutti i paesi dell'Europa centro-orientale. Possiamo allora imparare qualcosa da quell'esperienza".
Il futuro economico del sud est Europa, avvertono con accenti diversi i relatori dal palco del World Social Forum, non può essere garantito né dalle chimere degli investimenti occidentali di rapina, né tantomeno dal perdurare dell'assistenzialismo umanitario. Occorre immaginare invece un percorso economico inedito, conclude Giulio Marcon (Ics) tirando le fila del convegno, bisogna costruire un disegno di sviluppo integrato del territorio, sul quale far convergere le risorse locali e gli aiuti internazionali, puntare sull'autogoverno delle comunità, costruire società civile.

Di-Segnare l'Europa. I Balcani tra integrazione e disintegrazione

05/05/2001 -  Anonymous User

Il 5 maggio 2001 si è tenuto a Padova, nell'ambito del World Social Forum - l'evento che dentro Civitas 2001 segue la riflessione svoltasi a Porto Alegre sui movimenti territoriali di risposta intelligente alle dinamiche della globalizzazione - un convegno internazionale promosso dall'Osservatorio sui Balcani e dal Consorzio Italiano di Solidarietà concentrato sul rapporto tra Europa e Balcani, o si potrebbe dire tra le due Europe, quella ricca e già integrata dell'Unione e quella "marginale" e disintegrata dell'area sud-orientale.

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Articolo

03/05/2001 -  Anonymous User

Sabato 5 Maggio 2001, nell'ambito del World Social Forum (Fiera di Padova), Osservatorio sui Balcani e ICS organizzano una tavola rotonda: "Di-segnare l'Europa; i Balcani tra Integrazione e Disintegrazione." Vi parteciperanno esponenti della società civile dell'Europa sud-orientale, rappresentanti di ONG e agenzie internazionali (per raggiungere la Fiera di Padova).