Durante le presidenziali del 2007 in Serbia (fonte: OSCE)

Domenica 6 maggio in Serbia si vota: presidenziali, politiche e amministrazione. Ma l'attenzione principale è rivolta alla lotta per la presidenza. In quest'approfondimento la presentazione dei candidati alla poltrona più ambita della Serbia

04/05/2012 -  Chiara Longhi

Giovedì 3 maggio a mezzanotte, dopo gli ultimi dibattiti trasmessi in TV e gli ultimi comizi nelle piazze, si è conclusa la campagna elettorale in Serbia, ed è iniziato il silenzio elettorale che durerà fino alla chiusura dei seggi, domenica 6 maggio alle ore 20.

La campagna elettorale si è svolta in maniera piuttosto accesa. Tutti i partiti sono contemporaneamente impegnati sia nella campagna per le presidenziali che in quella parallela per il parlamento: nel dibattito politico, tuttavia l’attenzione si è maggiormente spostata sulle elezioni presidenziali.

Molti sono i partiti che hanno presentato i loro candidati alla presidenza,  tuttavia, salvo sorprese, solo Tadić e Nikolić – leader e “volto” dei due maggiori partiti – possono realisticamente aspirare ad una vittoria: di conseguenza la scena è stata dominata da questi due principali candidati.

Boris Tadić

Classe 1958. Psicologo.

È il presidente uscente e si candida per il terzo mandato grazie al fatto che la nuova costituzione serba è stata approvata nel 2006: questo gli ha permesso di lasciare “fuori dal conto” il suo primo mandato presidenziale, svolto tra il 2004 e il 2008.

È  il candidato della coalizione guidata dal Partito Democratico (DS) che presenta la lista “Scelta per una vita migliore” assieme ad alleati minori. La campagna dei DS è stata costruita sulla promessa di portare la Serbia in Europa e sui successi del governo uscente (tra cui quello di aver ottenuto lo status di paese candidato a paese membro dell’UE). Il programma elettorale prevede poi il rilancio dell’economia del paese, anche puntando sui  grossi investimenti dall’estero, tra cui molti italiani, la lotta alla corruzione e la risoluzione della questione del Kosovo con la collaborazione della comunità internazionale (anche se in effetti lo slogan a volte utilizzato “Sia Kosovo, sia UE” da molti non è più ritenuto molto credibile).

Il DS è un partito di centro-sinistra, affiliato a livello europeo al partito Socialista, di orientamento liberale  e fortemente pro-europeista.  Alla guida del paese dalla caduta di Milošević nel 2000, è stato il partito più forte in assoluto negli ultimi 4/5 anni in Serbia. Recentemente ha cominciato a diminuire la propria popolarità, anche a  causa della questione del Kosovo, del modo in cui sono stati gestiti dal governo i negoziati “tecnici” con Pristina e, da ultimo  per la forte crisi economica.

Tomislav Nikolić

Classe 1952, laureato in economia.

Si candida per la quarta volta alle presidenziali per il partito Progressista Serbo (SNS).

La campagna dello SNS ha puntato sulla lotta alla corruzione e sulla necessità di ridurre l’appartato burocratico dello stato, della cui pesantezza e poca trasparenza viene accusato il governo uscente. Nikolić ha ripetuto molte volte la sua intenzione di essere “Presidente di tutti i cittadini e non solo di quelli che votano il suo partito” e di migliorare le condizioni di vita dei cittadini. La necessità di attrarre investimenti dall’estero e la creazione di una banca per lo sviluppo sono tra le priorità.

Lo SNS è stato accusato di poca trasparenza nell’ottenimento dei fondi per la campagna elettorale e una critica che viene spesso mossa al suo leader è di essere “licemeran”, cioè ipocrita, a causa del suo parziale cambio di orientamento politico – nella direzione di una maggior moderazione –  avvenuto nel corso degli ultimi anni.

Lo SNS infatti, nato nel 2008 da una rottura con il partito Radicale Serbo, ha acquistato negli ultimi anni un appoggio ampio e la capacità di mobilitare grandi manifestazioni di piazza. Ha progressivamente abbandonato la retorica nazionalista e le posizioni anti europeiste e si presenta oggi come un partito molto più moderato, che riconosce la necessità e l’opportunità per la Serbia di entrare in Europa.

Accanto a questi due principali candidati, come si è detto, ve ne sono molti altri. Tra questi, spiccano in particolare, per maggior forza e rilevanza politica, i candidati del Partito Socialista  e del partito Liberal-Democratico.

Ivica Dačić

Classe 1966, laureato in Scienze politiche, ministro dell’Interno uscente.

Uomo forte del Partito Socialista Serbo (SPS) ha ricavato molta visibilità e successi dal suo incarico ministeriale. Nei suoi slogan di queste settimane ritornano le parole “forza” e  “decisione”. Ha ribadito più volte la necessità per la Serbia di avere un presidente, per l’appunto, “forte e deciso”  che affronti le questioni economiche con una strategia integrata e con la necessaria preparazione tecnica.  Nelle scorse settimane è stato protagonista nella gestione delle conseguenze degli incidenti avvenuti al confine con il Kosovo, scatenati dal braccio di ferro con le autorità di Pristina per l’organizzazione delle elezioni in Kosovo: ne ha ricavato ulteriore visibilità, sfruttando in parte la problematica condizione dei serbo-kosovari.

Dačić è il presidente dello SPS, fondato da Slobodan Milošević. Dopo anni passati al margine della vita politica del paese, il partito si è poi spostato verso posizioni più moderate, come dimostra il fatto che oggi lo SPS fa parte della coalizione di governo con il DS.

Čedomir Jovanović

Classe 1971. Laureato in discipline dell’arte e spettacolo.

Candidato del Partito Liberal Democratico (LDP), si candida come presidente per la seconda volta.  Jovanović, ex leader delle rivolte studentesche che hanno portato al rovesciamento del regime di Milošević, è da sempre considerato il candidato delle organizzazioni non governative e degli attivisti democratici. La sua campagna elettorale ha puntato sulla necessità di un cambiamento radicale e sulla maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica, al di là dell’appartenenza ad un partito.  La lista presentata dallo LDP si chiama “Preokret” (Punto di svolta) e la parola ricorrente in campagna elettorale  è stata “istina”: verità.

Ha portato avanti la campagna contro la lottizzazione partitica dei posti di lavoro all’interno delle imprese pubbliche e della pubblica amministrazione e sulla necessità di completare le privatizzazioni come primo passo per sconfiggere la corruzione.  Propone inoltre l’ingresso della Serbia nella NATO e insiste sulla necessità per il paese di essere sempre più legato all’Europa.

Vojislav Koštunica

Classe 1944, laureato il legge.

Ex presidente del Consiglio in due legislature, è uno dei fondatori del Partito Democratico, da cui si è poi distaccato per creare il suo attuale partito, il Partito Democratico Serbo (DSS).

Il messaggio dei DSS in campagna elettorale è stato dall’inizio molto chiaro: “Neutralità politica per una Serbia libera”, intendendo con questo la necessità di mantenere buoni rapporti politici e commerciali sia con l’Unione europea, sia con la Russia. Koštunica e i suoi hanno evidenziato più volte come l’accordo commerciale di libero scambio esistente tra Serbia e Russia, che fa gola agli imprenditori stranieri, Italia in testa, non possa essere messo a rischio dal possibile ingresso della Serbia nell’UE.

Il partito di Koštunica si è progressivamente allontanato dal Partito democratico (DS), a cui ha rivolto spesso pesanti critiche non molto diverse da quelle mosse al DS dai partiti di destra ed estrema destra.

Zoran Stanković - Regioni Unite della Serbia (URS)

Classe 1954, laureato in medicina.

Ministro della Salute del governo uscente, si candida alle presidenziali per la prima volta.

Promette di riportare l’ordine in Serbia, di promuovere le riforma, soprattutto in ambito economico, e di mettere la famiglia al centro della società.

Il partito che presenta la sua candidatura, lo URS, è una coalizione politica nata nel 2010 dall’unione di diversi partiti regionali  e locali con il  G17+ che ha come obiettivo il trasferimento del potere dal centro alle regioni. Leader del partito è Mlađan Dinkić, ex ministro dell’Economia che ha avuto un ruolo importante nella firma di accordi importanti con investimenti stranieri, nonché nell’introduzione dell’IVA. Su questi successi e sulla capacità tecnica di Dinkić si è puntato molto durante questa campagna elettorale.  

Gli altri candidati alle presidenziali sono:

 

Jadranka Šešelj - Partito radicale serbo (SRS)

 

Classe 1960. Moglie del leader del Partito Radicale Vojislav Šešelj.

Si candida alla presidenza per la prima volta.

I messaggi della sua campagna elettorale hanno i toni populistici propri del partito che la presenta come candidato, lo SRS. La Šešelj promette, se eletta, di impedire l’ingresso della Serbia nell’Unione europea, da cui dipenderebbero gran parte dei mali che affliggono il paese, dall’abbandono del Kosovo all’altissimo tasso di disoccupazione.

Il Partito radicale, che ha perso la sua posizione di principale forza di opposizione con l’uscita di Nikolić e la conseguente nascita del SNS, è un partito populista di destra con una forte base nazionalista. Ai continui attacchi alla corte “criminale” dell’Aja dove è trattenuto il leader del partito Vojislav Šešelj, si sono intensificati durante la campagna elettorale gli attacchi al “traditore” Nikolić, e all’ancor più traditore Tadić, sostenendo invece la necessità di un riavvicinamento della Serbia alla Russia.

Gli altri candidati alle presidenziali sono:

Vladan Glišić - Dveri

Zoran Dragišić - Movimento dei lavoratori e dei contadini

Muamer Zukorlić - Gruppo di Cittadini

Danica Grujičić -  Unione Socialdemocratica

Ištvan Pastor - Unione degli Ungheresi di Vojvodina


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