Belgrado 17 settembre 2022 © Belgrade Pride/Vesna Lalić

Belgrado 17 settembre 2022 © Belgrade Pride /Vesna Lalić

Divieti e minacce non sono riuscite a fermare l'Europride di Belgrado e la sua colorata Parata dell'orgoglio che ha sfilato per le vie della capitale. Non sono però mancati incidenti, insulti e richiami alla violenza. La strada per la piena approvazione dei diritti LGBT in Serbia resta in salita

20/09/2022 -  Antonela Riha Belgrado

A due giorni dalla conclusione della manifestazione centrale dell’Europride di Belgrado , culminato nella Parata dell’orgoglio svoltasi sabato 17 settembre, gli organizzatori possono affermare di essere riusciti a portare a termine l’iniziativa e le autorità di essere riuscite a garantire la sicurezza dei partecipanti al corteo, tra cui c’erano la Commissaria europea per l’uguaglianza Helena Dalli, alcuni europarlamentari e ambasciatori stranieri accreditati a Belgrado.

Durante il Pride, alcuni gruppi di hooligan e oppositori dell’evento hanno cercato di raggiungere i luoghi interessati dal corteo LGBT, provocando incidenti e scontrandosi con la polizia. La premier serba Ana Brnabić ha dichiarato che 5200 agenti di polizia hanno garantito la sicurezza della parata, durante la quale 63 persone sono state poste in stato di fermo, mentre 13 agenti di polizia sono rimasti feriti. Gli organizzatori dell’Europride hanno denunciato il fatto che, a conclusione dell’evento, alcuni partecipanti al corteo sono stati aggrediti. Secondo quanto riportato dai media, si tratterebbe di attivisti provenienti dall’Albania e dalla Germania.

Nell’ambito della Settimana dell’Europride, tenutasi dal 12 al 18 settembre, sono stati organizzati oltre cento eventi. Tra tutte le manifestazioni previste, a suscitare maggiori preoccupazioni rispetto alla sicurezza è stata la Parata dell’orgoglio. Pochi giorni prima della data fissata per lo svolgimento del corteo, la polizia ha vietato l’evento, dando così ascolto alle parole del presidente serbo Aleksandar Vučić . Qualche settimana fa Vučić aveva dichiarato che l’Europride e il corteo finale non si sarebbero tenuti perché il governo – peraltro in carica, ormai da sei mesi, con un mandato tecnico in attesa della formazione del nuovo esecutivo – ha deciso così.

Una decisione motivata dalle preoccupazioni per i rischi che il Pride avrebbe comportato, considerando il forte malcontento e le proteste di una parte dell’opinione pubblica contraria allo svolgimento dell’evento. I membri della comunità LGBT e i loro sostenitori hanno reagito all’annunciato divieto invocando la Costituzione e la libertà di riunione.

Nonostante il tribunale amministrativo di Belgrado abbia respinto il ricorso presentato dagli organizzatori contro la decisione della polizia di vietare il corteo, sabato 17 settembre alcune migliaia di persone hanno sfilato, sotto una pioggia battente, lungo un percorso modificato e più breve rispetto a quello originariamente previsto, attraversando il parco di Tašmajdan per giungere all’omonimo stadio dove si è svolto il concerto finale. Al termine dell’evento, il ministro dell’Interno Aleksandar Vulin ha dichiarato che il ministero da lui guidato non ha autorizzato il corteo, bensì semplicemente provveduto affinché “tutti i partecipanti a questa manifestazione venissero scortati al concerto in piena sicurezza”.

Minacce e maledizioni

Le settimane precedenti al Pride sono state caratterizzate da un clima infuocato, continuamente alimentato da alcuni gruppi di destra, ma anche dalle affermazioni di alcuni esponenti dell’opposizione. Così, ad esempio, Boško Obradović, leader del movimento Dveri, ha minacciato di portare centomila persone in strada per protestare contro il corteo LGBT, mentre Vuk Jeremić, leader del Partito popolare (NS), ha dichiarato che consentire lo svolgimento del Pride sarebbe stato rischioso a causa dell’epidemia di vaiolo delle scimmie. A svolgere però un ruolo particolarmente rilevante nell’alimentare tensioni è stata la Chiesa ortodossa serba (SPC).

Il primo a intervenire è stato il metropolita Nikanor, il quale ha maledetto gli organizzatori del Pride per poi affermare: “Se avessi un’arma, la utilizzerei, ma non ne ho”. Il metropolita si è scagliato in particolare contro la premier Ana Brnabić – dichiaratamente omosessuale e di origine croata – perché “non professa la nostra religione, né tanto meno appartiene al nostro popolo”, definendo i genitori e i nonni della premier “nostri nemici, aguzzini del popolo serbo”.

Il patriarca della Chiesa ortodossa serba Porfirije, invece di condannare le parole del metropolita Nikanor, si è affrettato ad appoggiare il divieto del Pride. Lo scorso 11 settembre, durante un raduno organizzato da alcuni gruppi di destra con il sostegno della SPC, il patriarca, dopo aver recitato una preghiera, ha affermato che la Chiesa ortodossa è contro ogni ideologia LGBT+ pur specificando di opporsi a “qualsiasi forma di violenza, stigmatizzazione e persecuzione pubblica”, aggiungendo poi che “il male non può essere riparato né sconfitto ricorrendo alla violenza, che non fa altro che provocare un’ulteriore diffusione del male”. Il giorno successivo sul sito ufficiale della Chiesa ortodossa serba è stato pubblicato un appello rivolto dal patriarca ai sacerdoti della SPC affinché diano spazio, durante ogni cerimonia liturgica, ad una “preghiera in difesa della sacralità del matrimonio e della famiglia”. Nella preghiera in questione viene menzionata anche un’ideologia imposta da fuori finalizzata a distruggere le fondamenta identitarie e i pilastri dell’individuo e della comunità”. Il patriarca ha anche invitato le autorità competenti a vietare tutti i libri di testo che “promuovono l’ideologia gender”.

Tale ingerenza della Chiesa nella vita di uno stato secolare come la Serbia non ha fatto altro che acuire i contrasti interni alla società, infervorando ulteriormente quella parte dell’opinione pubblica conservatrice che ha un atteggiamento fortemente negativo nei confronti della comunità LGBT, pur non conoscendola da vicino. Non è passato inosservato il fatto che i gruppi contrapposti hanno ricevuto l’appoggio di diversi attori della comunità internazionale. Mentre molti politici europei e l’ambasciatore statunitense a Belgrado si sono uniti ai membri della comunità LGBT, sfilando al Pride dello scorso sabato, i partecipanti ai raduni organizzati dalla destra hanno sventolato striscioni raffiguranti Vladimir Putin.

Una libertà ristretta entro i confini segnati dai cordoni di polizia

La polemica intorno al Pride è stata creata artificiosamente dalla leadership al potere per distogliere l’attenzione da varie questioni di attualità, tra cui l’implementazione, iniziata lo scorso primo settembre, di un accordo tra Serbia e Kosovo sui documenti di identità che nei mesi scorsi ha suscitato non poche tensioni politiche tra i due paesi.

La polemica orchestrata dal potere ha fatto passare in secondo piano anche le richieste avanzate da anni dalla comunità LGBT e dalle organizzazioni della società civile impegnate nella difesa dei diritti LGBT.

L'anno scorso il ministero per i Diritti umani e delle Minoranze ha presentato una proposta di legge sulle unioni tra persone dello stesso sesso, ma dopo l’intervento del presidente Vučić, il quale ha dichiarato che non avrebbe mai firmato una legge simile, la proposta è caduta nell’oblio. Dieci anni fa furono introdotte alcune modifiche al Codice penale della Serbia, prevedendo una circostanza aggravante per i crimini d’odio basati su sesso, orientamento sessuale e identità di genere. A tutt’oggi non si sa ancora se qualcuno sia mai stato condannato per tali crimini. Nei giorni scorsi nessuno ha speso una parola nemmeno sull’attuazione della legge contro le discriminazioni nei confronti della popolazione LGBT, approvata nel 2009.

I cittadini serbi ricordano bene il primo Gay Pride di Belgrado, tenutosi nel 2002, quando i partecipanti al corteo furono brutalmente picchiati, mentre la polizia se ne stava in disparte, senza nemmeno provare a fermare la violenza. Durante il Pride del 2010 più di centocinquanta persone rimasero ferite negli scontri provocati da alcuni gruppi di hooligan e dall’estrema destra. Le parate LGBT degli ultimi anni sono state caratterizzate da scontri meno gravi, ma anche dalla sensazione che le persone che sfilavano lungo un percorso delimitato da imponenti cordoni di polizia non godessero di un’effettiva libertà di movimento e che i loro problemi fossero ancora ampiamente ignorati dall’opinione pubblica. Anche quest’anno le palesi manifestazioni di odio, rimaste impunite, nei confronti delle persone LGBT, le proteste contro la comunità LGBT, la tendenza a invocare non solo i valori patriarcali e familiari, ma anche la violenza, hanno fornito un’immagine desolante della Serbia.

Stando ai dati pubblicati dall’organizzazione Da se zna [Che si sappia], nel 2021 sono stati registrati 83 attacchi fisici e verbali contro le persone LGBT, segnando un aumento del 37% rispetto al 2020. È il numero più alto di incidenti mai registrato nell’arco di un anno dal 2017, quando l’organizzazione Da se zna aveva iniziato a monitorare la situazione. A suscitare particolare preoccupazione – come sottolineano i rappresentanti dell’organizzazione – è il fatto che “68 incidenti, ossia l’82%, non sono stati denunciati alle autorità competenti, soprattutto a causa della sfiducia nelle istituzioni”.

Quando nel 2017 Ana Brnabić era stata nominata premier, i media internazionali avevano parlato di lei non solo come della prima donna alla guida del governo serbo, ma anche come della prima premier dichiaratamente omosessuale. La comunità LGBT e una parte dell’opinione pubblica serba si aspettavano che Ana Brnabić con le sue azioni e il suo modo di guidare il governo contribuisse al miglioramento della posizione delle persone LGBT, ma anche di altri gruppi emarginati. Tali aspettative sono rimaste disattese e durante un incontro organizzato nell’ambito dell’Europride Brnabić è stata accolta con fischi . Né la premier né altri alti funzionari dello stato hanno partecipato al Pride dello scorso sabato.

Al termine della Settimana dell’Europride Ana Brnabić ha dichiarato che la Serbia ha dimostrato di essere un paese serio che rispetta i diritti di tutti i suoi cittadini. “Abbiamo finalmente chiuso questo tema, ponendo la parola fine alla questione. Ora affronteremo problemi più seri e questioni più importanti”, ha affermato la premier, esprimendo con massima chiarezza l’atteggiamento dello stato serbo nei confronti delle persone LGBT.


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