Violeta Birla

Violeta ha alle spalle una tragica infanzia in Romania. Ora però sta percorrendo un sogno, quello di fare la regista. La sua storia

16/05/2016 -  Daniela Mogavero

Una bambina abbandonata ad appena un mese in ospedale, gravemente malata di polmonite. Una madre che sparisce nel nulla, un padre che non si preoccupa per la sua sorte. Tre anni in orfanotrofio, a Focsani (Romania), tre anni pensando di non avere genitori. Poi l’illusione di una famiglia, una casa, delle sorelle, una mamma e un papà. Ma è solo un’illusione, effimera, frutto della ricerca di un guadagno facile, quello degli assegni familiari. E così dopo anni di violenze domestiche a 11 anni il ritorno in orfanotrofio.

In quegli anni la piccola Violeta Birla scopre di avere un sogno, un obiettivo: diventare un’artista, una regista. E ora la sua storia, che ha tutti i tratti di un film drammatico ambientato nella Romania pre e post Rivoluzione, potrebbe diventare presto un lungometraggio. Potrebbe, perché per Violeta, che al suo attivo ha tre cortometraggi autoprodotti e pluripremiati, è ora di fare il salto e stare dietro la macchina da presa per raccontare quella storia che è sua, ma anche di milioni di bambini.

“Voglio fare un film tratto dalla mia autobiografia 'Nel nome del cuore'. Ho passato metà della mia vita tra l’orfanotrofio e la famiglia di mio padre, dove ho scoperto a sette anni di non essere amata. Dove mi sono sentita sola al mondo e ho voluto che in una notte potessi crescere usando una bacchetta magica e andare via. Ma non voglio parlare di me come persona e basta, voglio raccontare la storia di una bambina che ha vissuto negli orfanotrofi della Romania in due periodi difficili, quello comunista e poi un altro, un po’ più flessibile, ma senza entrambi i genitori fino a 18 anni – ha raccontato parlando della sua storia e dei suoi progetti – voglio parlare di una bambina che ha sofferto tanto, non si è mai arresa, ha creduto sempre in se stessa”.

Quando all’età di 3 anni Violeta venne portata via dall’orfanotrofio da papà Anghel e dalla sua nuova compagna, pensò di aver trovato davvero una famiglia, ma l’idea dorata si sgretolò velocemente. Il padre diventò violento e le sorelle, gelose, la maltrattarono fino a 11 anni quando, dopo le segnalazioni ai servizi sociali, Violeta tornò nella struttura pubblica dove restò fino al compimento dei 18 anni.

Ma in quegli anni Violeta aveva già capito cosa avrebbe voluto fare da grande e imparare l’italiano, guardando la Piovra e Casa Vianello le furono d’aiuto in questo progetto. Arrivata a Roma a 20 anni, nel 2006 è stata scelta tra 1.600 candidati per il corso intermedio avanzato agli studi di Cinecittà dove ha potuto diplomarsi in recitazione, una professionalità che l’aiuta nel suo ruolo di regista e che le consente di mantenersi insegnando, anche ai bambini.

Negli ultimi tre anni ha realizzato tre cortometraggi incentrati sul sociale: sui bambini, l'abbandono e il difficile rapporto con i genitori, presenti o assenti. "Sui tuoi passi", di cui ha curato regia, soggetto, sceneggiatura e casting, ha vinto 14 primi premi internazionali tra cui il Giffoni Romania per il miglior soggetto sociale, il primo premio per la miglior sceneggiatura al Festival Internazionale Echofest Romania, il premio speciale al Festival Internazionale Pro Patria e il premio speciale come miglior film al Festival Nazionale Albero Andronico. Anche il secondo cortometraggio ha avuto numerosi riconoscimenti. "Il suono dell'orizzonte", che tratta il tema del divorzio, è stato premiato al Digi Mobile come miglior cortometraggio sul sociale e al Dream Fest come miglior pellicola per bambini.

E poi c’è l’ultimo lavoro, “La Perla”, “girato l'estate scorsa” e che racconta “una storia vera, quella di una bambina abbandonata anche se ha la famiglia: è la figlia emarginata, poco considerata sia dai genitori che dai fratelli. Una storia da cui ancora stento a riprendermi".

In tutte le sue storie, però, i protagonisti, che hanno sofferto trovano un riscatto. Lo stesso riscatto che Violeta vuole ottenere: “Il mio obiettivo è mandare un messaggio, ai grandi voglio dire che spesso non vedono quello che gli sta accadendo intorno, non si rendono conto delle sofferenze dei figli o di chi è più piccolo. Ai giovani voglio raccomandare di credere sempre nei propri sogni e di guardarsi intorno, perché se c’è un compagno di classe o un amico che si rifugia in se stesso ed è triste, probabilmente porta una croce più pesante di lui”.


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