bandiere arcobaleno - © Shutterstock-Iryna Imago

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L’orgoglio lesbico, gay, transgender, bisessuale scende nelle piazze d’Europa. Ma il panorama è diviso, tra divieti di governi nazionali e il sostegno ambiguo delle istituzioni europee, per alcuni solo formale. Come la società civile percepisce il lavoro di Bruxelles in tema di tutela dei diritti

27/06/2025 -  Alberto Burba Bruxelles

È stato un mese coloratissimo quello che si sta chiudendo. Non tanto per il sole, quanto per la ricorrenza del “Pride Month”, il mese dell'orgoglio LGBTQIA+. Un evento che ogni anno viene santificato dai Gay Pride, quelle manifestazioni che portano in città una folla multicolore impegnata nella lotta per i diritti delle comunità lesbico, gay, bisessuale, transgender e di altre forme di sessualità.

Una galassia anticonformista, piena di eccessi, che vuole esaltare al massimo la sua diversità. Con i colori, per l’appunto. È così che in piazza sfilano queer col vestito paillettes e piume in tema arcobaleno, muscolosi trentenni con camicia di cuoio nero e bracciali tempestati di borchie d’acciaio, attempati bancari che per l’occasione si sono tinti i capelli di verde e rosa.

I numeri della partecipazione ai Pride sono impressionanti. Tre sono le città che negli ultimi anni hanno registrato la maggiore affluenza: New York City con 4 milioni di manifestanti nel 2019, San Paolo con 4 milioni nel 2011 e Madrid con 3.5 milioni nel 2017.

Sono più di cinquanta anni che li vediamo sfilare per le vie del centro. Tutto è iniziato dopo i moti di Stonewall del 28 giugno 1969. Una data che segna uno spartiacque. Quel giorno a New York City, in seguito a una retata della polizia in un bar gay, scoppiarono rivolte che portarono la comunità a prendere coscienza dei propri diritti e a far sentire la propria voce.

Da lì qualcosa è iniziato a cambiare e diversi Paesi nel mondo hanno cominciato a promuovere legislazioni ad hoc per tutelare i diritti LGBT+. Ma la strada pare sia ancora lunga. A volte basta attraversare un confine per ritrovarsi in un mondo al contrario.

Bruxelles: presente o pink washing?

Paesi diversi, mentalità diverse. A fare il punto sullo stato di salute dei diritti LGBT+ in Europa ci ha pensato ILGA Europe . Da una quindicina di anni a questa parte, l’organizzazione che ha sede a Bruxelles (e che vive grazie a finanziamenti di governi, fondazioni e donazioni private) pubblica un rapporto che analizza la situazione in 49 stati europei, con 76 indicatori usati.

Criteri che sono stati poi suddivisi in sette categorie tematiche: Uguaglianza e non discriminazione, Famiglia, Crimini d'odio e discorsi d'odio, Riconoscimento legale del genere, Integrità corporea intersessuale, Spazio nella società civile, Asilo.

A ciascun Paese è stato assegnato un punteggio percentuale (dove 100 rappresenta il massimo, la situazione ideale, e zero la totale assenza di diritti). Poi è stata stilata una classifica e i risultati sono stati raccolti in una mappa interattiva (la Rainbow Map ) che fornisce analisi degli aspetti positivi e negativi per la comunità LGBT+ stato per stato.

Nessun Paese è stato promosso a pieni voti, ma molti si avvicinano. Per contro, in alcune aree l’insufficienza è gravissima. La “migliore” della classe è Malta, che si aggiudica 88 punti su 100. La “peggiore” la Russia, con 2 su 100. Molto bene hanno fatto poi Belgio, Danimarca e Islanda. Male Turchia, Armenia, Azerbaijan.

Se dovessimo tracciare una linea immaginaria che va dal confine russo-finlandese fino al Mediterraneo passando dalla storica linea dell’Oder-Neisse noteremmo un continente diviso a metà. Con due eccezioni: da una parte l’Italia e dall’altra la Grecia. A sinistra i “bravi della classe”, a destra i “cattivi”: in altre parole, a Ovest la legislazione è abbastanza rispettosa per chi vive la propria sessualità in maniera “non conforme alla norma”, a Est è scarsa, se non inesistente. Il retaggio della cortina di ferro segna ancora certi confini.

"La Rainbow Map 2025  - dicono da ILGA Europe - offre una fotografia della posizione dell'Europa in materia di diritti umani LGBT+ e mette in evidenza l'urgente necessità di difendere e promuovere questi diritti nel contesto di una grave erosione democratica". Già, una questione di democrazia. Come ha detto Chaber, direttore esecutivo dell’organizzazione brussellese: "Stiamo entrando in un’epoca dove le persone LGBT+ sono diventate il banco di prova per leggi che erodono la democrazia stessa".

La bandiera del Pride sul palazzo della
Commissione europea di Bruxelles
© Shutterstock

Le divisioni europee si percepiscono anche in questi giorni. Il 26 maggio scorso, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen aveva invitato il suo staff a boicottare il prossimo Gay Pride in Ungheria, previsto per il 28 giugno.

La settimana precedente aveva appoggiato quello di Bruxelles. "Siate orgogliosi. Orgogliosi di chi amate. Orgogliosi di chi siete. Orgogliosi di chi state diventando. Perché il vostro viaggio è il vostro potere. Ricordate sempre: L'Europa è vostra alleata. Io sono il vostro alleato. Questa settimana e ogni settimana. Siate orgogliosi. Sempre", aveva dichiarato in un post su X dove si vedeva la bandiera arcobaleno sventolare al fianco di quella europea fuori dal palazzo della Commissione di Bruxelles.

Due approcci diametralmente opposti che avevano scatenato critiche contro Ursula Von der Leyen, accusata di non voler intralciare gli interessi del Primo ministro ungherese Viktor Orbán che a marzo, con il pretesto di una legge del 2021 che vieta la rappresentazione o la promozione dell'omosessualità ai minori di 18 anni, ha di fatto vietato la manifestazione del 28 giugno.

"Una nuova strategia dell'UE per l'uguaglianza LGBTIQ è prevista per la fine dell'anno. La prefazione reciterà presumibilmente: “La Commissione è vostra alleata, finché è politicamente conveniente” ha scritto ironicamente la testata brussellese Euractiv .

"Questa Commissione sta facendo più pink washing [una strategia usata da governi e organizzazioni per lavarsi la coscienza in tema di diritti LGBT+, ndr] che azioni reali a sostegno delle comunità", ha poi rincarato Manon Aubry, co-presidente del gruppo The Left e attivista nella petizione per vietare le pratiche di conversione sessuale nell'Unione europea. 

Ma nonostante i divieti, le tensioni e gli attriti politici, il Pride di Budapest si terrà comunque. Lo stesso sindaco, Gergely Karacsony, lo ha assicurato lunedì 16 giugno, chiamando in causa la tradizione democratica della sua città.

L’evento sarà sostenuto da attivisti, politici e istituzioni. La segretaria del Partito democratico italiano, Elly Schlein, ha assicurato la sua presenza. Dello stesso avviso la vice-presidente del parlamento belga Lotte Stoops e la collega parlamentare europea Kimberly van Sparrentak.

Come garantire i diritti? Istruzione, istruzione, istruzione

Ma gli attivisti, al di là dei Pride, cosa pensano? Come percepiscono il ruolo delle istituzioni europee? Si fa abbastanza per promuovere una cultura della diversità? Quali sono le ostilità che le comunità vivono ogni giorno? E quali mezzi usare per superare queste avversità?

Per capirci qualcosa in più, OBCT, grazie al network di testate indipendenti PULSE , ha intervistato militanti ed esperti di cinque paesi dell’Ue: Austria, Belgio, Grecia, Polonia, Spagna.

Il quadro che emerge è ambiguo. In genere le istituzioni di Bruxelles sono viste come degli alleati, enti che si danno da fare per riconoscere i diritti dei gruppi più vulnerabili. Ma se si scava un po’ emergono non pochi dubbi.

"Le politiche dell'Unione Europea - dice dalla Spagna Óscar Rodríguez Fernández di FELGTBI+ - hanno portato a progressi significativi nel riconoscimento e nella protezione dei diritti delle persone LGBTI+, soprattutto in termini di quadri legislativi, progetti come la Strategia per l'uguaglianza LGBTIQ 2020-2025 e il finanziamento di programmi sociali ed educativi (...) Tuttavia, la loro reale efficacia varia notevolmente da Paese a Paese. In molti Stati membri, soprattutto quelli con governi apertamente ostili alla diversità, come l'Ungheria, l'Italia o la Bulgaria, queste politiche vengono ignorate. (...) L'UE, in particolare la Commissione europea, ha un'opportunità significativa per determinare la direzione delle sue politiche LGBTI+ nel breve termine, grazie alla Strategia per l'uguaglianza delle persone LGBTI+ 2026-2030".

Dalla Grecia l’organizzazione ORLANDO LGBT non usa mezzi termini e denuncia: "I privilegi che l'UE può offrire sono principalmente appannaggio di individui bianchi, eteronormativi e cisgender, appartenenti alla classe media o medio-alta: accesso all'istruzione, all'assistenza sanitaria, alla mobilità di classe e persino alla cittadinanza. Questa differenziazione si nasconde dietro l'immagine di un'Europa multiculturale e diversificata, che è ben lontana dalla realtà. Più le politiche ufficiali europee fingono di non vedere il divario tra i due, più ci sarà terreno fertile per l'autoritarismo, la discriminazione e l'estrema destra".

Viste queste ambiguità una domanda è lecita: ma le associazioni si sentono ascoltate dai funzionari di Bruxelles? Dalla Fédération Prisme di Liegi (Belgio) sorge qualche dubbio: "A volte - dicono dalla federazione belga - ci sentiamo più 'riconosciuti' che realmente 'ascoltati'.

Sebbene il riconoscimento istituzionale esista, rimane in qualche modo distante e impersonale, caratterizzato dalla mancanza di un dialogo sostenuto e diretto. L'assenza di interazioni regolari e personali rende difficile un impegno significativo e continuo. Detto questo, alcune istituzioni, come la Corte di giustizia dell'Unione europea, sono alleate vitali nel sostenere i diritti fondamentali attraverso sentenze di grande impatto".

Quanto agli ostacoli che impediscono il superamento dell'ostilità contro le comunità LGBT+, dalla Spagna non hanno dubbi: l’odio che corre sui social media è forse il problema primario. "La normalizzazione dei discorsi d'odio, soprattutto sui social network e nei media – dicono dalla penisola iberica - è uno degli ostacoli principali. Per questo motivo la Federazione [spagnola] promuove da anni, insieme alle più importanti organizzazioni sociali del nostro Paese, un Patto di Stato contro i discorsi d'odio rivolto ai gruppi più vulnerabili".

Su un tema cruciale tutti però sono d’accordo: per superare le ostilità contro le comunità LGBT+ bisogna puntare sull’istruzione. Ovunque, nelle scuole, in famiglia, nei centri di aggregazione. Ma non solo, come sottolinea Gernot Wartner, direttore generale di HOSI Linz Austria, è importante anche la visibilità: "I media sono chiamati a concentrarsi su di noi non solo durante il mese del Pride". Da non dimenticare poi il ruolo della leadership politica.

Come dice Wojciech Karpieszuk, editorialista della polacca Gazeta Wyborcza : "Quando i politici parlano apertamente a sostegno dei diritti delle minoranze e assumono una posizione ferma contro la discriminazione, inviano un messaggio importante alla società. La leadership conta, soprattutto nei Paesi in cui l'ostilità verso certi gruppi è ancora marcata".

(Hanno collaborato alla stesura di questo articolo Ana Somavilla - El Confidencial, Wojciech Karpieszuk - Gazeta Wyborcza, Christian Schneider - Der Standard, Dimitris Angelidis - EfSyn)

 

Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.

 

 

 

 


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