Disinfettante viene spruzzato in una scuola in Grecia nel 2020 - © Ververidis Vasilis/Shutterstock

Disinfettante viene spruzzato in una scuola in Grecia nel 2020 - © Ververidis Vasilis/Shutterstock

Il ripetuto ricorso ai fondi strutturali da parte delle istituzioni UE per far fronte alle crisi rischia di ripercuotersi sull’obiettivo principale di rafforzamento della coesione territoriale delle regioni europee. Una relazione della Corte dei conti europea

22/02/2023 -  Gentiola Madhi

L’avvento della pandemia ha provocato profonde conseguenze negli stati membri UE, innescando un processo di recessione economica e sollecitando interventi immediati a livello europeo per fronteggiare sfide condivise. In un breve lasso di tempo, la Commissione è riuscita ad introdurre diverse modifiche alla normativa che regola la politica di coesione per il periodo finanziario 2014-2020, in modo da poter offrire risposte ai fabbisogni delineati dai governi nazionali. Ingenti quantità di risorse sono state messe a disposizione degli stati membri in poco tempo, utili per l’avvio delle misure di contrasto alla crisi.

Oltre alla liquidità, le modifiche attuate alla politica di coesione hanno fornito agli stati maggiore flessibilità e procedure semplificate nel reindirizzo delle risorse economiche disponibili verso i settori maggiormente colpiti.

Gli strumenti varati per fronteggiare la crisi

La Commissione europea inizialmente ha adottato due iniziative di investimento in risposta al coronavirus (CRII e CRII+) con contributi provenienti dalle risorse ancora disponibili dai 355 miliardi destinati alla politica di coesione per il settennato 2014-2020. Entrambe le iniziative permettevano agli stati di realizzare investimenti con una copertura fino al 100% a valere sul budget europeo, da realizzarsi entro il 2021.

Successivamente è stato adottato lo strumento di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa (REACT-EU), che aggiungeva ulteriori 50.4 miliardi di euro ai fondi di coesione a disposizione, da spendere entro il 2023. REACT-EU si è configurato come una sorta di “finanziamento ponte” tra la conclusione del periodo 2014-2020 e il posticipato inizio del nuovo settennato finanziario 2021-2027 a causa dei significativi ritardi causati dalla pandemia. L’Italia e la Spagna sono risultati i maggiori beneficiari di REACT-EU, rappresentando insieme il 57% dell’intera dotazione a disposizione.

La discrezionalità degli stati

Le modifiche apportate alla normativa della politica di coesione sono state sottoposte all’audit della Corte dei conti europea, con l’intento di comprendere se abbiano o meno aiutato gli stati membri a fronteggiare la pandemia. Il panorama emerso evidenzia dei chiaroscuri sui rischi derivanti dal ricorso ai fondi di coesione per far fronte alle crisi emergenti, considerando che tali fondi sono destinati principalmente all’attuazione di azioni volte alla riduzione delle disparità di sviluppo tra le varie regioni europee.

Nella sua relazione di inizio febbraio, la Corte riconosce la rapidità dell’UE nella fornitura di risposte per fronteggiare le conseguenze della pandemia, ma evidenzia che le misure adottate rischiano di acuire e non ridurre le differenze di sviluppo sociale e territoriale in Europa.

Le iniziative CRII/CRII+ hanno introdotto modifiche ai tratti principali dei fondi di coesione, permettendo agli stati un elevato livello di discrezionalità sull’utilizzo delle risorse, non limitato alla sola fornitura di risposte alla pandemia. REACT-EU si è poi ulteriormente scostato dalle regole della politica di coesione, concedendo agli stati membri la possibilità di ripartire i fondi aggiuntivi fra le regioni e i ampliando tipi di investimenti ammissibili.

Tale margine di discrezionalità secondo la Corte è andato a volte a scapito delle regioni meno sviluppate. Ad esempio in stati come la Grecia, l’Ungheria e l’Italia, le regioni sottosviluppate hanno visto una diminuzione - minima ma significativa - rispetto al settennato precedente di 5.6 milioni di euro. Mentre consistenti risorse sono andate alle regioni più sviluppate (+ 1.7 miliardi sempre rispetto al settennato precedente) o in transizione (+ 82 milioni di euro).

Altre problematiche riscontrate

La flessibilità offerta dai tre strumenti sopra menzionati ha permesso agli stati membri di destinare considerevoli risorse aggiuntive al settore sanitario, all’occupazione e al sostegno delle imprese. È stato comunque rilevato che gli stati hanno adottato modalità variegate di programmazione, con il conseguente verificarsi di casi dove alcuni stati membri hanno concentrato i propri fondi provenienti da REACT-EU in un unico settore di investimento.

Inoltre, la capacità di assorbimento dei fondi da parte degli stati è sempre stato un punto dolente. A fine 2021, il tasso di spesa dei fondi previsti per il periodo 2014-2020 ha raggiunto solo il 62%, un livello simile a quello del settennato precedente. D’altro canto, la messa in opera di diverse linee di finanziamento a causa della crisi ha creato ulteriori oneri sulle amministrazioni nazionali, trovatesi di fronte alla pressione di spendere i fondi a disposizione entro il 2023 e contemporaneamente al rischio di andare a scapito dell’impiego proficuo delle risorse e della performance.

“Le misure hanno accresciuto il carico di lavoro amministrativo delle autorità di gestione e ritardato ulteriormente l’avvio dei programmi per il periodo 2021-2027”, osserva la Corte.

In conclusione, l’apporto di modifiche temporanee alla politica di coesione per far fronte ad una crisi non dovrebbe secondo la Corte dei conti europea convertirsi in una prassi ordinaria rischiando di perdere di vista l’obiettivo della convergenza economica, sociale e territoriale delle regioni europee.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Work4Future" cofinanziato dall’Unione europea (UE). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina "Work4Future"

 


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