Il processo di privatizzazione in Bosnia Erzegovina ha lasciato circa mezzo milione di disoccupati, una valanga di aziende chiuse e un numero imprecisato di persone arricchite che hanno distrutto tutto quanto era stato costruito negli anni passati

05/09/2013 -  Dragan Maksimović Banja Luka

(Articolo pubblicato originariamente dall’agenzia Deutsche Welle il 26.08.2013 col seguente titolo: Katastrofalan bilans tajkunske privatizacije )

“Rudi Čajavec”, “Famos”, l’impresa edile “Vranica”, il sarajevese “Sarabon”… La lista è lunga. Queste aziende non esistono più, nonostante nell’ex stato fossero dei giganti nei rispettivi settori. Sono scomparse subito dopo il processo di privatizzazione, processo che ha distrutto numerosi posti di lavoro in Bosnia Erzegovina (BiH).

Il processo è iniziato nel 1998 in base ad un modello di vendita di azioni, un modello che è stato fatale per il sistema. La maggior parte delle aziende, privatizzate per cifre molto basse, sono state per lo più abbandonate dopo che i cosiddetti investitori hanno recuperato i finanziamenti, venduto le proprietà e lasciato sulla strada i lavoratori. Quindici anni dopo ancora mancano i risultati attesi.

Fikret Alić, dell’Agenzia per la privatizzazione della Federazione di Bosnia Erzegovina, sostiene che i nuovi proprietari, purtroppo, hanno avuto riguardo solo per le proprietà ma non per gli obblighi che si erano assunti. “Non hanno tenuto conto dei lavoratori, e questo è il problema principale.”

Proprietà di 15 miliardi vendute per 2, 3 miliardi

In Republika Srpska (RS) il processo di privatizzazione è stato condotto dalla Direzione per le privatizzazioni, mentre in Federazione (FBiH) il processo era di competenza di 11 agenzie, dieci cantonali e una generale.

L’epilogo è questo: 80 per cento delle aziende distrutto, mezzo milione di lavoratori a spasso, dei quali circa 100.000 senza continuità nel versamento dei contributi. Il resto sono investimenti, nuovo impiego e processi di valorizzazione che i proprietari hanno solo promesso. Nel frattempo, alcuni individui si sono arricchiti a dismisura e oggi quel denaro lo hanno reinvestito legalmente.

“Le proprietà che sono state saccheggiate da questa masnada di politici, criminali e rozzi arricchiti, sono davvero parecchie”, afferma l’economista Svetlana Cenić. Si stima che il valore di queste proprietà sia di oltre 15 miliardi di marchi convertibili [1 km circa 0.50 euro] e che siano state vendute per 2, 3 miliardi in tutto, tenendo in considerazione anche il miliardo derivante dalla vendita della “Telekom Srpske”.

In BiH si è rinunciato al concetto originario di privatizzazione, che era basato sul riscatto di certificati di proprietà. Allontanandosi dal modello originario si è andati verso la formazione di una lista di aziende strategiche, che sono state vendute a condizioni quanto meno sospette. Gli economisti ritengono che il processo ormai sia irreversibile e che tutti i progetti di revisione della privatizzazione siano assurdi. Tuttavia, si possono confiscare le proprietà a tutti coloro i quali hanno partecipato alla privatizzazione in modo illegale o non trasparente: “Adesso si dovrebbe fare una legge che definisca che tutti gli atti penali relativi al periodo delle privatizzazioni non possano cadere in prescrizione”, sostiene Siniša Vukelić, redattore del portale economico Capital.

Su questa traccia si muove anche la legge proposta dall’SDS, Partito Democratico Serbo, sull’indagine della provenienza delle proprietà di determinati funzionari a partire dal 1992. Benché sia passata in forma di bozza, non è detto che in parlamento avrà il necessario sostegno sotto forma di disegno di legge, perché sarebbe controproducente per il potere in carica.

15 anni dopo proseguono gli scioperi quotidiani

Un esercito di lavoratori è rimasto senza impiego, e praticamente ogni giorno decine di questi, da varie parti della Bosnia Erzegovina, rivendicano i propri diritti in strada: pagamento degli stipendi e anzianità.

L’esempio più recente sono i lavoratori della fabbrica di detergenti di Tuzla “Dita”, fondata nel 1977. La fabbrica è stata privatizzata mediante l’Agenzia per la privatizzazione del cantone di Tuzla nel 2001, quando fu organizzata come una società per azioni. Nel 2005 la maggioranza del capitale fu acquistata dalla locale catena al dettaglio “Lora”, di Sarajevo. I lavoratori oggi sono in sciopero, minacciano di piazzare le tende in strada perché non ricevono stipendi da 21 mesi, e l’anzianità di lavoro è stata interrotta per quattro anni.

Nella lotta per i propri diritti i lavoratori sono guidati da Dževad Mehmedović: “Noi chiediamo solo che si risolva la situazione. Non sappiamo nemmeno dove siamo. Ho sempre detto che sarebbe arrivato il momento in cui alla ‘Dita’ sarebbero arrivate delle persone per portar via le proprietà. È arrivata un’azienda che ha lavorato con la ‘Dita’, hanno un accordo scritto per portare via i computer. Cominciano a portare via le proprietà e noi non ci siamo più”.

Questa è la realtà della Bosnia Erzegovina, anche se non mancano esempi positivi. Tuttavia i sindacati sono amareggiati perché non dispongono di un meccanismo per la difesa dei lavoratori, mentre il governo non vuole fare un'efficace revisione delle privatizzazioni. Velka Odžaković, dell’Unione dei sindacati della RS, afferma che in tutti i processi di privatizzazione il governo è il soggetto maggiormente responsabile, e che un graduale rilancio delle imprese sia l’unica soluzione: “Ma, tenendo presente lo stato attuale, è difficile che ci sia qualche avanzamento. Ecco perché siamo passati alla fase degli ammortizzatori sociali per far sì che i lavoratori non vengano del tutto danneggiati, anche se ormai sono rimasti senza lavoro”.

Il fiasco della revisione in RS

Mentre in Federazione BiH da poco è stata adottata la Legge sulla revisione delle privatizzazioni, in RS il governo del SNSD [Unione dei Socialdemcratici Indipendenti] durante il suo mandato (2006-2010) ha formato la Commissione per la revisione delle privatizzazioni, per poter così accertare eventuali mancanze e privatizzazioni illegali nelle varie aziende. A capo di questa commissione era il controverso Borislav Bijelić, che i media hanno messo in relazione con vari scandali, oltre a sottolineare la sua partecipazione in un gran numero di consigli di amministrazione e di controllo di varie aziende.

Dopo che la commissione ha cessato i lavori, dopo 70 rapporti su privatizzazioni controverse quanti Bijelić ne ha presentati alla magistratura competente, nessuno di questi ha avuto un epilogo giudiziario. Bijelić ancora oggi non sa perché. Riporta ad esempio la privatizzazione del “Vodovod” (acquedotto) di Modriča, privatizzato illegalmente dato che è stato venduto il 55% del capitale al posto del massimale del 20%, quanto consentito per le società di servizi. “Noi abbiamo accertato tutte le irregolarità e con ciò si sono create le condizioni per annullare la privatizzazione, su base legale. Ma ad oggi, ancora niente”, sostiene Bijelić, ribadendo che i motivi vanno cercati presso le istituzioni competenti.

Nella RS son state privatizzate circa 700 aziende e banche, delle quali 630 hanno cessato di lavorare. La Commissione ha sottoposto alla Magistratura speciale denunce per circa 70 casi in cui in tribunale sono finite nove persone. Tutte assolte.

Il potere ha reso possibile il saccheggio

Tutto ciò indica non solo che nessuno desidera veramente annullare la privatizzazione di determinate aziende, ma anche che non desidera portare a termine la revisione. L’ex leader sindacale della BiH Edhem Biber (nel mandato dal 2002 al 2008), dice che le leggi di allora hanno reso possibile ai criminali di portare a termine le privatizzazioni con modalità sospette. “Un enorme esercito di lavoratori è rimasto senza impiego, alcuni hanno svolto la privatizzazione solo per acquistare gli immobili. Molti si sono arricchiti, hanno preso le aziende, hanno incassato quanto hanno speso e fine”.

“Borac” Travnik, “Konjuh” Živinice, “KTK” Visoko… Sono tutte aziende che non solo non godono più del vecchio splendore, ma addirittura non esistono più sulla mappa delle capacità produttive della Bosnia Erzegovina. A questo hanno contribuito individui che attraverso i partiti al potere si sono assicurati una fetta delle grandi aziende che più tardi hanno devastato.

Uno di questi casi, concordano gli esperti, è la privatizzazione dell’Azienda petrolifera in RS, che è stata venduta alla russa “Zarubezhneft” per circa 230 milioni di marchi. Il governo in carica ha modificato la Legge sulla privatizzazione per poter realizzare un accordo diretto. Dopo gli impegni concordati, alla Republika Srpska è rimasta solo una manciata di milioni. L’unico esempio positivo sarebbe la vendita della ex “Telekom Srpske” per l’incredibile cifra di 646 milioni di euro nel 2007. Questo denaro è oggi a disposizione della Banca per lo sviluppo degli investimenti in RS, tramite fondi e investimenti su tutta la RS. Molti però ritengono che quel denaro (importo che superava di 42 milioni di marchi l’allora budget annuale della RS) non esista più perché lo stato del “conto escrow” (conto corrente per scopi particolari) è tenuto rigorosamente segreto.

Siniša Vukelić afferma che la privatizzazione in Bosnia Erzegovina adesso è ferma anche per il comprensibile crollo di ex giganti industriali che avevano una produzione obsoleta. “E' interessante però che lo stato abbia mandato in rovina anche quelle aziende che avevano un enorme potenziale, come i magazzini ‘Boska’ o alcune delle aziende che si occupano di prodotti sotto accise come la Fabbrica di tabacco di Banja Luka o le aziende legate all’industria petrolifera, la richiesta dei cui prodotti non è mai diminuita”.

Cosa fare?

Gli esperti ritengono che si dovrebbe sollevare urgentemente la questione della privatizzazione della “Birča” di Zvornik, acquistata dal gruppo lituano UKIO in modo sospetto. Il governo della RS, quando tutto il denaro era stato ormai prelevato, ha comprato il resto del capitale della fabbrica di alluminio con l’intenzione di far ripartire l’azienda. Oggi ci si chiede se la soluzione sia la revisione della privatizzazione, che nessuno sa dove porterebbe, oppure l’annullamento della stessa. Svetlana Cenić crede che nessuna delle due soluzioni darebbe risultati concreti: “Cosa si può fare? Confiscare le proprietà a tutti quelli che hanno preso parte in modo illegale a questa privatizzazione. Che ognuno dimostri le fonti dei propri guadagni rispetto alle proprietà che possiede. Tutto il resto è manipolazione delle persone perché alcune cose non possono tornare indietro, e nemmeno i lavoratori.”

Ci sono anche esempi positivi, ma certo rispetto alle privatizzazioni fallite sono veramente pochi. Alcuni di questi sono le aziende “Celex”, “Vitaminka” e la già citata “Telekom” in Republika Srpska. In Federazione BiH sono invece il Cementificio di Kakanj, l’azienda “Natron” di Maglaj, la “Hepok” di Mostar e la “Unico filter” di Tešanj. Rispetto alle aziende andate in rovina, queste purtroppo sono solo una goccia di acqua limpida nel mare sporco della privatizzazione condotta in BiH.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!

I commenti, nel limite del possibile, vengono vagliati dal nostro staff prima di essere resi pubblici. Il tempo necessario per questa operazione può essere variabile. Vai alla nostra policy

blog comments powered by