Neum (foto di G. Vale)

Neum (foto di G. Vale)

Cosa c’entra Neum, piccola striscia costiera della Bosnia Erzegovina, con la Serenissima e l’antica Ragusa? Questo reportage, un'anteprima della prima Guida agli Stati scomparsi, dà la risposta

27/03/2020 -  Giovanni Vale

Se avete viaggiato lungo la costa meridionale della Dalmazia, ve ne siete sicuramente accorti: il territorio croato si interrompe - tra Spalato e Dubrovnik - per lasciar spazio ad un piccolo lembo di Bosnia Erzegovina, largo appena una ventina di chilometri. D’estate, ci vuole a volte un’oretta per attraversarlo tra i controlli ai confini e le inevitabili code. Ma qual è l’origine di questa curiosa situazione geografica e perché la cittadina di Neum è l’unico porto della Bosnia Erzegovina? La domanda è interessante anche perché la Croazia sta attualmente costruendo un ponte da 2,4 km per aggirare questo piccolo territorio. Si tratta del cantiere più importante del paese, dal valore di oltre 420 milioni di euro e finanziato in gran parte dall’UE. Come a dire che, qualunque sia l’origine storica della Neum bosniaca, le sue conseguenze oggi sono notevoli. Questo reportage è un’anteprima dei contenuti della prima Guida degli Stati scomparsi, dedicata alla Repubblica di Venezia e disponibile qui .

È colpa di Ragusa!

Innanzitutto, un’anticipazione. L’isolamento di Dubrovnik è colpa di Dubrovnik stessa! O meglio, della Repubblica di Ragusa, un piccolo staterello che comprendeva quella che oggi è la contea (o regione) di Dubrovnik e che è esistito dal X secolo fino al 1808. Incastonata tra le varie potenze che controllano l’Adriatico e i Balcani durante il Medioevo e il Rinascimento, la Repubblica di Ragusa riesce infatti a rimanere indipendente per secoli, grazie ad un’acrobatica diplomazia e alla fedeltà ad un unico principio, peraltro motto della repubblica: “Non bene pro toto libertas venditur auro”, ovvero “La libertà non si vende per tutto l'oro”. Oggi, per fare un paragone, quel motto pare ben sbiadito. Dubrovnik è diventata il fiore all’occhiello del turismo croato con oltre 2 milioni di visitatori l’anno, ma al prezzo di un centro storico spopolato, di navi da crociera in arrivo ogni giorno e insomma di un’economia a trazione unica. Forse, la pandemia in corso cambierà le cose.

Ma torniamo alla fiera repubblica di Ragusa. La cittadina fortificata, «perla dell’Adriatico» com’è spesso definita, vive una parabola simile a quella di Venezia, seppur su scala minore. Guadagna la sua autonomia all’interno dell’Impero bizantino e lentamente si impone come città mercantile nel basso Adriatico, con rapporti con l’entroterra balcanico e con la sponda orientale dell’Italia. Nel XIII secolo finisce sotto il controllo della Repubblica di Venezia ma, con il 1358, guadagna la sua indipendenza, che finirà soltanto con l’arrivo di Napoleone, quasi cinque secoli più tardi. In quel periodo, la città è fiorente, paga i suoi tributi prima al re d’Ungheria e poi, dopo la battaglia di Mohács (1526), al sultano ottomano, diventando per i mercanti europei la porta dell’Oriente e dei Balcani in mar Adriatico. La ricchezza di quel periodo è ben visibile oggi, negli imponenti bastioni, nei palazzi e nelle chiese. E quel che vediamo è peraltro la Ragusa ricostruita, dopo il terremoto che la rase al suolo nel 1667.

"La storia di Neum e la sua origine come porto ottomano e oggi bosniaco nasce dalla rivalità tra Venezia e Ragusa", spiega Emir Filipović, storico all’Università di Sarajevo. "Fin dal Medioevo, tra le due repubbliche si instaura un rapporto conflittuale, non tanto nell’Adriatico, dove la Serenissima domina incontrastata, ma più che altro nel commercio con l’entroterra dei Balcani, sul quale Ragusa ha un maggior controllo", prosegue Filipović. La geografica locale aiuta a capire le cose: l’isola di Curzola (Korčula) è un avamposto veneziano, mentre la penisola di Sabbioncello (Pelješac) è ragusea. Le mura di Stagno (Ston) testimoniano la necessità, per Ragusa, di proteggere le saline dagli attacchi di Venezia, che non vedeva di buon occhio (per usare un eufemismo) una produzione di sale alternativa a quella delle sue città. Tra le due repubbliche, tuttavia, non c’è una frontiera terrestre comune, almeno finché regge il Regno di Bosnia.

L’Impero ottomano nei Balcani

Con l’arrivo dell’Impero ottomano nei Balcani, le cose cambiano. Il Regno bosniaco cessa di esistere nel 1463, ma non prima di aver provato più volte ad ottenere la protezione di Venezia, come ci racconta Emir Filipović. "È un fatto curioso. A due riprese nel corso del Quattrocento, i re di Bosnia offrono il proprio regno alla Serenissima. Forse non si tratta di un’offerta seria, ma di un modo di attirare l’attenzione e di chiedere aiuto di fronte all’avanzata ottomana, dato che Bosnia e Venezia sono in ottime relazioni durante tutto il Medioevo", analizza Filipović, "ad ogni modo, la città dei Dogi, interessata com’è unicamente al mare e al commercio, non accetta l’offerta". La Bosnia dunque cade e con la fine del regno balcanico, lo spazio tra i territori veneziani in Dalmazia e quelli ragusei passa sotto amministrazione ottomana. La forma dei confini cambia, nel corso del tempo, seguendo l’esito delle guerre tra la Sublime Porta e Venezia.

In questo contesto, si inserisce la storia di Neum, come eccezione geopolitica, che inizia nel 1699. Quell’anno marca la fine di un lungo periodo di guerre tra le potenze cristiane d’Europa e l’Impero ottomano. I dignitari di regni, imperi e repubbliche si riuniscono a Sremski Karlovci, in Voivodina, per discutere quella che sarà poi definita la Pace di Carlowitz. Venezia vi arriva stremata dopo la lunghissima guerra di Candia (Creta), durata 25 anni (1644–1669) e persa contro gli Ottomani, ma anche forte di qualche vittoria, sia in Dalmazia che in Grecia (la Morea, ovvero il Peloponneso, è ora nelle mani della Serenissima). A Carlowitz, dunque, si ridiscute la geografia dei Balcani, sancendo la battuta d’arresto subita dagli ottomani. "Alla conferenza di pace, i diplomatici ragusei insistono su un punto: non ci deve essere frontiera comune tra Ragusa e Venezia. Per questo, si crea un cuscinetto di terra ottomana, facendo in modo che il sultano conservi almeno Neum sulla costa", racconta Filipović.

Il ponte, l’UE e i cinesi

Neum, lavori per il ponte di Pelješac (foto G. Vale)

Neum, lavori per il ponte di Pelješac (foto G. Vale)

I secoli che seguono non fanno che confermare quella decisione. La fine della Repubblica di Venezia e di quella di Ragusa non cambiano lo status di Neum, che, anche quando entra a far parte dell’Impero Austro-Ungarico a fine Ottocento, viene comunque considerato come parte integrante della Bosnia sotto amministrazione austro-ungarica. Il regno di Jugoslavia e la Federazione socialista ereditano anch’essi quella geografia senza modificarla, fino all’indipendenza di Croazia e Bosnia Erzegovina a fine XX secolo e il ritrovato problema dell’isolamento di Dubrovnik. L’esistenza di Neum, come unico sbocco al mare della Bosnia Erzegovina, diventa allora un dossier costantemente aperto nelle discussioni tra Zagabria e Sarajevo. I due governi provano per anni a trovare una soluzione condivisa che faciliti gli spostamenti sulla costa dalmata, poi la Croazia decide per la costruzione di un ponte.

Nell’estate del 2017, la Commissione europea approva il finanziamento dell’infrastruttura. Da Bruxelles arrivano 357 milioni di euro, pari all’85% della spesa (stimata a 420 milioni) e, dopo un bando pubblico vinto da un’impresa cinese, partono i lavori. Il ponte misurerà 2,4 km e collegherà la terraferma, all’altezza di Komarna, alla penisola di Sabbioncello (Pelješac) nei pressi di Brijesta. Sarà alto 55 metri e comporterà una distanza di 280 metri tra i piloni in mare, in modo da permettere il passaggio delle imbarcazioni dirette a Neum. L’opera dovrebbe essere ultimata quest’anno e collegata alla rete stradale croata con rampe di accesso e nuovi tratti di strada da costruirsi in particolare sulla penisola, in direzione di Ston. Segno dei nuovi tempi: il ponte che ricollegherà Dubrovnik al resto della Croazia è la prima grande infrastruttura finanziata dall’UE e costruita da una ditta cinese. Cosa ne direbbero oggi i diplomatici di Ragusa?

 


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